Fraternitas est nomen Ecclesiæ
Il gioioso ricordo dei ss. Pietro e Paolo
Nella tradizione patristica dei primi secoli è ricorrente il parallelo tra i due fratelli di sangue (Romolo e Remo) che la leggenda vuole fondatori della città destinata a diventare per diversi secoli centro del mondo occidentale;
e i due fratelli nella fede (Pietro e Paolo), che con la comune testimonianza del martirio edificano la chiesa di Roma, diventandone se non i fondatori sul piano storico (la chiesa era già esistente in Roma quando entrambi vi arrivano), senz’altro il fondamento sul piano dell’insegnamento e della testimonianza di fede.
Così come ricorrente nell’iconografia dei primi secoli è l’abbraccio che i due si scambiano prima di incamminarsi (ciascuno per la sua strada, ma in maniera parallela) sulla comune strada del martirio. Ma è tutta la Chiesa che, nella comunione e nella fraternità delle sue due colonne, è chiamata a ripercorrere e rivitalizzare il proprio mistero e le proprie origini.
Due figure e due personalità molto diverse, come appare anche dai brani della Liturgia della Parola che abbiamo ascoltato. Pietro appartiene fin dalla “prima ora” alla comunità dei Dodici, in cui spicca fin da subito come portavoce e rappresentante di tutto il gruppo. È lui il primo a professare la propria fede a nome dei Dodici e della Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, riconoscendo in quell’uomo che calcava le strada della Galilea e della Giudea il Messia atteso da Israele. È lui che dopo la Risurrezione diviene il primo destinatario delle apparizioni del Risorto e viene investito del compito di annunciarle e testimoniarle. Paolo invece non appartiene al gruppo dei Dodici, e il suo cammino non si incrocia con quello del Gesù terreno se non per una semplice contemporaneità cronologica. A lui il Risorto appare dopo che il ciclo delle sue manifestazioni è già cessato: “da ultimo… come a un aborto” (1Cor 15,8), come racconterà Paolo stesso in quel frammento autobiografico della Prima Lettera ai Corinzi, investendolo però della stessa dignità e della stessa missione del gruppo dei Dodici.
Due missioni e due ministeri anche molto diversi tra loro: Pietro sarà chiamato a portare il Vangelo alle comunità giudaiche, incarnando in un certo senso la continuità tra la Prima e la Nuova Alleanza; Paolo diventerà il “Dottore e Maestro delle genti”, colui che estenderà e universalizzerà il messaggio evangelico, grazie anche alla sua cultura ellenistica. Due missioni e due percezioni differenti dell’unico mistero, non prive a volte di momenti di tensione e di una franca dialettica, come mostra l’episodio del confronto aperto a proposito della circoncisione, durante la visita di Pietro ad Antiochia (Gal 2, 11). Ma due missioni capaci sempre di riconciliarsi nella collaborazione e nella fraternità, come mostra il bel passaggio della seconda Lettura di oggi, in cui Paolo si reca a Gerusalemme per “consultare Cefa” (Gal 1,18), riconoscendone l’autenticità e l’importanza del ministero di primato, e questi riceve a propria volta Paolo, facendolo restare presso di lui “per quindici giorni”. O come si vede dal libro degli Atti degli Apostoli, che descrive la vita e la missione della comunità cristiana degli inizi, e che è incentrato simmetricamente sulle due figure di Pietro nella prima parte (capp. 1-13), e di Paolo nella seconda (capp.13-28), quasi a sottolineare ulteriormente la consequenzialità e la complementarietà dei due apostoli e dei due ministeri.
La celebrazione di oggi come ci ha detto l’orazione di Colletta, vuole essere per tutta la Chiesa un invito a rinnovare la fedeltà alla sua origine e al suo fondamento apostolico. Fedeltà alla dottrina e all’insegnamento degli apostoli, custodendo e trasmettendo fedelmente quel deposito della fede che ha ricevuto dal loro primo annunzio e dalla loro testimonianza. Ma fedeltà anche a quello stile di vita comunionale e fraterno degli apostoli, che consiste nella collaborazione per una missione comune, nel dialogo e nel riconoscimento reciproco dei doni e dei talenti ricevuti, in quella comunione capace di armonizzare le tensioni e le differenze per il bene del tutto. In un contesto che grazie alle tecnologie e ai mezzi di comunicazione riesce forse ad avvicinarci e ad abbattere le distanze spaziali, ma che non ci rende perciò solo “fratelli”, chiediamo allora al Signore per intercessione dei due santi apostoli, di imparare e testimoniare lo stile e il codice della fraternità e della comunione, come ha anche sottolineato papa Francesco nei suoi diversi discorsi sul tema della formazione e dell’educazione. “Fraternitas”, come già facevano intendere i Padri nei primi secoli (specialmente Tertulliano) e come sta riscoprendo la riflessione ecclesiologica contemporanea, “est nomen Ecclesiæ”, modo autentico di esprimere e testimoniare quel dono della comunione, che è la Chiesa.
fr. Daniele Aucone, O.P.
Omelia in occasione della solennità dei Ss. Pietro e Paolo