Pensare Dio nel “tempo della fine”
La prospettiva escatologica
nella riflessione di
Carlos Mendoza-Álvarez O.P.
Tra le diverse piste di riflessione che il Tempo liturgico di Natale offre alla nostra considerazione, una riguarda in particolare il rapporto tra il mistero dell'Incarnazione e la nostra esperienza della temporalità. Con il suo venire nella storia e il suo condividere la nostra condizione umana, il Messia immette nel corso ordinario degli eventi una temporalità nuova, non solo nel senso che l'Incarnazione segna il momento della “pienezza del tempo” (Gal 4,4), il suo “centro”, ma anche (e soprattutto) nel senso che essa segna l'inizio dei “tempi ultimi”, l'immissione dell' éschaton all'interno della storia stessa.
Lo abbiamo ascoltato nella Liturgia della Parola di qualche giorno fa: “Figlioli, è giunta l'ultima ora” (1Gv 2,18- 1° Lettura, messa del 31 dicembre), e ce lo ha ricordato spesso il periodo dell'Avvento, con i suoi numerosi riferimenti escatologici e i suoi rimandi al momento della parusìa, proprio a sottolineare l'intimo legame tra la venuta storica del Cristo e quella del suo avvento finale nella gloria.
Come ha sottolineato Giorgio Agamben, il tempo messianico non costituisce la fine del tempo, ma piuttosto “il tempo della sua fine” (Il tempo che resta. Un commento alla lettera ai Romani, Bollati Boringhieri, 2000, p.62), il tempo che separa l'inizio dell'éschaton dalla sua consumazione finale, il tempo “fattosi ormai breve” di cui parla Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (7,29), e che letteralmente indica un tempo “contrattosi”, “concentratosi” intorno a un punto (la sua fine, appunto, anticipata già ora). La Rivelazione ebraico-cristiana offre così un modello di temporalità alternativo a quello progressivo-lineare fatto proprio dalla Modernità, che intende il cammino storico dell'umanità come un continuo progresso in avanti (senza discontinuità), o a quello cosmico-ciclico comunemente accolto nel mondo greco o in antiche filosofie orientali, che immagina piuttosto un “eterno ritorno” di tutte le cose.
Tra i teologi che hanno cercato di raccogliere alcune di queste suggestioni sulla temporalità messianica nell'ambito di un impegno teologico e kerygmatico inserito nell'attuale contesto della Tardo-Modernità, merita senz'altro di essere segnalato Carlos-Mendoza-Álvarez O.P. (Provincia del Messico), addottoratosi in Teologia presso l'Università di Friburgo, e docente di Filosofia e Teologia presso la Università Ibero-Americana di Città del Messico (oltre che professore invitato in varie Università americane ed europee). A partire da una sensibilità latino-americana, ma aperta e in dialogo con le grandi tematiche della riflessione europea, Mendoza-Álvarez ha posto in particolare al centro della sua attenzione i rapporti tra teologia e crisi della razionalità occidentale , tentando di abbozzare le linee di quella che egli definisce una Teologia Fondamentale Postmoderna, incentrata su una razionalità dialogica e anamnetica, un “logos sensibile”, per dirla con le parole di Maria Zambrano. In particolare nella sua trilogia Deus liberans. La revelaciòn cristiana en dialogo con la Modernidad (Friburgo, Éditions Universitaires,1996), Deus absconditus. Désir, mémoire et imagination éschatologique, (Paris, Cerf, 2011) e Deus ineffabilis. Una teologìa posmoderna de la revelaciòn del fin de los tiempos (Herder, Barcelona, 2015), il teologo messicano tenta di delineare una Teologia della Rivelazione, che assuma come dato di partenza la crisi irreversibile della soggettività (narcisistica e autoreferenziale) moderna, e ad essa opponga la visione di una soggettività vulnerabile e aperta, disponibile al perdono e alla riconciliazione, pensata anche a partire da sensibilità e suggestioni tipiche della cultura Amerinda, come quella per la considerazione del punto di vista delle vittime e dei giusti.
Nel suo ultimo lavoro (Deus liberans), dedicato a quella che si potrebbe definire un'Escatologia fondamentale, il teologo domenicano pone al centro della sua attenzione il messaggio della speranza cristiana, divenuto compito urgente (teologico e pastorale) nel contesto culturale contemporaneo, in cui l'attesa del futuro si accompagna ormai spesso a uno sguardo di disillusione e disincanto,se non a una vera e propria inquietudine). Attraverso un percorso che passa per l'ascolto delle principali voci della critica contemporanea della soggettività moderna (Nancy e Girard), delle riletture più recenti (filosofico-teologiche) dell'escatologia e dell'apocalittica paolina (Agamben,Taubes, Schnelle), dei principali risultati della Third Quest negli studi sul Gesù storico (Theissen, Crossan, Meier), il saggio guida il lettore alla tesi centrale per cui se la temporalità escatologica è anticipata nell'esistenza storica del Messia (e soprattutto nella sua risurrezione), la condizione escatologica dei credenti (che la speranza teologale ha ad oggetto) è a sua volta anticipata nello stile e nella prassi di coloro che partecipano del suo agire. La “existencia de los justos” anticipa la condizione escatologica, decostruendo la spirale mimetica della violenza attraverso l'agire gratuito e asimmetrico del perdono, che partecipa della stessa donazione incondizionata divina, manifestata in Gesù.
Questo significa prolungare continuamente la trasformazione qualitativa del tempo operata dal Messia, sottraendolo a quell'inesorabile destino di crisi cui sembra ormai avviato con la concezione lineare moderna, e aprire lo lo spazio per un “cambio de mundo” possibile, e sperabile. Questo vuol dire in ultima analisi speranza escatologica: agire come cooperatori della grazia, e con ciò “contrarre” o “abbreviare” continuamente il tempo, nel senso indicato da san Paolo (1Cor 7,29).
fr. Daniele Aucone, O.P.