“Un passo nella sicurezza e un passo nel rischio”
Emergenza antropologica e sfida educativa nell’insegnamento di papa Francesco
In una lettera indirizzata alla diocesi e alla città di Roma del gennaio 2008, Benedetto XVI individuava nel “compito urgente dell’educazione” una delle sfide ecclesiali e sociali più importanti del nostro tempo, a cui rispondere con competenza e sollecitudine. Il venir meno di tanti punti di riferimento abituali, la messa in questione di tradizioni e culture nel loro insieme, la crisi economica e antropologica degli ultimi anni, sono elementi che generano un senso di inquietudine e di disorientamento che rende immediata e spontanea una rinnovata “domanda di educazione”.
Si tratta di una sfida che richiede il giusto equilibrio tra spontaneità e disciplina, tra il “rischio della libertà”, senza il quale si resterebbe eternamente bambini e non si avrebbe alcun cammino di maturazione personale, e “le regole di comportamento e di vita”, senza le quali diventa impossibile formarsi un carattere ed essere in grado di affrontare i rischi e le sfide che il futuro riserva. Il richiamo di papa Benedetto diventava un vero e proprio invito a rimettere l’opera educativa al centro dell’azione e della riflessione ecclesiale, tanto da essere assunto dagli stessi vescovi italiani come sfida ecclesiale principale dei prossimi anni, come testimoniano gli Orientamenti pastorali della CEI per il decennio 2010-2020, dedicati non a caso al tema: “Educare alla vita buona del Vangelo”.
Ma la preoccupazione per la sfida educativa è al centro anche dell’impegno e dell’insegnamento di Jorge Mario Bergoglio, nel suo ministero dapprima di vescovo di Buenos Aires e poi di vescovo di Roma (e prima ancora di insegnante e direttore di Collegi in America Latina). L’editrice La Scuola di Brescia ha raccolto in un volumetto alcuni interventi (discorsi, omelie, meditazioni) tenuti da papa Francesco tra il 2013 e il 2014 sul tema della emergenza educativa, pubblicandoli con il titolo La mia scuola. In questi interventi la crisi economica ed antropologica degli ultimi anni è vista non solo come un rischio e un pericolo per il suo carattere destabilizzante e spaesante, ma anche come un’opportunità educativa per una formazione libera e responsabile, al servizio della persona e della società nel suo insieme. Ripercorrendo il testo dell’apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus, papa Francesco invita ad essere educatori capaci di decifrare le delusioni e le notti del nostro tempo, senza lasciarsi con ciò contagiare da esse, a essere capaci di “ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporre nella propria identità”. L’educazione, che non è mai una semplice trasmissione di conoscenze, ma nasce da un modo di essere ed ha sempre di mira la persona nella sua integralità, comporta sempre un passo “nella zona di sicurezza”, senza la quale non si avrebbe alcun orientamento e punto di riferimento per il futuro, e un altro “nella zona di rischio”, senza la quale sarebbe impossibile far maturare alla persona un giudizio autonomo e critico; un “bilanciamento dei passi”, che è affidato alla saggezza e alla ponderazione dell’educatore.
Tra le varie dimensioni a cui l’educazione è chiamata a prestare particolare attenzione, papa Francesco si sofferma sulla “formazione alla fraternità”, in cui si realizza la vocazione relazionale e comunionale della persona umana. Riprendendo il racconto evangelico degli inizi della predicazione della buona novella da parte di Gesù, il papa invita a far nostro lo stile di comunione e di dialogo che caratterizza l’agire e il messaggio del Nazareno. La “Galilea delle genti” (Mt 4,12-13) era un crocevia di persone diverse per razza, cultura e appartenenza religiosa, per diversi aspetti simile al contesto multiculturale in cui ci troviamo oggi. In tale contesto polietnico e multiculturale inizia il ministero pubblico di Gesù, un evento che riletto per noi oggi suona come un invito a “far incontrare l’identità cattolica con le diverse anime della società multiculturale”.
In uno scenario che il sociologo polacco Zygmunt Bauman ha definito come di “solitari interconnessi”, in un clima di globalizzazione economica e mediatica che, come ricordava Benedetto XVI, “ci rende vicini, ma non ci rende fratelli” (Caritas in veritate, n. 19), “apprendere la fraternità” a partire dalla condivisione, dalla solidarietà e dal dialogo, diviene particolarmente importante per uscire da quella “cultura dello scarto” e dell’isolamento, verso cui può condurre un capitalismo senz’anima. La fraternità, infatti, si offre non solo come autentica dimensione teologica e cristiana, che la riflessione ecclesiologica contemporanea (Torcivia, Theobald) sta riscoprendo come categoria ermeneutica globale per esprimere la comunione che è la Chiesa, ma anche come termine “ponte” nei confronti della società civile e politica nel suo complesso, che aveva assunto agli albori della modernità quell’ideale quale suo elemento fondante (si pensi alla celebre triade Liberté, Égalité, Fraternité), salvo poi metterlo da parte per farne una sorta di “dimensione dimenticata” (Marramao) e rimossa. Un’autentica formazione alla fraternità, che trovi nella famiglia e nella Chiesa (scuola di comunione) luoghi privilegiati di espressione, può contribuire alla rigenerazione di quel legame sociale che oggi appare compito più urgente che mai sul piano socio-politico, e, dopo l’esperienza di modelli inadeguati e insufficienti già sperimentati (utilitarismo, contrattualismo, collettivismo), indicare una via percorribile e alternativa, in questa congiuntura “che lega in un unico nodo epocale il fallimento di tutti i comunismi alla miseria dei nuovi individualismi”, per dirla con Roberto Esposito.
fr. Daniele Aucone o.p.