In onore di S. Alberto Magno
1. Ogni giorno i mass media catapultano nelle nostre menti quantità incredibili di informazioni scientifiche. Il bosone di Higgs, le onde gravitazionali, nozioni spicciole di biologia, i differenti sistemi immunologici dei vaccini, informazioni mediche, sono solo una scrematura di superficie. Nelle librerie non manca ormai uno scaffale dedicato alle differenti scienze, con volumi didattici e specialistici. Si percepisce inoltre un clima generalizzato avido di risposte ai grandi perché dell'universo e della vita, che intriga "sia grandi che piccini". Se questo è il freddo dato riscontrabile, ciò che sorprende è ciò che è in sospensione sotto la superficie. Intendo il non accontentarsi più di un ossequio deferente alla scienza, ma l'aver iniziato ad interrogare in profondità alcune discipline scientifiche tipo la cosmologia, la biologia, l'astronomia, le cui risposte hanno la caratteristica di trascendere le scienze stesse richiedendo un ulteriore approfondimento biblico e teologico.
Sembra si stia profilando il volto di un tempo nuovo necessitante di una risposta responsabile, che poggi su un sapere non più parcellizzato in discipline, ma in uno schema che ricorda la philosophia perennis. Riecheggia così, portato dal vento del tempo, il ricordo che quando l'Aquinate si mise in viaggio per il concilio di Lione nel 1274, sul tavolo di lavoro lasciò aperto in De caelo di Aristotele.
La storia domenicana è ricca più di quel che si pensi di frati e laici/laiche domenicani che hanno donato notevoli contributi nei differenti ambiti scientifici. Sarebbe arricchente poterne un giorno ricostruire la storia. Tra essi emerge per grandezza di pensiero e di visone sant'Alberto Magno, il maestro di san Tommaso a Colonia. Il sant'Alberto Magno che nel 1931 Pio XII proclamò Dottore della Chiesa universale e nel 1941, in periodo dove sventolava invitto il vessillo dell'ateismo razionale, «Patrono davanti a Dio degli studiosi di scienze naturali» (Cfr il Breve Ad Deum del 16 dicembre 1941, in Acta Apostolicae Sedis 34 (1942), pp. 89-91). Personalmente sono orgoglioso di aver fondato presso l'Angelicum l'Istituto Alberto Magno per la ricerca epistemologia, ormai associato in via stabile con l'Università di Bruxelles e con altre istituzioni e ormai dotato di una sua propria collana editoriale. Questo perché la sua memoria non va persa, avendo egli contribuito notevolmente all'attuale fisionomia dell'Ordine. Pochi forse sanno che fu Alberto Magno a convincere i capitoli dell'Ordine a rafforzare la competenza teologica dei frati aggregandole una solidissima base razionale e filosofica. Ora, non è certo mia intenzione entrare nei dettagli dell'opera di Alberto, che non è tema per questo panegirico in suo onore, ma neanche sottovalutare il suo apporto alla scienza e al metodo scientifico in generale.
