A scuola della misericordia
Quando nel Padre nostro chiedo al Signore di perdonarmi come io perdono gli altri, mi assale un senso di paura e di colpa, cui reagisco rovesciando la richiesta e supplicando il buon Dio che mi insegni a perdonare come lui mi perdona. Starei fresco se il Signore fosse misericordioso con me come io lo sono con gli altri! E allora facendo questa preghiera, mi ritrovo alla scuola della misericordia di Dio.
Il perdono che ci ha creati
In principio era la misericordia. Da essa siamo stati creati. La misericordia, infatti, è l'amore che va oltre la giustizia e il nostro venire alla vita è stato frutto di un amore in eccesso, non certo di un dato di giustizia. Dunque siamo stati creati da un gesto misericordioso, fatti da mani misericordiose, pensati da una mente misericordiosa. Siamo come impastati di misericordia: questa materia-prima ci costituisce come esseri chiamati alla vita da un perdono che ha preceduto anche il nostro errore e il pentimento.
Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Dio degli dèi: perché eterna è la sua misericordia.
Lodate il Signore dei signori: perché eterna è la sua misericordia.
Egli solo ha compiuto meraviglie: perché eterna è la sua misericordia.
Ha creato i cieli con sapienza: perché eterna è la sua misericordia.
Ha stabilito la terra sulle acque: perché eterna è la sua misericordia.
Ha fatto i grandi luminari: perché eterna è la sua misericordia.
Il sole per regolare il giorno: perché eterna è la sua misericordia;
la luna e le stelle per regolare la notte: perché eterna è la sua misericordia. (Sl 135)
Se questa è la nostra origine il perdono non è più una realtà occasionale, di cui abbiamo bisogno ogni tanto: noi siamo esseri perdonati. Se Dio non fosse misericordia noi non saremmo mai esistiti. La creazione ci appare, allora, come un grande gesto di misericordia e la nostra vita diventa storia della fedeltà di questo amore gratuito. Ogni giorno che passa è un perdono sempre nuovo, personale, creativo. Ma anche discreto e silenzioso. Siamo immersi nella misericordia, ma potremmo anche non rendercene conto.
Solo Dio può insegnare a perdonare. Ma il suo amore per noi non ci rende bambini viziati, non gratifica la nostra sete di sentirci al centro dell’attenzione di qualcuno, così come il suo perdono non è uno sconto o un condono, né un lasciar perdere o un cancellare e basta.
Dio perdonando crea in noi un cuore nuovo, fatto su misura del suo, capace di perdonare alla maniera sua. È questo il segno più grande della sua misericordia: ci ama al punto da mandarci nel mondo come strumenti della sua riconciliazione, mettendoci in cuore un amore che va oltre la giustizia. Poter perdonare è dono di Dio; è soprattutto chi perdona che fa esperienza di essere amato dal Padre (e che siamo dio). Purché la sua misericordia sia modellata su quella divina. Non ogni nostro perdono, infatti, è cristiano, ma solo quello che ripete, per quanto possibile ad una creatura umana, le caratteristiche fondamentali del perdono divino: perdono creatore e perdono redentore.
Perdono creatore
E’ un atto di misericordia che ci ha dato la vita, umana e cristiana, precedendo anche il nostro errore e il pentimento. Ed è sempre atto creativo il perdono che riceviamo continuamente da Dio nella nostra vita. Da questa verità derivano alcune importanti conseguenze.
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Il perdono è gesto gratuito, non legato alla richiesta dell'altro e neppure al suo pentimento. Chi perdona anticipa tutto questo: non sta ad aspettare l'altro o a scrutare i segni del suo pentimento. È disposto, se necessario, a fare il primo passo e, in ogni caso, non pone condizioni a chi l'ha offeso né si attende eterna riconoscenza.
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Il perdono è gesto umile che non umilia, così discreto e silenzioso che il perdonato potrebbe anche darlo per scontato o non sapere quanto è costato. Dare il perdono non significa mettere l'altro in ginocchio perché riconosca i suoi torti, e nemmeno fargli pesare, con sottili malignità, la sua colpa. Il perdono, infatti, nasce in un cuore educato dalla misericordia divina, e si manifesta all’esterno con un fare mite e arrendevole.
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Il perdono è più uno stile di vita che non un atto legato alla trasgressione. È un modo di mettersi di fronte all'altro e alla sua debolezza perché è uno stile di bontà, di comprensione, magnanimità; stile di chi non bada a quel che l’altro merita, né si scandalizza della sua miseria. La persona misericordiosa non può dimenticare di essere anch'essa caduta tante volte senza subire condanne.
