San Domenico: compassione e fraternità
Ci sono due caratteristiche del profilo e dell’esistenza di san Domenico che possono essere importanti per la nostra vita oggi. Un primo aspetto è la sua capacità di cambiare nel corso della sua esistenza, di essere aperto a seguire le chiamate che egli coglieva come Parola di Dio nella sua vita nel rapportarsi alle sofferenze degli altri. I testimoni che l’hanno conosciuto sono concordi nel dire che uno dei tratti propri della sua esperienza fu l’attitudine di compassione. Compassione è quella capacità di avvertire come propria la sofferenza e l’angustia dell’altro e dell’altra che s’incontra. Per san Domenico vivere la compassione significava non rimanere indifferente di fronte alle richieste che provenivano dalle persone che incontrava, richieste immediate, concrete, e attese di senso della vita.
Non aveva paura di piangere per le sofferenze che pesavano sulla vita di chi incrociava la sua strada. In questo lasciarsi toccare dai pesi altrui coglieva una chiamata di Dio, una Parola che lo portava ad uscire, ad orientare in modi sempre nuovi la sua esistenza, a scorgere traduzioni possibili di quella tensione a testimoniare il vangelo nella concretezza di un tempo e di un luogo.
Domenico scorgeva la Parola di Dio nelle parole umane: in quelle pronunciate come attesa e speranza nel dialogo a cui dedicava tempo, e le parole non dette del dolore e delle fatiche. Non rimaneva indifferente ma si lasciava coinvolgere. Mi sembra questo un tratto particolarmente importante oggi, in cui l’atmosfera preponderante è quella dell’indifferenza, del tenersi a distanza non solo da drammi di persone e popoli pensati come lontani, ma anche del non vedere e non farsi carico di chi è vicino. In tal senso quella di Domenico è spiritualità di occhi aperti e orecchie sensibili.
Un secondo tratto della vita di san Domenico è stato il suo orientamento a costruire fraternità e sororità. Al di là delle sua capacità e delle doti singolari, la tendenza profonda del suo agire e delle sue scelte è stata sempre quella di costruire esperienze di condivisione e fraternità in cui al centro fosse la missione del vangelo. Fu desiderio di condivisione il suo far parte dei proventi nel vendere i suoi libri nel tempo della carestia. Ma fu ancora desiderio di comunità il partecipare alla vita dei canonici di Osma con il vescovo Folco. Ancora fu apertura alla condivisione la scelta di trovare un luogo e modalità per cui alcune donne che avevano abbandonato famiglie catare potessro vivere insieme sostenendosi.
Fu quella condivisione di vita, insieme anche a laici il primo nucleo di quella che fu chiamata la ‘santa predicazione’, una comunità di vita e di preghiera unita dalla passione di vivere il vangelo e il suo annuncio. E infine fu desiderio di fraternità la sua lucida volontà di costruire un Ordine in cui fossero individuati strumenti per vivere insieme nel senso della fraternità guardando al futuro. Mi sembra che questo elemento della sua vita sia particolarmente importante oggi in un tempo in cui sperimentiamo la fatica di esperienze di solidarietà e di condivisione comunitaria ai tanti livelli della vita sociale.
A livello globale e internazionale viviamo oggi il venir meno dei legami e della attenzione al tessere percorsi di interrelazione, ma anche nel microcosmo di famiglie e comunità avvertiamo la fatica di custodire e promuovere legami di appartenenza reciproca e di impegno comune e condiviso in un contesto segnato da una parossistica prevalenza della preoccupazione per se stessi o tutt’al più per un piccolo gruppo. Questi due aspetti della vita di Domenico mi appaiono come provocazione ad una riflessione nostra oggi e come un eredità che ci rende responsabili.
fr. Alessandro Cortesi, O.P.