Il buon Samaritano spiegato da Sant'Agostino
La parabola del buon Samaritano, che abbiamo appena sentita, può leggersi, come saprete certamente, a due livelli: un livello letterale e un livello allegorico e tutt’e due sono ricchi d’insegnamenti.
1. Se leggiamo ingenuamente, direi, questo racconto, vi troviamo la risposta di Gesù alla domanda del dottore della Legge: chi è il mio prossimo? e, invece di rispondere con una definizione, Gesù risponde con una storiella.
È da rilevare che l’interrogazione del dottore della Legge non era, come potrebbe sembrare a prima vista, una domanda un po’ sciocca, ma rifletteva probabilmente un certo disaggio di fronte alla concezione generalmente diffusa nel giudaismo dell’epoca, secondo cui il prossimo di cui si tratta nella Legge, vale a dire il prossimo di un Giudeo – poiché è ai Giudei che la Legge è stata data –, può essere solo un Giudeo; i Gentili non possono essere considerati come tali.
Ora, mentre il sacerdote e il levita, ossia dei rappresentanti per così dire ufficiali del giudaismo, non soccorrono il malcapitato viaggiatore, è un Samaritano a farlo. Due cose sono da notare: Gesù non ci dice se la vittima dei briganti era giudea (come sembra probabile) e Gesù, come ho già osservato, non risponde con una definizione alla domanda del dottore della legge, ma con l’indicazione di un’azione da compiere. Infatti, da un lato, nella prospettiva che vuole aprire al suo interlocutore e, conseguentemente, anche a noi, la nazionalità o la religione della vittima non ha importanza e, dall’altro lato, l’esser il prossimo di qualcuno è meno una qualità ontologica dell’altro che non il risultato di una scelta e di un conseguente agire mio: mi sembra, infatti, che il movimento del testo richieda che si traduca « Chi di questi tre ti sembra si sia fatto (lett. “sia diventato”) il prossimo di colui che è incappato nei briganti?»2.
Così veniamo a scoprire che siamo noi ad esser chiamati a farci prossimi di coloro che sono nel bisogno e che questi, che dobbiamo amare, non sono predeterminati dalla loro razza, dalla loro nazione, dalla loro religione: il nostro amore del prossimo è aperto ad ogni uomo, ovviamente secondo l’ordine della carità2. Sant’Agostino sottolinea:
Chi non vede che non v’è nessuno di escluso, nessuno a cui non si dovrebbe rendere il servizio della misericordia, quando il Signore c’insegna che esso dev’essere reso perfino anche ai nemici: « Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano ».3
È questo, ovviamente, un insegnamento particolarmente attuale in questo anno della misericordia, ed esso è ancora accentuato dalla conclusione che dà Gesù allo scambio con il dottore della Legge: « anche tu fa’ lo stesso ». Oserei dire che, con queste parole, le quali, chiaramente, s’indirizzano anche a ciascuno di noi, il Signore anticipa la dichiarazione programmatica di san Tommaso all’inizio della IIa IIae. Al momento in cui si accinge a trattare dettagliatamente, in centinaia di pagine, di tutti gli aspetti della morale speciale, egli non si perita di affermare: Sermones [...] morales universales minus sunt utiles, eo quod actiones in particularibus sunt (IIa IIae, Prologus) « I discorsi morali universali sono meno utili che non le azioni nei casi particolari, nel concreto ».
In altre parole, lasciando da parte una spiegazione dettagliata del significato di questa asserzione di Tommaso, limitiamoci a trarne la consapevolezza che è certamente bene sapere quel che si deve fare, ma che è più utile farlo. Si tratta di cosa molto semplice, ma metterlo in pratica può essere non così facile ed, a ciò, abbiamo bisogno di aiuto. Prima di tutto, ovviamente, dell’aiuto della grazia divina da cui scaturisce la carità, ma anche, nelle azioni particolari, dell’intercessione di Cristo, degli angeli e dei santi. E scopriamo così che anche i santi, anche gli angeli, anche Cristo stesso si fanno i nostri prossimi per aiutarci a mettere in opera la carità fraterna.
