“Non abbiate paura della tenerezza”
Il messaggio inaugurale di Francesco (papa)
e l’esperienza spirituale di Domenico
Tra le diverse biografie su papa Francesco che sono apparse fin dall’indomani della sua elezione, non mancano quelle che hanno scelto come chiave di lettura privilegiata del suo messaggio e del suo stile pastorale quella della prossimità e della tenerezza.
È il caso del volume Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore, scritto con empatia e sapienza teologica dal card. Walter Kasper, o del saggio La rivoluzione della tenerezza. In viaggio con il papa che sta cambiando la Chiesa, del vaticanista del Corriere della Sera Gian Guido Vecchi. In effetti già in occasione dell’omelia di inizio del pontificato il 19 marzo 2013, papa Francesco, nel presentare la figura di S. Giuseppe, invitava la comunità cristiana a non “aver paura della bontà, anzi neanche della tenerezza”, e a imitare lo sposo di Maria quale custode premuroso e attento del piano salvifico di Dio. E in tanti gesti e messaggi di questi primi due anni del suo ministero petrino, Francesco sembra aver fatto della vicinanza e dell’attenzione cordiale e intensa al popolo di Dio la caratteristica principale della sua azione e del suo stile pastorale. Ma la dimensione della tenerezza e della vicinanza premurosa e cordiale all’altro sono un tratto tipico anche dell’esperienza e della personalità spirituale di S. Domenico.
Ce lo ricordava qualche giorno fa la seconda formula di benedizione finale prevista per la celebrazione eucaristica dell’8 agosto (“Egli che ha fatto rifulgere in S. Domenico la bontà e la tenerezza del nostro Salvatore…”), ed è una caratteristica che viene ripetutamente e concordemente attestata nelle fonti storiche e agiografiche dell’Ordine. La sensibilità spirituale di Domenico si esprime nell’affabilità e cordialità delle sue relazioni pastorali e fraterne (“nessuno si mostrava più socievole di lui con i frati o i compagni di viaggio”, Libellus de initio Ordinis Fratrum Prædicatorum, n. 105), nella sollecitudine premurosa e attenta con cui sa farsi prossimo a chi è in situazione di difficoltà (“Era un eccellente consolatore per i suoi frati e per quanti altri si trovassero in tribolazione o tentazione”, Atti del processo di Bologna, deposizione di fr. Paolo da Venezia), nella tenerezza commossa e commovente con cui si dedica al ministero della Parola (“nel predicare spesso piangeva e muoveva al pianto gli uditori”, Atti del processo di Bologna, deposizione di fr. Rodolfo da Faenza), alla celebrazione dell’Eucarestia (“sempre durante il canone i suoi occhi e le sue guance si rigavano di lacrime”, Atti del processo di Bologna, deposizione di fr. Stefano di Spagna) o al dialogo intimo e personale con Dio (“di notte, mentre pregava, si commoveva tanto da prorompere in gemiti e pianti, sicché i frati che dormivano non lontano si svegliavano e qualcuno di essi ne rimaneva toccato fino alle lacrime”, Atti del processo di Bologna, deposizione di fr. Stefano di Spagna).
Ma è soprattutto il confronto con l’eresia catara che offre a Domenico l’opportunità di orientare ulteriormente la sua esperienza spirituale in un senso decisamente anti-gnostico, come conseguenza anche della sua fede nella realtà e nella centralità del mistero dell’Incarnazione. Domenico infatti non si limita a confutare gli eretici sul piano teologico (come pure attesta l’intensa attività ministeriale svolta su questo piano), ma sviluppa un’autentica “mistica della carne” (Hadjadj) e un “umanesimo degli affetti” (Sequeri), che valorizza l’importanza della corporeità e della sensibilità, ingiustamente deprezzate nel quadro dell’eresia catara. La centralità della dimensione fisico-corporea nell’esperienza personale di Domenico è ben sottolineata ad esempio nell’opuscolo I nove modi di pregare di s. Domenico, che fanno vedere all’opera un ethos spirituale integrale, in cui lo spirituale-sovrasensibile e il corporeo-sensibile sono felicemente integrati, e su cui non a caso aveva richiamato l’attenzione Benedetto XVI nella catechesi da lui dedicata al santo spagnolo (Udienza generale dell’8 agosto 2012). Un racconto tra quelli riportati da suor Cecilia, e dedicati in modo particolare ai miracoli e all’attività taumaturgica del santo, testimonia invece la sensibilità tenera e affabile di Domenico nel coltivare relazioni ministeriali e pastorali, in particolare a contatto con il mondo femminile.
Si tratta dell’episodio della visita fatta alle suore in tarda sera per condividere la gioia di un recente ingresso di un novizio nell’Ordine (fra Gaudio). Domenico vuole che il ringraziamento per il dono della nuova vocazione diventi motivo di convivialità e di intrattenimento fraterno (“È bene che beviamo un poco, figliole mie”) e invita tutte le consorelle, con un gesto non privo di rimandi simbolici e risonanze allegoriche, a bere allegramente e senza timore (“Bevete pure a volontà, figliole mie!”). In un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa il 15 dicembre 2013, ritornando su quanto già accennato nell’omelia di inizio pontificato, papa Francesco ribadiva che “quando i cristiani dimenticano la speranza e la tenerezza diventano una Chiesa fredda, che non sa dove andare e si imbriglia nelle ideologie e negli atteggiamenti mondani”. Con il suo tratto umanamente ricco e sensibile, con la sua esperienza spirituale armonica e integrale, con il suo stile pastorale generoso e attento, Domenico ha potuto condividere e fare suo questo messaggio, e grazie anche a una profondità teologica cristologicamente centrata e trinitariamente orientata (purtroppo non espressasi in scritti o lavori teologici in senso stretto), ha con facilità intuito che l’affezione, intesa come disponibilità della libertà ad instaurare e coltivare legami, non costituisce una negazione o un abbassamento della vita dello spirito, ma la sua pienezza e la sua realizzazione.
fr. Daniele Aucone, O.P.