Andare o restare, l'importante è che si scelga
Commento alle letture
di Domenica 23 Agosto
Per comprendere ciò che ci viene comunicato dal vangelo di questa XXI domenica, dobbiamo richiamare alle mente le parole di Gesù nel vangelo di domenica scorsa. Siamo alla conclusione del discorso sul 'pane di vita', dove Gesù si rivela come colui che vuol fare dono di sé agli uomini tramite la sua carne (e il suo sangue).
Un donarsi del Cristo che ci rende partecipi dell'incarnazione di nostro Signore e ci immerge nella vita Trinitaria. Come noto Giovanni dedica nel suo vangelo diverse pagine a raccontare le reazioni dei presenti alle affermazioni teologico-spirituali di Gesù, ed è appunto questo il caso del nostro vangelo domenicale. Esso si apre con la constatazione della "durezza" di quanto ascoltato. Come è realizzabile il mangiare la sua carne e bere il suo sangue? È un assurdo, uno scandalo al quale Gesù non si preoccupa né di replicare, né di ammorbidire il tono.
Come nel brano del libro di Giosuè presentato nella prima lettura gli uditori sono posti di fronte all'alternativa: quale Dio vogliono seguire e servire? Il Dio dei loro padri o un falso idolo? Pur consapevole di aprire una 'crisi' tra il popolo Giosuè, e in modo più compiuto Gesù nel nostro passo evangelico, rivolgono un appello alla libertà individuale: andate o restate! L'importante è che scegliate.
Di fronte a questo appello accorato san Giovanni è un maestro nel comporre la scena che vede una diversa reazione tra i discepoli e i dodici apostoli. Da questo momento molti della folle che lo seguivano, tutti in attesa di miracoli e prodigi, lo abbandonarono tornandosene alle proprie case e ai propri affari. I dodici invece restano, perché, come si esprime san Pietro: «Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Mentre i vangeli sinottici concordano che questa cosiddetta 'professione di Pietro' sia avvenuta a Cesarea di Filippo, Giovanni, con la libertà che gli è propria la colloca qui. Il contenuto della professione di fede fatta da Pietro a nome degli altri è comunque identico. È la piena comprensione che Gesù Cristo rende 'viva' la vita, la rende degna di essere vissuta, perché il suo messaggio, la sua parola contiene quello che san Paolo prova ad esprimere nella parte di Lettera agli Efesini che abbiamo ascoltato sempre in questa liturgia domenicale.
Qui Paolo parlando del matrimonio cristiano paragona l'amore degli sposi all'amore di Cristo per la Chiesa, un amore che quando è spinto fino all'estremo della esemplarità della croce è il vero modello dell'amore umano. Ecco la chiave della vita e della vita eterna alla quale si riferisce san Pietro: l'amore oblativo, totale, senza e senza ma. Gesù Cristo, letto dalla comunità che scrive il vangelo giovanneo, è il vero modello dell'essere umano perché ha vissuto fino all'estremo l'amore per l'altro. L'Apostolo delle genti non sta perciò in questo passo discriminando tra uomini e donne, ma piuttosto partendo dal contesto matrimoniale del tempo eleva la condizione della donna alla parità di quella con l'uomo, fino a paragonare gli sposi uniti dal santo vincolo del matrimonio a Cristo e alla sua Chiesa.
Dai brani biblici odierni possiamo dunque in sintesi ricavare due cose: che non si può avere la fede se non attraverso un dono dall'alto, che è il dono dello Spirito, un potere che sta ben oltre le capacità umane (e che va continuamente implorato nella preghiera). Secondo che che il mistero della Resurrezione nel suo aspetto di umiliazione di fronte al mondo e di glorificazione di fronte a Dio è sempre all'opera in ogni luogo e in ogni tempo.
Una lezione che hanno ben compreso i santi a cominciar da santa Rosa da Lima, la grande santa domenicana la cui memoria liturgica si compie proprio questa domenica 23 agosto. Nata in Perù nel 1586 votò se stessa alla verginità fin da piccola e sull'esempio di santa Caterina da Siena vestì l'abito del Terz'Ordine Domenicano. Ispirata dallo Spirito di Cristo si dedicò a una intensa vita di preghiera interrotta solo da prodigiose opere di misericordia rivolte soprattutto alle popolazioni indigene che a cinquantanni dalla scoperta del Perù erano soggette a ogni forma di privazione e di angherie da parte dei conquistatori spagnoli, il tutto, per uno strano scherzo della storia, in nome della religione cattolica che erano venuti a portare, tradendo così Cristo e la sua Chiesa. Santa Rosa combattè invece affinché il vero volto di Cristo si mostri nella carità che lei sceglie di esercitare. Dopo anni di privazioni spirituali che la purificarono definitivamente, santa Rosa salì al cielo nel 1617 a soli 31 anni.
fr. Alessandro Salucci, O.P.