Digressioni sul canto e l'esperienza cristiana
“Sei tu che susciti il desiderio di dilettarsi col lodarti, perché ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finchè non riposa in te”
S. Agostino, Confessioni, libro I
Ci sarà certamente successo di aver ascoltato una canzone, sia essa sacra o profana, e di esserci detti: “Ho la pelle d'oca!". Davanti a questo fatto viene a volte da domandarsi il perché, perché cioè ci emozioniamo sentendo certe cose.
Non é il caso ora di mettersi a separare la “bella” dalla “cattiva” musica. Vorrei piuttosto cercare di capire come mai ci emozioniamo profondamente quando udiamo certe melodie: ci ricordano qualcosa? Oppure forse muovono il cuore e lo fanno “volare”? Non dobbiamo arrivare ad una troppo rapida conclusione del tipo "ci portano in cielo", perchè significherebbe rispondere ad una bella domanda con un frase fatta. Perché allora non scegliere una guida, uno che ha già fatto un pezzo di strada e magari ci può dare qualche spunto per la riflessione? Proporrei di farci aiutare da Agostino d'Ippona e dalle sue Confessioni.
Egli, Agostino, non era affato diverso da noi: é stato un uomo in carne ed ossa con le sue emozioni, aspirazioni ed una storia personale fatta di contraddizioni e lotte interiori. In tanti, nel corso dei secoli, hanno letto le sue Confessioni. Perché? Forse perché non é altro che la storia di un uomo sincero e santo, che parla di sé senza ambiguità e doppi fini.
Nel quarto libro di quest'opera, Agostino ricorda un periodo molto buio della sua esistenza. Alla morte di un suo caro amico, egli sentì la sua anima come “dilaniata e sanguinante, insofferente di essere portata da me, e non trovavo dove deporla. Non aveva pace né negli ameni boschetti né nei giochi e nei canti né negli orti profumati né nei conviti sfarzosi né fra i piaceri dei giacigli e dei letti, e neppure nei libri e nella poesia” (ibid., libro IV).
Invece nel nono libro di questo suo “diario”, parla di una grande emozione che provò a Milano quando fu battezzato. Scrive: “Quanto piansi ascoltando nella tua chiesa l'armonioso risuonare delle voci che ti levavano inni e cantici!” (ibid., libro IX). É davvero significativo quello che dice: nel passato nulla, neanche la bellezza della musica, lo poteva consolare. Ora invece si emoziona al punto di arrivare a piangere nell'ascoltare gli inni sacri!
L'esperienza di Agostino ci insegna e ci conferma nel fatto che non é la musica in sé, con le sue note e i suoi giochi armonici, a donare pace al cuore e farlo finalmente riposare. Non sono neanche i lunghi silenzi da alcuni tanto desiderati. Sentiamo e sappiamo che il nostro cuore desidera qualcos'altro, un di più che sfugge persino alla musica e al silenzio, o che quanto meno non si identifica né con l'una né con l'altro, per quanto misteriosamente vi si nasconda. É come se dovessimo andare persino oltre lo stesso silenzio e le stesse armonie musicali per trovare quello che vogliamo.
Come ai tempi di Agostino, anche oggi la Chiesa prova ad aiutarci in questo nostro cammino verso l'Oggetto del nostro desiderio dando ad alcuni dei suoi figli il compito di cantare nelle celebrazioni liturgiche. Questi cantori hanno quindi l'onore - e l'onere - di scovare e svelare ai presenti quel Qualcosa che si trova oltre i canti e i silenzi. Grazie a loro, e cantando insieme a loro, potremo sperimentare quel piacere e quel diletto di cui parlò Agostino all'inizio delle sue Confessioni: “Sei tu che susciti [nell'uomo] il desiderio di dilettarsi col lodarti”. Ciò non avverrà semplicemente perché si canta qualcosa, ma perché dietro - e oserei dire dentro - a quelle note troveremo finalmente il Perché di tutte le cose, la Causa della nostra vita e la Fonte della nostra letizia: Dio.
fr. Fabrizio P.M. Cambi, O.P.