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Il vero perdono è sincero, dice una volontà reale di accoglienza e comunione. Il perdono è sincero quando nasce dalla convinzione che il legame con l'altro è importante e vale la rinuncia a esigere riparazione per un torto subito. A volte dunque potrà essere sofferto il perdono, ma mai solo volontaristico o troppo forzato. Chi perdona, di conseguenza, non mette in conto all’altro il passato, magari lo dimentica, ossia lo rende sempre meno influente; mentre riconosce al presente il suo bisogno di un tu, o perlomeno è così realista che preferisce umiliarsi e non farla pagare piuttosto che isolarsi e privarsi del bene della relazione; e così può costruire un futuro nuovo, che non sia la semplice riedizione del passato, monotono ripetersi di torti, ripicche, vendette, ritorsioni, che si rincorrono come in un gioco tra bambini.
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Può nascere un futuro diverso perché il perdono è un messaggio di stima e fiducia all'altro, un credere nella sua amabilità oggettiva, che persiste al di là della colpa, un cogliere la verità del suo io, dietro la maschera delle difese e delle cadute. Chi perdona è convinto che il fratello sia migliore di quel che appare e si ostina a fargli capire, con la sua comprensione, come sia inutile difendersi e nascondersi.
Per tutti questi motivi il perdono non è semplice compassione, tantomeno è coprire con il manto della carità; al contrario è forza che provoca la scoperta e la rivelazione della propria identità (= essere uno capace di amare con il cuore stesso di Dio). È quell'energia nascosta nelle parole di Gesù: "va, e non peccare più" (Giovanni 8,11), forza che crea quello che dice.
Perdono redentore
La prima e fondamentale conoscenza del perdono l'uomo la fa con Dio. Sembrerebbe scontato: Dio infatti ci perdona sempre ogni qualvolta che ci rivolgiamo a lui pentiti, coscienti del nostro peccato e fiduciosi nella sua misericordia. Ciò che non è scontato è l'esperienza soggettiva del perdono. Perché non sempre ci sentiamo perdonati, o se ci sentiamo perdonati non ne sappiamo abbastanza godere. Di conseguenza non avvertiamo molto il bisogno di celebrare questa misericordia, e quando lo facciamo, i nostri esami di coscienza e le nostre confessioni sono così poveri di dolore da renderci poco sensibili alla grazia del perdono. Eppure in quel momento Dio opera efficacemente in noi; e non solo in quel momento.
Riconciliati con Dio.
Dio è il vero autore della pacificazione interiore. Noi possiamo solo chiederla e disporci a riceverla; Dio è l'artefice grazie al sangue di Cristo, egli infatti è la nostra pace. Dio in Gesù Cristo ha già fatto pace con noi: quella riconciliazione è già avvenuta e si è compiuta una volta per sempre attraverso la croce. Quando noi chiediamo il perdono sappiamo di averlo già ricevuto, la nostra richiesta è stata esaudita già prima che gliela chiediamo: la redenzione si compie ogni volta che un peccatore si pente.
Non c'è più posto per la paura, il dubbio, l'angoscia, l'ossessione, lo scrupolo. Ma non può esserci nemmeno l'indifferenza, l'imperturbabilità, la comoda passività. Se c'è di mezzo la croce non si può dubitare del perdono, ma nemmeno restare indifferenti e impassibili.
La riconciliazione con Dio passa necessariamente attraverso la contemplazione della croce. La croce, infatti, da una parte è certezza del perdono, e dall'altra è il segno del costo di quel perdono.
La croce è la misura dell'amore del Padre e del mio peccato: La riconciliazione con Dio è l'incontro con quell'amore e la coscienza di quel peccato. Dunque, non vi può essere riconciliazione senza l’esperienza della croce.
Ma con quale Dio ci riconcilia il sangue di Cristo? Evidentemente con quel Dio manifestato ed espresso dalla croce stessa. Che è un Dio probabilmente molto diverso da certe nostre concezioni della divinità.
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È un Dio debole e impotente che si lascia crocifiggere e rinuncia alla sua onnipotenza: Cristo pur essendo di natura divina, annientò se stesso… Un Dio che non si impone ma si propone.
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Un Dio umile e umiliato: non fa valere i suoi diritti, tace, accetta di essere rifiutato, condannato da chi aveva beneficato, un Dio che non rifiuta e condanna nessuno.
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Un Dio ricco di compassione e di misericordia: un Dio che soffre con e per coloro che ama (la salvezza è questa). E che tutto questo lo fa per amore ce lo dimostra con il perdono che ci proviene da quella croce: "gli sembrava poco perdonare ha voluto anche scusare" (Aelredo).