2. Lasciando agli studi circostanziati e specialistici (non molti a dire il vero) la complessa questione della biografia di sant'Alberto, qui è altro che vorrei sinteticamente sottolineare. Ossia che la "magnanimità" di Alberto non sta solo e soltanto nel suo valore di scienziato, ben sì anche nella sua competenza teologica e nella sua intensa vita spirituale. Gli scritti sulla Santa Eucarestia sono forse il luogo dove questa doppia attitudine (teologica e spirituale) emerge con una chiarezza lampante. Ma sant'Alberto Magno fu prima di tutto, almeno nel suo pensiero, un frate domenicano, ossia un "operatore" della parola di Dio. Ciò che lo caratterizzò è che in Essa egli cercò la spiegazione della bellezza del mistero del creato (della Natura). Il suo lucido modo d'intendere la scienza è sempre stato al servizio della spiritualità e della fede. Mentre osservava e studiava la Natura, egli ne apprezza il valore leggendola alla luce dei piani di Dio. Con finezza intellettuale Pio XI nel 1931 ebbe modo di puntualizzare che: «Figure come quella di Alberto stanno a ricordare che fra scienza e santità non esiste contrasto alcuno, quel contrasto che trova posto in quelle povere anime che non sentono l’ineffabile vincolo di parentela, la profondità e la sublimità dei rapporti che uniscono la verità e il bene» ( Cfr. Osservatore Romano del 16 novembre 1931). Alberto Magno in effetti fu nel suo tempo, come lo è oggi, un testimone fedele del e al messaggio profetico di san Domenico. Lo assimilò, lo visse e lo rese vivo nel trittico studio-preghiera-predicazione. A tal proposito fa riflettere l’incipit dell’iscrizione che fu posta sulla tomba originaria di Alberto, tumulata davanti ai gradini dell’altare della Chiesa conventuale di Colonia: Phenix doctorum, paris expers, philosophorum Princeps, verborum vas fundens dogma sacrorum. Oggi, come noto, la tomba del Nostro Santo è posta nella cripta del nuovo Convento di Colonia, costruita come uno stupendo parallelepipedo in pietra grigia scalpellata. Ciò a ricordare la solidità della sua dottrina e la semplicità della sua vita.
L’afflato che da respiro alla vita dei santi è la carità, che poi è il principio generale che informa le varie spiritualità religiose. La carità essendo unica nel suo principio e nel suo oggetto, varia in ragione del modo di attualizzarsi da spiritualità a spiritualità. In san Domenico questa specifica modalità si concretizza nell’amore della verità, che possiamo intendere come l’idea madre che dovrebbe guidare e modellare la vita di ogni frate domenicano (Cfr. D’Amato, Alfonso, Il progetto di san Domenico, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1994, pp. 13-26). Concretamente essa si esercita in quel sermo sapientiae di cui parla san Paolo (1 Cor. 12,8), che consiste nel rendere comprensibili ai figli di Dio i corretti significati dei misteri della fede. Un tale richiamo alla sapienza non è casuale, proprio perché è essa che dovrebbe caratterizzare il modo di predicare del domenicano. Dante Alighieri, che con i domenicani fiorentini ebbe una lunga frequenza, lo aveva ben compreso. Nel descrivere la personalità e la missione di san Domenico gli dedicò questa nota terzina: «per sapienza in terra fue / di cherubica luce uno splendore» (Dante Alighieri, Paradiso, XI- 38-39). Non a caso nelle sue opere sant'Alberto ribadisce continuamente che la verità non è che una (la sapienza di Dio), e ogni essere umano che cerchi onestamente la verità sarà certo di concludere che le risultanze della teologia non potranno mai essere in contraddizione con le affermazioni della scienza. È da questa tensione "sapienziale" che prende forma e si modella la santità di Alberto. San Domenico in effetti non si accontentò di denunciare ai suoi frati il dovere della ricerca della verità, ma richiese che questa verità fosse amata in sé stessa, perché espressione di Cristo (Cfr. Gv 14,6). La conquista della verità e il suo donarla sono i due imprescindibili cardini su cui si fonda la spiritualità domenicana. E così fu per sant’Alberto Magno. Sta qui in evidenza un punto prospettico utile a comprendere come sant’Alberto seppe valorizzare la sua indagine sulla verità della natura in risposta e in virtù di un carisma che gli era proprio, tenendosi ben lontano dalla tentazione di adattare e piegarlo alle sue esigenze intellettuali, riuscendo invece a mettere a servizio della verità i suoi talenti di osservatore e il suo appassionato amore per la natura. Potremmo in breve sintetizzare tutto ciò col riconoscere che sant'Alberto seppe muoversi con maestria tra Scienza e Sapienza.
