DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Gesù, le tentazioni e Tommaso d'Aquino

A conclusione del suo commento sull’episodio evangelico di Lc 4,1-13, san Tommaso presenta questa considerazione un po’ sorprendente:

In ciò che abbiamo visto, l’evangelista mostra come Cristo sia stato esaminato e promosso, mediante la sua vittoria sul diavolo, e ora mostrerà come Cristo incominciasse ad insegnare.

Dicevo questa notazione sorprendente, perché è evidente che, per poter insegnare, Gesù non avesse avuto bisogno di superare un esame e siamo, perciò, tentati di veder nell’espressione di san Tommaso solo una battuta adatta al suo uditorio, ma senza vera consistenza. Se, tuttavia, ci riflettiamo meglio, possiamo forse scoprire in queste parole una chiave per capire più profondamente l’evento, che ci viene riportato, della tentazione di Gesù.

 

Come ho già rilevato, Gesù non aveva bisogno d’esame, ma noi, per conoscerlo dobbiamo, in certo modo, fargli passare un esame, o almeno assistere a questo esame, ed è proprio ciò che capita nella scena delle tentazioni. Chi fa passare l’esame è il diavolo, il quale sospetta che Gesù non sia un uomo « ordinario » e, mediante le tentazioni, cerca di scoprire il mistero che presenta e, nello stesso tempo, se possibile, di riuscire a dominare questo personaggio per lui così tanto inquietante. Le tentazioni di Cristo sono, quindi, soprattutto una manifestazione del mistero di Cristo. Certamente, Cristo è stato veramente tentato, ma, a differenza di noi, le tentazioni non potevano aver su di lui alcuna presa, a motivo della pienezza di grazia che qualificava la sua umanità. 

Ci sono, infatti, due tipi di tentazioni: quelle che provengono da noi stessi, dalle pulsioni delle nostre passioni disordinate o, per dirlo con san Paolo e la tradizione, dalla nostra carne, e quelle che provengono dall’esterno, vale a dire dai suggerimenti dell’ambiente, di altri uomini o del demonio. Era impossibile che Cristo fosse soggetto al primo tipo di tentazioni, poiché, a motivo della sua pienezza di grazia, la sua ragione umana dominava e regolava perfettamente i movimenti delle sue potenze inferiori, della sua affettività; poteva, invece, esser tentato dall’esterno ed è a questo che ci fa assistere oggi la pericope evangelica. Certamente, era anche impossibile che Gesù avesse potuto acconsentire ad una tentazione esteriore, poiché la visione beata fissava la sua volontà umana nel bene assoluto che è Dio e rendeva inattuabile l’acconsentire a qualsiasi atto o pensiero che fosse contrario a questo bene. Come dice Gesù stesso: « Il mio nutrimento è fare la volontà di colui che mi ha mandato » (Gv 4,34).

daniel ols  fr. Daniel Ols, O.P.Ma questo, che abbiamo appena ricordato, non impedisce che Gesù fosse stato veramente tentato, anche senza che ci fosse alcuna possibilità di successo della tentazione. Se, dunque, Gesù, nella sua umanità, non avesse nulla da provare né di fronte a Dio, né di fronte a se stesso, perché allora « è stato guidato dallo Spirito, nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo » (Lc 4, 12)?

Organizzando un po’ i molti testi della tradizione su questo punto, san Tommaso individua quattro motivi a questa tentazione di Cristo:

1. Cristo ha voluto darci aiuto nelle nostre tentazioni, confortandoci, poiché vediamo che egli stesso è stato tentato dal maligno. San Gregorio insegna: Non è indegno del nostro Redentore aver voluto essere tentato, lui che era venuto per essere ucciso. Era certamente giusto che così, per le sue tentazioni, vincesse le nostre tentazioni, come era venuto per distruggere con la sua morte la nostra morte.

2. Cristo ha voluto metterci in guardia, manifestando che nessuno è così santo da potersi sentire al sicuro e immune dalla tentazione; ed è per questo motivo che ha voluto esser tentato subito dopo il battesimo, poiché, come dice sant’Ilario: Il Signore è stato tentato subito dopo il battesimo, indicando così, con la sua tentazione, che le tentazioni del diavolo attaccano massimamente noi quando siamo stati santificati, perché la vittoria che più ambisce è quella sui santi. E, perciò, dice l’Ecclesiastico (Sir 2,1): « Figlio, se intraprendi di servire Dio, sta nella giustizia e nel timore, e prepara la tua anima alla tentazione ».

