Un girotondo di santi e beati
Omelia di S.E. Mons. Robert Le Galle, arcivescovo di Tolosa, in occasione della santa messa in onore del Beato Angelico celebrata a S. Maria sopra Minerva
Avete mai visto, fratelli, una mimosa, delle mimose, tante mimose in fiore? All’inizio della settimana mi trovavo vicino a Perpignano, ad un'ora di cammino dalla Spagna, in un focolare della Carità, dove questi alberi di luce rifulgevano perché pioveva molto. Un bocciolo giallo-verde raccolto che improvvisamente prorompe; una metamorfosi lo trasforma in una sfera di luce setosa che diffonde generosamente una delicata fragranza.
Su un albero, queste migliaia di piccoli soli formano una sfera luminosa e profumata, che mi ricorda il Girotondo degli eletti sulla sinistra del Giudizio universale del "Beato Angelico" che qui onoriamo, vicino alla sua tomba nel giorno del suo compleanno in mezzo ai suoi fratelli.
Da tempo sono affascinato da questo Girotondo degli eletti·, il terreno è costellato di foglie e fiori; i beati da un lato si abbracciano e dall’altro abbozzano una danza.
Una dolce gioia emana da ciascuno di loro in una luminosa umiltà. Domina, infatti, una luce primaverile, leggera, delicata, pura come l'acqua, perfetto riflesso della "Luce del mondo", che è il Verbo fatto carne e che ci attira a sé con il legame dell’umanità, lui che è ritratto come "mite e umile di cuore". Nella parte superiore del quadro, Gesù in trono nella gloria, non con la violenza del giudice, quale si potrebbe temere nella Cappella Sistina, ma nella pace radiosa di una maestà che si lascia avvicinare.
Sull’estrema sinistra, si scorgono le mura di una città, che è ovviamente Gerusalemme, non quella terrena, ma quella celeste. Ecco come san Giovanni la descrive nell'Apocalisse. "La piazza della città è d’oro puro, di una limpidezza perfetta. Nella città, non ho visto templi, poiché il suo tempio è il Signore Dio, Sovrano dell'universo, e l'Agnello. La città non ha bisogno del sole o della luna per illuminarla, poiché è la gloria di Dio che la illumina. La sua luce, è l’Agnello"(Ap 21, 21-23). Dopo il giudizio, lentamente, gli eletti entrano in città. Due si presentano all’ingresso e sono già inondati di luce. Dalla porta sgorga un flusso di luce dorata, quella dell'Agnello, in quanto la Gerusalemme celeste è un enorme cubo di luce e di amore. Questo è ciò che ci fa vedere il nostro Fratello Beato, giustamente chiamato "Angelico".
"Dio è Amore", ripete san Giovanni, che ci invita a scegliere, non il buio ma la luce, la luce piena di dolcezza e di amore che ci rivela il Beato Angelico. E’ quanto abbiamo appena ascoltato nel Vangelo di questo inizio di Domenica. Gesù ci invita ad "essere veramente i figli del nostro Padre celeste, che fa sorgere il sole sui malvagi e sui buoni" (Mt 3). Il bene si diffonde se non incontra alcun ostacolo; si comporta come la luce. Lo stesso avviene per la bellezza che brilla e si dona in abbondanza e gratuitamente, come i molteplici soli profumati delle mimose.
Lo stesso si può dire della santità, che non è riservata a un'élite fossilizzata in fredde nicchie. "Parla a tutta la comunità dei figli di Israele, dice il Signore a Mosè, lo abbiamo udito poco fa. Dirai loro: Siate santi, perché io. Signore, Dio vostro, sono santo" (Lv 19,2). Dio vuole fare divenire ciascuno di noi, e ancor meglio noi tutti insieme, un santuario, un luogo di santità, una Gerusalemme, Città santa abitata dallo Spirito Santo. Anche San Paolo lo afferma con forza: "Il santuario di Dio è santo e questo santuario siete voi" (1Cor 3, 16-17)
Siamo fatti per la santità, che è il dono di sé nella luce dell’amore. Il Beato Angelico ce la fa vedere di una serafica delicatezza, nella quale gli eletti si guardano, si scoprono, con una limpidezza che trasmettono. Siamo toccati da tanta bellezza, tutta finezza e purezza. Da dove l’ha attinta? Chi lo ha ispirato? Sicuramente la lunga contemplazione della tenerezza divina incarnata nel più bello dei figli dell’uomo, che giunge fino all’abbandono all’amore, la tenerezza che abbiamo cantato nel meraviglioso Salmo 102: "Benedici il Signore, anima mia, ti corona di grazia e di misericordia. Buono e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell’amore".
Ma perché, com’è che la bellezza ci colpisce così tanto? I Domenicani ben lo sanno, con quell’ "angelico" Dottore che è san Tommaso d'Aquino, del quale veneriamo la testa e le ossa nella chiesa dei Giacobini a Tolosa; lo abbiamo celebrato recentemente il 28 gennaio. Essi sanno che l'essere, il vero e il bene stanno insieme. Ma che ne è del bello? Si sente dire che il bello è lo splendore del vero. Si comprende anche che il bello e il buono sono inseparabili: il kaloskagathos greco ha preceduto il nostro "bello e buono" francese.
Un accademico francese, che poi è cinese, Francois Cheng ha scritto Cinque meditazioni sulla bellezza che richiamano l'attenzione. Riconosce che il vero è fondamentale e che il bene è necessario, e si chiede: "E la bellezza? Esiste senza che la sua necessità, in un primo momento, sembri ovvia. E’ lì, onnipresente, insistente, dando l'impressione di essere superflua, ed è questo il suo mistero, è questo ai nostri occhi, il più grande mistero ". Ogni essere ha qualcosa di unico; come tale, ha una presenza che è solo sua, e che, "a immagine di un fiore o di un albero, non cessa di tendere nel tempo alla pienezza del suo fulgore, che è la definizione stessa di bellezza ". Una pienezza gratuita e offerta, come quella dello sbocciare di ogni piccolo fiore di mimosa, fino a giungere all'espansione folgorante e durevole delle galassie. Una pienezza di presenza che sembra provenire da un "Desiderio originale", da un progetto primordiale orientato verso un'armonia finale di cui ci dà un'idea il Girotondo degli eletti, alimentando la nostra speranza di una "apertura" plenaria (vedi la fine della prima Meditazione).
Lo stesso vale, ad esempio, per una cantata di Bach, per il vicino Pantheon o per lo splendore dei Pirenei innevati, che ci aprono a prospettive al contempo semplici e sublimi. San Giovanni della Croce ha scritto nel Cantico Spirituale riecheggiando il capitolo 16 del profeta Ezechiele su Gerusalemme, « La tua fama si diffuse fra le genti, la tua bellezza era perfetta. Ti avevo reso uno splendore » (Ez 16,14).
Mille grazie spargendo qui pei boschi s’affrettava e, mentre li guardava, la sola sua presenta adorni di bellezza li lasciava. (5a strofa)
Perché il nostro Papa Francesco, pur non essendo un esteta, continua a parlare di bellezza? Dal circo al volto umano, dalla tenerezza all'eroismo, dall'amore di una madre alle quotidiane attenzioni per gli altri, lo ripete costantemente. Sì, dobbiamo, anche noi, servire la bellezza in tutti i modi possibili. Lo comprendiamo meglio qui vicino al Beato Angelico. Benediciamo Dio per avercelo dato a rivelare qualcosa della sua infinita dolcezza nell'armonia dei colori dell'amore multiforme. Amen.
S.Ecc. Mons. Robert Le Galle
Arcivescovo di Tolosa