4. E pertanto, sant’Agostino può affermare:
Ma, si deve rilevare che, quando Tizio si fa il prossimo di Caio, Caio diventa a sua volta, ipso facto, il prossimo di Tizio; infatti, come scrive sant’Agostino: « il nome di prossimo è un nome relativo e nessuno può essere prossimo (vicino) se non a chi è prossimo (vicino) »È dunque manifesto che questo precetto che ci comanda di amare il prossimo, concerne anche i santi angeli, che svolgono tanti compiti misericordiosi nei nostri confronti, come è facile rilevare da molti passi della Sante Scritture. E, perciò, lo stesso Dio e Signore nostro ha voluto essere detto nostro prossimo: infatti, Nostro Signore Gesù Cristo si indica come tale quando ha prestato aiuto all’uomo mezzo morto giacente nella via, ferito e abbandonato dai briganti.5
2. E questo passo, in cui Gesù è identificato con il buon Samaritano, ci introduce alla seconda interpretazione della nostra parabola (che, di certo, è compossibile con la prima). Sant’Agostino, in particolare, ha legato all’Occidente questa interpretazione allegorica della parabola del buon Samaritano, anche se non l’ha concepita lui.
In breve, si può riassumere così: l’uomo che discende da Gerusalemme a Gerico è Adamo e noi tutti in Adamo; scendiamo dal Paradiso terrestre da cui siamo espulsi (Gerusalemme, visio pacis) nel mondo della generazione e della corruzione, della mortalità (Gerico rappresenta la luna, che nasce, cresce, diminuisce, muore e di nuovo, nasce, cresce, ecc.)6; i briganti sono, come dice sant’Ambrogio, « gli angeli della notte e delle tenebre »7, che tentano l’uomo, facendolo cadere nel peccato che lo ferisce e lasciandolo semivivo, in quanto, spiega sant’Agostino, è vivo nella parte che, in lui, rimane capace di conoscere Dio, è morto invece in quella parte che è oppressa dai peccati8; il sacerdote e il levita rappresentano l’antica legge, che non era in grado di restituire la sanità all’uomo ferito9; invece il Samaritano rappresenta Cristo, che prende cura del ferito e lo salva; san Giovanni Crisostomo vede nel vino e nell’olio usati a questo fine il sangue di Cristo, versato nella passione, e l’olio della cresima10. Ovviamente, la locanda è la Chiesa, la quale, ci dice sempre il Crisostomo, accoglie coloro che sono stanchi dal loro camminare nel mondo e affaticati dai peccati che portano, e li risana, offrendo loro un salubre pascolo11; nel locandiere possiamo vedere gli apostoli e la gerarchia ecclesiastica che cura i fedeli e annuncia il vangelo12; nel giorno del ritorno del Samaritano, il giorno del giudizio13, sia particolare sia universale.
Ma la conclusione rimane la stessa: « anche tu fa’ lo stesso ». Che cosa significa, in questa prospettiva? Non solo che dobbiamo andare incontro a coloro che sono nella difficoltà, ma che dobbiamo imitare Cristo nella sua misericordia; certamente, non possiamo salvare il mondo con la nostra morte, ma possiamo collaborare all’opera di Cristo; in primo luogo, insegnando la via della salvezza mediante la nostra parola e il nostro esempio; in secondo luogo, unendoci alle sofferenze e alla morte di Cristo mediante la nostra espiazione: non è poca cosa. Certamente, questo vocabolo « espiazione » non si sente molto in questi nostri tempi, nemmeno nelle prediche..., eppure è centrale nella nostra fede: i crocifissi che sono dappertutto nelle nostre chiese e anche, speriamo, nelle nostre case, dovrebbero ricordarcelo! Il peccato, i nostri peccati, cioè, possono esser perdonati, ma quel perdono ha il suo prezzo, richiesto dalla giustizia: Cristo, volontariamente, ha pagato per noi, ma la salvezza da lui così procurata non si diffonde automaticamente14: noi siamo chiamati ad associarci alla sua opera salvatrice e al suo amore redentore, collaborando con la nostra espiazione alla salvezza nostra e dei nostri fratelli. Dimenticare o, peggio, negare ciò è rovinare irrimediabilmente la nostra fede. Amen.
fr. Daniel Ols, O.P.
(Omelia tenuta a St. Petersberg, 10 luglio 2016)
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