Nova et vetera
La vita religiosa esercita su di me un fascino antico. Ricordo bene un episodio che mi occorse alla scuola media. Un’insegnante chiese a me e ad altri allievi, tra il serio e il faceto, a quale ordine mendicante ci sarebbe piaciuto appartenere se fossimo vissuti nel medioevo.
—Ai domenicani—rispondo io, di slancio.
La professoressa sorride. È d’accordo. Forse perché entrambi sentiamo a noi vicini alcuni caratteri dell’Ordine dei Predicatori: la gioia nell’esercizio dell’intelletto, il desiderio della purezza, la passione per la verità ricercata insieme agli altri, comunicata agli altri e vissuta con gli altri. Per molto tempo, al liceo e poi all’università, la vita domenicana rimase in me una semplice idea, una nostalgia di epoche mai vissute.
Una quaestio di San Tommaso, un sermone di Meister Eckhart, una pittura del Beato Angelico erano sempre qualcosa che suscitava la mia ammirazione, qualcosa che mi attraeva ma che credevo potesse figurare solo in un bel libro o in un bel quadro. Così, quando fui ammesso alla Scuola Normale Superiore a Pisa e un amico mi disse che un altro ragazzo, anche lui come me studente di filosofia, si era fatto domenicano, fui preso da grande stupore e garbata incredulità. Com’era possibile che non nel tredicesimo, ma nel ventunesimo secolo qualcuno abbandonasse gli agi di una sicura carriera accademica per scegliere una vita povera, casta e obbediente?
Sul momento non riuscii a darmi una spiegazione. Anch’io, come quel ragazzo, amavo la sapienza, ma a differenza sua non sapevo ancora che questa parola si scrive con la S maiuscola. Mi limitavo a cercare una verità astratta per mezzo della sola ragione, trascurando il fatto che la verità ha un nome e un volto – quello di Cristo. Anch’io ero cristiano e cattolico, eppure c’era come uno iato tra il mio cuore e il mio intelletto che mi impediva di connettere rivelazione e azione, di tradurre davvero in scelte di vita la mia fede, in una parola, di convertirmi. Era l’autunno del 2010. Si può dire che mi sono occorsi i dodici anni successivi per comprendere perché quel ragazzo aveva offerto la sua esistenza a Dio per mezzo dell’Ordine, scoprendo lentamente e con crescente meraviglia che forse il Signore chiamava anche me a seguirLo nella forma di vita e di santità proposta da San Domenico. Dapprima l’ispirazione venne per mezzo di donne e uomini, preti e suore che mi conoscevano appena e che però, scambiate poche parole, dicevano, con semplicità ma con convinzione, di riconoscere in me una possibile vocazione religiosa e sacerdotale. Ma poi divenne come una sete interiore, che mi spingeva a interrogarmi sulla mia identità, a non considerarmi soddisfatto della mia vita di filosofo prima e poi di neuroscienziato malgrado tutti i conseguimenti professionali, a fare un mese di esercizi spirituali per liberarmi da un attaccamento disordinato al lavoro e discernere meglio la volontà del Signore su di me. Intuivo la corrispondenza tra la vita religiosa e i desideri più profondi che provavo fin dall’infanzia – verità, bontà, bellezza, comunità – ma non osavo spingermi oltre, soprattutto perché faticavo a trovare una forma, a dare un volto e un abito a questa intuizione.
Trascorsi così alcuni anni, continuando sulla strada della ricerca scientifica ma aprendomi a poco a poco al Signore che bussava alla mia porta, forte e soave al tempo stesso. Una stupenda esperienza di volontariato con il gruppo delle “Pietre Vive”, conosciuto tramite la cappella universitaria della Sapienza di Roma, mi fece contemplare con occhi nuovi il mistero della Chiesa che si rivela nella tradizione dell’arte sacra e della liturgia, nella preghiera comune e nel comune annuncio del Vangelo, nell’aiuto reciproco e nella ricreazione. Ma sapevo fin dall’inizio che, per quanto preziosa, questa esperienza era concepita come un aiuto nel discernimento vocazionale e non come una risposta definitiva.