Pizzicando qua e là tra i suoi progressi intellettuali annotiamo infatti che egli intenderà il metodo scientifico secondo questo schema: «Colui che è contrario non è confutato se non in due modi, ossia con la dimostrazione delle verità e con la manifestazione dell’errore; questo non avviene se non mediante un’argomentazione adatta a partire dalla ragione d’autorità o dalla ragione naturale o di un'analogia opportunamente desunta. E questo modo è quello della scienza» (Comm. In Sent. I, 1, 5). Per sant'Alberto è notorio che le scienze si devono servire della “ragione naturale”, dell'argomentare secondo i dettami aristotelici. Ossia col procedere in virtù della conoscenza delle cause» (Analitici Secondi, II, 19, 100 b 10). Se questo riguarda la Scienza, la Sapienza ha invece lo scopo di interessarsi delle “cause ultime”, quelle che hanno in Dio il loro centro e la loro spiegazione. Esse necessitano per essere conosciute di un sapere che va oltre la semplice ragione naturale, ovvero un sapere sopranaturale. È grazie al santo Dottore di Colonia e alla sua rivoluzionaria attenzione ad Aristotele che ancora oggi possiamo essere certi che la sapienza non è riducibile alla scienza e nemmeno alla conoscenza. Secondo Aristotele la scienza non è che una sottospecie di conoscenza (Peri Hermeneia, 17 a). Ancora con Aristotele possiamo dire che la sapienza trascende la sola applicazione del criterio di verità per appropriarsi anche di funzioni che riguardano il campo dell’etica. Al sapere teoretico nella sapienza si aggiunge quello pratico, rendendo con ciò la sapienza più universale della semplice ragione. Fosse solo per questo la sapienza sarebbe comunque da preferire alla scienza.
Ma guai se si dimenticasse la sua parallela attività di teologo. Qui Alberto raggiunge vette di alta sublimità, quali i ricordati trattati sull’Eucarestia, elevatissime e somme pagine sul Sacramento dell'altare. Oppure la sua Summa e il trattato sul Bene. In essi trova conferma l’attitudine speculativa di sant'Alberto e il possesso di un proprio dono mistico. Ancora una volta vi si noterà il principio che i due suoi campi di lavoro, quello delle scienze naturali e quello teologica, non sono scissi tra loro. Un insegnamento che forse, vista la premessa, bisognerebbe imparare a recuperare. Si ricordi però che se il teologo nell'accogliere il confronto con le altre scienze e con lo spirito del tempo, trascurasse o abbandonasse ogni riferimento spirituale a Dio, compreso il quotidiano dialogo con l' Altissimo nella preghiera, non riuscirebbe ad affrontare il peso schiacciante del contemporaneo con le sue capziosità e vi soccomberebbe. Ed in effetti, come con dovizia di particolari ci riferiscono i suoi contemporanei, sant'Alberto, pur avendo una attività frenetica, non tralasciò mai la preghiera corale o la meditazione. Mai il suo assiduo e protratto studio delle cose naturali gli fece dimenticare di volgerli in ginocchio al cospetto di Dio. Più che studiare il creato egli volle anzitutto contemplarlo, al fine di poter meglio lodare il suo Creatore grazie e in forza dello studio.
Abbiamo riassunto con una insufficiente e brutale descrizione alcune delle perle che è possibile raccogliere dall'opera di sant'Alberto Magno. Dalla matematica alla fisiologia, dalla medicina al movimento, dall’astronomia fisica allo studio delle piante, dai minerali allo studio degli animali, non ci fu campo del creato in cui egli non provò ad inserirsi e cimentarsi. Lo fece seguendo fedelmente il metodo dell'osservare: «Ciò che io insegno nelle diverse specie vegetali io l’ho potuto osservare personalmente» (De vegetalibus, VI libro (inizio). Ma la sua grandezza resta quella di aver saputo elevare la scienza a sapienza. Un insegnamento che lo rende a noi attualissimo, considerato che, a mio modesto giudizio, questa è la sola strada che ci è permessa per uscire dalla palude di questa scienza ormai abortita in tecnica, che è come dire in profitto economico. Sarebbe per me un gaudio se in questo Giubileo degli 800 anni dell'Ordine finalmente qualcuno pensasse a rendere presente l'insegnamento profetico del nostro confratello Sant'Alberto Magno, Dottore della Chiesa e patrono degli uomini di Scienza.
fr. Alessandro Salucci, O.P.