3. Cristo ha voluto darci un esempio, mostrandoci come si vincono le tentazioni del demonio. E prima di tutto, digiunando, perché con il digiuno, se lo facciamo per amore di Dio, ovviamente, ci armiamo contra le tentazioni. Poi, nel modo in cui egli resiste al demonio, non lascandosi raggirare dalle sue lusinghe né dalle sue promesse, ma avendo solo in vista la volontà di Dio. E, pertanto, sant’Agostino commenta: Cristo offrì se stesso alla tentazione per essere il nostro mediatore nel superamento delle tentazioni non solo mediante il suo aiuto ma anche mediante il suo esempio.

4. Infine, Cristo ha voluto darci fiducia nel dono della sua misericordia. Infatti, ci dice l’epistola agli Ebrei: Non abbiamo un pontefice che non sia in grado di compatire alle nostre infermità, essendo stato tentato in tutto, come noi, senza, però, peccare (He 4,15).

Ma a questi quattro motivi, possiamo aggiungerne anche un quinto, che riguarda chi, nella Chiesa, è chiamato ad insegnare e predicare (e cioè, in particolare, noi frati predicatori). San Tommaso, infatti, aggiunge subito dopo, nell’ad 1m, questa considerazione che dobbiamo meditare, io per primo:

Nessuno deve assumere l’ufficio della predicazione, se prima non è purificato e perfetto nella virtù, come è detto di Cristo, negli Atti 1 [1]: « Gesù cominciò a fare e ad insegnare ». E, perciò, subito dopo il suo battesimo, Gesù adottò una vita austera, per insegnare che è dopo aver domato la loro carne che conviene agli altri di passare all’ufficio della predicazione, secondo queste parole dell’Apostolo: « Castigo il mio corpo e lo riduco in servitù, per paura che, forse, predicando agli altri, non sia io ad essere rigettato » (1 Co 9,27).

tommaso aquino   S. Tommaso d'Aquino, O.P.Però, c’è anche un’altra cosa, assai importante da aggiungere. Abbiamo notato come, attraverso le sue tentazioni, il diavolo cerca anche e soprattutto di capire chi è Gesù. Ora dobbiamo dire che Gesù lo accontenta, ma entrando in un certo modo nel suo gioco e rispondendogli in modo ambiguo. Alla proposta di gettarsi dal pinacolo del tempio, fidandosi di quanto diceva la Scrittura: « Darà ordine ai suoi angeli a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano » e « Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra », Gesù risponde con un’altra citazione scritturistica: « Non metterai alla prova (non tenterai, non tentabis, "oujk ejkpeiravsei") il Signore tuo Dio » (Dt 6,16).

Questa risposta di Gesù può, infatti, intendersi in due sensi. Secondo il primo senso, Gesù dice: « non mi voglio buttare, perché questo sarebbe tentare Dio »; secondo l’altro senso, Gesù dice: « io, che tu stai tentando, sono Dio in persona ed è scritto che non si deve tentare Dio ». Sicché questa risposta di Gesù è per noi preziosa perché vediamo come, fin dai primi momenti della sua vita pubblica, Gesù dimostra la conoscenza, nella sua anima umana, della propria divinità: anzi, capiamo che da sempre, vale a dire dal seno di sua madre, Gesù ha, nella sua mente umana, questa consapevolezza, conseguente alle visione beatifica di cui gode, e che a poco a poco cercherà di far conoscere e accettare ai suoi discepoli.

Così, giunti a questo punto, possiamo capire come questo esame che doveva superare Gesù, secondo quanto diceva la citazione di san Tommaso da cui siamo partiti, non significava nulla per lui, ma era importantissimo per noi; le tentazioni, che non erano in grado di muovere Gesù, sono invece, per noi, di grande insegnamento: non solo ci indicano (ma di questo non abbiamo parlato) quali sono le grandi regioni della debolezza umana: tentazioni materiali (cibo, sesso, denaro), tentazioni di vana gloria, tentazioni di potere e di dominio, ma soprattutto ci insegnano come dobbiamo comportarci di fronte ad esse e ci manifestano anche chi è Cristo: Dio stesso, Verbo incarnatosi per operare la nostra salvezza.

Cerchiamo, quindi, di trarre insegnamento da questo comportamento di Nostro Signore, che ha voluto così indicarci, fin dall’inizio del suo ministero, da un lato, l’oggetto centrale della nostra fede, cioè la sua divinità, e, dall’altro, la via per giungere alla vita beata, cioè il combattere le tentazioni come egli ce ne ha dato l’esempio, cosa alla quale, in questo tempo di Quaresima, ci dobbiamo applicare con rinnovato impegno.

fr. Daniel Ols, O.P.

 

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