Umano, postumano, transumano
Alla ricerca del nuovo umanesimo
Nei primi anni dell’ultimo decennio del XV secolo, più o meno in contemporanea con quella scoperta geografica che doveva segnare una delle date inaugurali della modernità, Leonardo da Vinci realizzava il celebre disegno dell’Uomo vitruviano, esposto nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e ora visibile anche su tutte le monete da 1 € coniate dall’Italia.
In quest’opera leonardiana, in cui si fondono arte e scienza, creatività e rigore delle misure, l’uomo è rappresentato quale essere armonico e proporzionato, come simboleggiato dalla sua inscrizione nelle figure geometriche del quadrato e del cerchio, simboli rispettivamente della Terra e dell’Universo, e come spiega la didascalia in alto del disegno, ispirata al trattato sull’architettura del celebre architetto romano.
Cinque secoli più tardi quella stessa figura umana appare ora disfatta, slabbrata, carne sfibrata senza più forma né proporzione, simbolo dell’inquietudine e della ricerca di senso dell’uomo contemporaneo, come nei dipinti del pittore irlandese Francis Bacon (1909-1992). In effetti il secolo che ci siamo lasciati alle spalle, il “secolo breve”, oltre ad aver visto il crollo delle grandi ideologie, ha segnato tra le altre cose anche la crisi della visione e del progetto umanista, iniziato nel Rinascimento.
Dalla critica post-metafisica di Heidegger («l’umanesimo non pone l’humanitas dell’uomo a un livello abbastanza elevato», Lettera sull’umanismo), all’analisi archeologica dell’epistemologia delle scienze umane di Foucault («L’uomo è un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra la data recente. E forse la fine prossima», Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane), già anticipata dall’annuncio nietzscheano dell’oltre-uomo, la visione di un soggetto raziocinante, autosufficiente e completo, che si oppone a tutto ciò che gli è esterno (sia esso mondo animale, vegetale o inorganico) sembra essere entrata irrimediabilmente in crisi.
La riflessione recente scopre infatti nuovi legami, nuove “contaminazioni” tra l’uomo e tutto ciò che appartiene alla sfera del non-umano (si pensi ad esempio al rilievo che assume la dimensione non-razionale e animale nell’essere umano, o alle contaminazioni dell’umano prodotte dalle biotecnologie, come innesti di protesi, implantologia, ricostruzioni artificiali di parti del corpo umano, ecc.), che fanno apparire la tradizionale dicotomia umano/non-umano come qualcosa di obsoleto e da lasciarsi ormai definitivamente alle spalle. Così ad esempio la riflessione postumanista spinge in direzione di un superamento della tradizionale idea dell’individuo stabile e chiuso in se stesso, autocosciente e opposto a tutto ciò che è materiale, in direzione di una soggettività plastica e in continua ridefinizione di se stessa, capace di ospitare al proprio interno elementi propri della sfera non-umana, come nel caso delle “soggettività nomadi” di Rosi Braidotti (Postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte) o dell’“organismo cibernetico” di Donna Haraway (Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo).
Con ispirazione in buona parte analoga, ma con approdi diversi, si muove invece il movimento transumanista, che spinge piuttosto in direzione di un superamento dell’umano nel senso di un suo “potenziamento” (in particolare delle sue capacità fisiche e mentali), attraverso il ricorso alle nuove acquisizioni messe a disposizione dalla scienza e dalla tecnica. Biologia molecolare, nanotecnologie, ingegneria prostetica e neuroscienze vengono chiamate a svolgere una funzione emendativa/accrescitiva dell’umano, inteso come progetto semplicemente abbozzato dalla natura, ma che può essere migliorato e accresciuto grazie all’intervento umano (come esprime la sigla stessa scelta dal movimento: Humanity plus o semplicemente il simbolo H+). Il risultato è quindi una sorta di ibrido, in cui l’umano risulta aumentato e potenziato grazie all’intervento (non più curativo, ma migliorativo) della medicina e della tecnologia. Si tratta quindi di fenomeni culturali di una certa complessità e rilevanza, che costituiscono una sfida culturale che interroga la società nel suo complesso. Non a caso un volume di qualche anno fa curato insieme da autori cattolici e non (tra cui Vacca, Tronti, Barcellona, Possenti), parlava di “emergenza antropologica” e invitava a una “nuova alleanza tra credenti e non credenti” per far fronte a tale sfida culturale.
A tale sfida antropologica, con particolare attenzione ai mutamenti culturali più recenti, è stato dedicato anche l’ultimo Convegno Ecclesiale Nazionale svoltosi a Firenze qualche mese fa (9-13 novembre 2015), dal titolo: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Di fronte alle proposte culturali che il contesto attuale presenta, il Convegno ha voluto svolgere un «discernimento comunitario di fronte alle sfide del mondo contemporaneo», nella consapevolezza, come ha scritto Edgar Morin, che
«ciò che muore oggi, non è la nozione di uomo, ma una nozione insulare dell’uomo, isolato dalla natura e dalla propria natura; ciò che deve morire è l’auto-idolatria dell’uomo, che si ammira nell’immagine convenzionale della propria razionalità» (Il paradigma perduto),
e che quindi la visione dell’humanum racchiusa nella fede cristiana, aperta alla relazione e all’alterità, sia ancora ricca di virtualità e ricchezze da portare nell’attuale dibattito antropologico e culturale. In tale ottica, tentando di «leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore», come recita l’invito stesso al Convegno (http://www.firenze2015.it/f...), si è tentato di delineare un umanesimo “in ascolto”, integrale e plurale, «consapevole sia dell’inadeguatezza delle forze («abbiamo solo cinque pani», come si legge nei vangeli) sia del “di più” di umanità che si sprigiona dalla fede e dalla condivisione». (Traccia del Convegno, http://www.firenze2015.it/wp-content/...).
Facendo eco al rilievo che «la realtà è superiore all’idea» (Evangelii gaudium, 233), il Convegno ha voluto esprimere anche nello stile questa novità di approccio e di prospettiva, dando spazio alle diversi voci provenienti dai territori e dalle esperienze locali, proponendo non una teoria dell’umano articolata e completa, ma offrendo alcune linee e traiettorie da cui partire per un cammino comune, come i tre atteggiamenti (“Umiltà-disinteresse-beatitudine”) sottolineati da papa Francesco nel suo discorso di apertura, o come indicato dai diversi verbi (“Uscire-annunciare-abitare-educare- trasfigurare”) scelti dai vari gruppi di lavoro come titolo delle rispettive sintesi finali.
Un orizzonte aperto e un cammino da compiere insieme (sia a livello di riflessione teologico-ecclesiale, che di vita vissuta) per proporre al mondo di oggi e alla sua ricerca di senso e di pienezza quell’oltre-uomo del Vangelo (come recita il titolo di un sussidio per il Convegno preparato dal Seminario arcivescovile di Cosenza), che trascende l’humanum attraverso il dono e l’offerta-di-sé all’altro.
fr. Daniele Aucone, O.P.