Da marzo dell’anno scorso, per grazia del Signore io sento, credo e spero di aver trovato la risposta che cercavo. Finalmente, seguendo l’attrattiva che provavo da tanto tempo nei riguardi della vita domenicana, ho preso coraggio e ho voluto verificare se quel fascino fosse solo frutto d’immaginazione o corrispondesse a una realtà concreta, incontrando il frate responsabile delle vocazioni nell’Italia centrale, p. Domenico Sprecacenere. E così ho scoperto che il tempo dei frati non è solo il passato, ma anche e soprattutto il presente e il futuro. Perché quei frati li ho visti con i miei occhi e li ho abbracciati con le mie mani, ho unito la mia voce al canto della loro preghiera e allo scroscio delle loro risa, ho ammirato il nitore del loro abito e lo splendore della loro anima. L’Ordine dei Predicatori non è più soltanto un ideale per me, è una realtà incarnata. Prima conoscevo Domenico, Caterina, Tommaso; adesso conosco anche Salvatore, Anna e Mario. E sono tutti parte di una vera famiglia, figli dello stesso santo padre e della stessa santa madre e perciò fratelli, chiamati ognuno con il proprio nome, amati dal medesimo Signore che è lo stesso ieri, oggi e sempre. Qui e ora continuano a trasmettere agli altri ciò che hanno contemplato; qui e ora continuano a vivere una vita di grazia che perfeziona la natura senza distruggerla. Sono come li sognavo sui banchi della scuola media, anzi ho scoperto che oltre ai buoni sillogismi spesso amano pure la buona tavola!
Da quando ho conosciuto i frati domenicani della Provincia Romana, sto assaporando una gioia mai provata prima. Mi sento come se finalmente stessi seguendo anche io la corrente d’acqua di cui parla il profeta Ezechiele, come se fossi giunto anche io al punto in cui la corrente da rivolo diventa un fiume navigabile. E vedo che per navigare lungo questo fiume, fino all’oceano di Dio, San Domenico ha costruito una nave, come dice Santa Caterina, tutta larga e gioconda. E la navigazione non è solitaria, è in compagnia di molti fratelli: penso spesso a loro, specialmente quando prego nella Liturgia delle Ore. Ma oltre al pensiero c’è qualcosa di più, c’è un senso di carità, di comunione che si sente anche nel corpo e finalmente mi permette di uscire da me stesso, di condividere la gioia altrui in modo disinteressato, di godere senza invidia del bene che il Signore opera negli altri a beneficio di tutti.
Sono consapevole che far parte di una ‘bella brigata’ come questa sarebbe una grazia immeritata. Ma se esamino il mio cuore e la mia mente davanti al Signore; se penso a tutta la meravigliosa consolazione che ho ricevuto da Lui, attraverso i frati che ho incontrato e gli altri postulanti, con cui sto trascorrendo un delizioso anno di prova in convento come prenovizio; se ricordo le loro parole di incoraggiamento, di stima, di affetto; allora, con il timore e l’audacia dell’innamorato oso dire questo: desidero annunciare la più grande scoperta della mia vita – l’unica Parola che salva – insieme ai miei fratelli e per i miei fratelli, secondo l’esempio e mediante l’intercessione di San Domenico e della Beata Vergine Maria, nella vita in comune, nello studio, nella predicazione, nello spezzare il Pane vivo e nel versare il Vino nuovo. Ed è per questo che, domandando la misericordia di Dio e quella dei frati, pochi giorni fa ho messo nelle mani del Priore Provinciale la preghiera di essere accolto come novizio della Provincia Romana dell’Ordine dei Frati Predicatori.
Alessandro Monti
Alessandro ha offerto una testimonianza anche nel programma di Rai Radio 3 "Zarathustra"
Alessandro ha studiato prima filosofia poi neuroscienze, in un'università prestigiosa. Era convinto che il suo futuro sarebbe stato la carriera accademica per cui si preparava fin da giovanissimo. Ma poi gli è capitato di farsi una domanda quasi brutale, che non ammetteva risposte meno che sincere: sarebbe stata quella di professore universitario la vita che gli sarebbe piaciuto ricordare in punto di morte? La risposta che si è dato ha cambiato il corso della sua esistenza. Ora Alessandro vive in un convento domenicano nel centro di Roma, le sue giornate sono scandite fra la preghiera e lo studio, perché continua a studiare, ma con uno spirito diverso da prima.
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