Gregoriano ed anime nude: una questione di vestiti
Al dire di molti la situazione canora della Chiesa in Italia non è delle migliori: canzoni e canzonette, chitarre elettriche e batterie non sembrano essere capaci di mettere al centro Colui che nella liturgia lo è veramente: Cristo. In tutto ciò, a mio avviso, c'è del vero. Tuttavia queste brevi righe non vogliono soffermarsi su ciò che non va (per lamentarsi, infatti, ci vuole sempre poco...), quanto piuttosto esprimere quello che potrebbe essere un punto di vista “alternativo”.
Confrontandomi con tanti coetanei (e non solo), sento dire sempre più spesso che l'uomo di oggi è in realtà come nudo, senza più “vestiti” che lo possano ricoprire e distrarre dal suo sentirsi un nulla. Bisogna ammetterlo, siamo uomini e donne del “post”: post-bellici (frutto dei due vergognosi conflitti mondiali), post-religiosi (frutto dell'Illuminismo europeo), post-affettivi (frutto di quello che alcuni definiscono l'egocentrismo affettivo), e via discorrendo. Davanti a così tanti “post” ci si domanda se non sia il caso che la Chiesa, oggi, ricerchi una “post-musicalità” più adatta all'uomo di contemporaneo, alle sue esigenze e ai suoi ritmi. L'interrogativo è lecito e non bisogna aver paura di porselo: arroccarsi infatti in sogni nostalgici o falsi visioni del passato non è di certo “roba da cattolici”, quanto piuttosto da ideologisti.
Per capire come muoversi nell'intricata matassa, occorre secondo me partire dal fatto che nella nostra giornata e settimana ci sono momenti fra loro diversi e distinti. Come infatti esistono momenti distinti, esisteranno anche musiche adatte e differenti. Sarebbe paradossale, ad esempio, se durante una festa in cui si balla e si ride si mettesse come sottofondo musicale un “Requiem” gregoriano, come sarebbe altrettanto assurdo se durante una messa domenicale si cantassero canzoni come “American idiot” dei Green Day... proprio fuori luogo!
Siamo quindi d'accordo che ad ogni momento corrisponde una sua musica adatta. Bene. Quello che voglio dire, per non farla troppo lunga, è che secondo me ad una persona che si sente come “nuda” di fronte all'immensità delle vicende della vita, occorrerà non un “vestito” sfarzoso, ma una cosa semplice e bella, che la faccia sentire a proprio agio e che la “rivesta” con una nobile tranquillità, una semplice serenità.
Questo, secondo me, è proprio lo spirito del gregoriano. Esso infatti non si riveste di inutilità, ma dà nobile importanza ad ogni cosa che propone, dai più semplici respiri ai più apparentemente complicati melismi; è un modo di pensare la vita, un modo di rapportarsi con Dio che ci apre alla semplicità e tranquillità di cui parla il salmo 130 (“Io sono tranquillo e sereno, come bimbo svezzato in braccio a sua madre”). Proprio questo fa il canto gregoriano: dà quel poco che possiede a colui che sente di non avere nulla. E che cosa dona? La Parola di Dio, che insieme ai sacramenti è l'unico balsamo efficace a curare le profonde ferite dell'uomo.
Potrebbe però sorgere un interrogativo: come reinserire il canto gregoriano in ambienti ormai (quasi) del tutto “de-gregorianizzati”? Se è infatti vero da un lato che è difficile proporre ai nostri contemporanei una musicalità così lontana dai modelli attuali, è altrettanto vero che una introduzione lenta, delicata e graduale alla semplicità del gregoriano (nei momenti che gli sono propri, cioè quelli liturgici) aiuterà tutti a tornare a quell'essenziale (il Regno di Dio di cui parla Gesù) che riempie la vita. È una questione, infine, di comprensione: occorre introdurre al gregoriano, senza pretendere che tutti lo capiscano magicamente e repentinamente.
Tuttavia se è vero che il simile conosce il simile, allora certamente le nostre anime “nude” riconosceranno nelle semplici e nude musicalità gregoriane Colui che si fece nudo, per amore di noi, sul legno della croce.
fr. Fabrizio P.M. Cambi, O.P.
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