Se anche noi siamo stati perdonati in quel momento siamo stati riconciliati con questo Dio. E se facciamo l'esperienza del perdono dinanzi alla croce scopriamo questo stesso Dio misteriosamente debole e profondamente amante. Ecco perché il nostro cammino di riconciliazione deve necessariamente passare attraverso la contemplazione della croce: perché la croce di Cristo purifica la nostra immagine di Dio, distrugge i nostri idoli (la croce è scandalo e follia). Il Dio della croce, infatti, è più scandalo che fascino, e per questo è molto difficile servirsene per giustificare la propria condotta. Semmai la provoca, la contesta e la giudica. Ma resta sempre con le braccia aperte ad accogliere chiunque riconosce il proprio peccato e crede alla sua misericordia. È il Dio della Misericordia: "lasciamoci riconciliare" dalla sua croce e con la sua croce!
Confessare a Dio il proprio errore vuol dire sperimentare l'abbondanza del suo perdono e sentirsi riconciliati con il Dio della croce, debole e amante. Tale esperienza genera (o dovrebbe generare) in noi una corrispondente attitudine misericordiosa:
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Una misericordia sovrabbondante, generosa che va oltre l'entità della colpa e non si accontenta di ristabilire in qualche modo il rapporto, di ridare il saluto, di non rifiutarsi all'altro, ma è gesto positivo di incontro, di accoglienza, di cordialità. È un cercare volutamente lo scambio e lo stare insieme; è essere disponibili a ripetere il perdono fino a settanta volte sette, senza vergognarsi di passare per fessi, né atteggiarsi a eroi.
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Questa misericordia, infatti, è amore che va oltre la giustizia, e si giustifica e può essere compresa e messa in pratica solo se contiene e manifesta amore. Il perdono senza amore, se mai è possibile, è non-perdono. L'uomo misericordioso salva e redine solo in quanto è amante: vuole il bene dell'altro e si rattrista sinceramente per il suo male, sente il dovere di far qualcosa per lui perché la sua salvezza gli preme. Non c'è più solo la motivazione dell'utilità o dell'importanza del rapporto, ma quella più nobile e vera del sentirsi responsabile dell'altro.
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Questo amore è una forza potente, più grande del peccato, di fronte al male non si arrende, perché è sempre capace di riscoprire il bene o di salvare l'intenzione, di ridare speranza o di indicare ancora a camminare insieme. Anche quando l'altro sembra disinteressarsi di questa benevolenza o è intestardito nella sua ostilità. Per perdonare non occorre essere in due. Basta un atto di amore. Ma se è sincero è una forza che può cambiare la storia, pur se nella prospettiva dei tempi lunghi.
Perdonare da peccatori
Fin qui siamo stati alla scuola della misericordia divina. Ma c'è un'altra caratteristica, prettamente umana, del perdono. Noi dobbiamo perdonare da peccatori, non da giusti. Il che vuol dire che non possiamo dimenticarci del nostro peccato mentre scusiamo quello altrui. Sarebbe pericoloso questo vuoto di memoria: darebbe un tono di falsità alla nostra presunta misericordia, perché ci collocherebbe su un piano di superiorità rispetto all'altro, nella strana posizione del giusto. E il giusto non sa perdonare. Anzi è meglio che non lo faccia proprio, perché ne verrebbe fuori una contraffazione del perdono, un’indegna sceneggiata: lui che dall'alto del suo piedistallo si degna con munifica sufficienza di concedere indulgenza, e così può continuare a sentirsi sempre più giusto. Aveva ragione Gesù: chi è - o si illude di essere - senza peccato è buono solo a scagliare le pietre.
Il peccatore che perdona, invece, capisce che il perdono è più da condividere che da concedere: non è dare del proprio, ma attingere a un dono che viene dall'alto, senza del quale non saremo mai capaci di misericordia. Chi dona e chi riceve il perdono partecipano e godono assieme della stessa riconciliazione, con Dio, tra di loro, con il proprio personale peccato. Possiamo allora comprendere che il perdono non è mai solo da dare ma anche da chiedere. Basterebbe questa onestà e trasparenza interiore per dare al nostro perdono uno stile inconfondibile di semplicità e generosità, e farci abbandonare quella presunzione e sufficienza che lo rendono difficile e contorto.
In realtà perdonare sarà sempre qualcosa di difficile, a volte ci sembrerà addirittura impossibile: vi possono essere ferite inferte da altri, infatti, che non si rimarginano tanto facilmente e che ancor meno facilmente riusciamo a dimenticare. In questi casi il perdono è solo desiderio, tensione ideale, riconoscere la propria fatica, supplica per chi ci ha ferito e per la ferita stessa che non si rimargina.
"Signore, insegnaci a perdonare". E ci ritroviamo ancora alla scuola del Dio della Misericordia.
fr. Vincenzo Caprara, O.P.