Ogni 28 gennaio celebriamo la festa di san Tommaso d’Aquino, sacerdote domenicano e dottore della Chiesa. È una di quelle figure di illustre sapienza e santità che la Chiesa non smette di celebrare da più di 700 anni. Era infatti il 1323 quando l’Aquinate fu canonizzato da papa Giovanni XXII, e da quel momento il culto di questo figlio di san Domenico non ha smesso di crescere non solo nella Chiesa ma anche, a fasi alterne, al di fuori di essa. È infatti interessante che la storia e il pensiero di questo famoso domenicano venga studiato non solo dai membri della Comunità cristiana ma anche – e a volte direi soprattutto – da studenti e professori che non si riconoscono cattolici.
Ogni anno, si diceva, ricordiamo quest’uomo e la sua dottrina, lui che è stato proclamato non soltanto dottore della Chiesa da papa san Pio V (1567), ma anche patrono delle scuole e università cattoliche dal grande pontefice Leone XIII che con la sua enciclica Aeterni Patris (1879) diede un nuovo, vigoroso impulso alla rinascita degli studi tomistici specie in ambito filosofico, dei quali anche oggi si sente più che mai il bisogno.
Spesso la figura di san Tommaso d’Aquino viene affrontata in ciò che concerne il suo pensiero e la sua sapienza. Non sono poche infatti le sue opere, tra le quali vanno ricordate la Summa theologiae, la Summa contra gentiles, i commenti alle opere di Aristotele, ad alcuni testi biblici (lettere di san Paolo, Vangeli, etc.), come anche i suoi sermoni sul Padre Nostro, l’Ave Maria, e via discorrendo. Conoscerle tutte è possibile, ma averle lette tutte completamente… ci vuole una vita, ma ne vale la pena! Si riscontra in lui un’anima innamorata di Dio, della Chiesa, dell’uomo e della vita vera, di quella vita che proviene da un legame sincero e forte con Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, e con il suo mistico corpo che è la Chiesa.
Tuttavia colui che scrisse tutto ciò non fu, per dirla in termini banali, un computer o una macchina. Era un essere umano in carne ed ossa, con la sua storia, le sue gioie, i suoi dolori, le sue speranze e non da ultimo, i propri desideri. È dunque il fra Tommaso religioso colui sul quale potremmo soffermarci a riflettere quest’oggi. Il giovane Tommaso conobbe il carisma domenicano non in una realtà grande e potente, come potremmo immaginare, ma tramite l’incontro con appena due frati (due!) che allora vivevano a Napoli. Abbracciata la vita domenicana, nonostante le dure resistenze della sua famiglia, vivrà la sua consacrazione a Dio in pienezza, osservando le Costituzioni e Ordinazioni del suo Ordine con spirito di generosa oblazione. Egli, come scrive san Paolo nella seconda lettura di questa domenica, si “preoccupava delle cose del Signore, come possa piacere al Signore” (1Cor 7). È questo un aspetto che forse tendiamo a mettere in secondo piano quando ci approcciamo alla figura e all’insegnamento dell’Aquinate. Ciò che egli scrisse, fece predicò e insegnò erano frutto della grazia di Dio che operava nella sua vita di frate vissuta, come ogni altra vita, tra alti e bassi, dove però gli “alti” erano – grazie al Cielo – più dei “bassi”!
San Tommaso dedicherà un’opera molto bella e utile alla vita religiosa e alla vita consacrata. Si tratta dell’opuscolo La perfezione della vita spirituale (ancora oggi facilmente trovabile) nel quale si occupa fondamentalmente di quattro cose: «1° che cosa vuol dire essere perfetto; 2° come si acquista la perfezione; 3° qual è lo stato di perfezione; 4° quali occupazioni convengono a coloro che abbracciano tale stato» (De perfectionis spiritualis vitae, cap. 1). Non intendo presentare l’opera in questione, ma credo valga la pena menzionare ciò che viene detto al suo inizio: «nella vita spirituale l’uomo non è assolutamente perfetto, se non per quello che costituisce propriamente la vita spirituale, mentre si potrà dire relativamente perfetto per qualunque altra qualità accessoria della vita spirituale. Ora, la vita spirituale consiste essenzialmente nella carità, senza la quale l’uomo si considera come un nulla nell’ordine spirituale» (ibid., cap. 2). Il cuore della vita religiosa secondo san Tommaso d’Aquino consiste, dunque, nella carità, della quale tanto parlerà negli altri suoi scritti. Essa, è bene ricordarlo, non consiste nel semplice amore, come potremmo immaginare, ma è molto di più. È una virtù teologale strettamente connessa alle altre due virtù teologali che, come sappiamo, sono la fede e la speranza. È la carità quindi il senso e lo scopo della vita consacrata, giacché tramite essa diveniamo sempre più simili a Dio che è Carità (Deus caritas est, scrive san Giovanni in 1Gv 4, 16), amando Lui e il prossimo (cfr. De perfectionis spiritualis vitae, cap. 3).
La vita religiosa di Tommaso si caratterizzò non tanto in una serie di pratiche ascetiche, che pure visse, ma nel perfezionamento della virtù teologale della carità, che come ogni “virtù” possiamo esercitare personalmente, ma che in quanto “teologale” ha la sua fonte e la sua origine in Dio, al quale dobbiamo chiedere di farci crescere in essa e per suo tramite.
La festa di oggi, in conclusione, ci invita a considerare quest’uomo che, come insegna la Scrittura, volle “preoccuparsi del Signore, come poter piacere al Signore” in tutte le sue opere, in tutta la sua vita religiosa, in ogni sua relazione, in ciò che la Provvidenza gli dava di vivere, malattia e debolezza comprese. Possiamo, e forse dobbiamo guardare alla sapienza del Dottore Comune non come un testo avulso da un’esistenza, ma come l’espressione per così dire scritta di un uomo che fece della sua vita religiosa un inno di lode a Dio, per potergli piacere in tutto, anche – e non solo – nel suo insegnamento e nella sua opera di teologo.
fr. Fabrizio Cambi, O.P.