"Timete Deum", cari corrotti e corruttori!
Si è davvero stanchi di vedere sui telegiornali i continui arresti che avvengono nel nostro Paese a causa di mazzette, collusioni e corruzioni varie. Sì, la gente è stanca di dover ripetere sempre la stessa frase: “Cosa ci si può fare, sono tutti allo stesso modo: corrotti e menefreghisti”. Come, ahimè, dargli torto?
Nel suo Compendio della Dottrina Sociale, la Chiesa insegna che "tra le deformazioni del sistema democratico, la corruzione politica è una delle più gravi, perché tradisce al tempo stesso i principi della morale e le norme della giustizia sociale" (n° 411). In poche parole, il funzionario politico corrotto non dà "Dio quel che è di Dio, e a Cesare quel che è di Cesare". Si tiene un po' tutto per sé, nel vano tentativo di trovare la propria felicità e realizzazione nel possesso di quanti più beni possibili. Ma tutti abbiamo fatto - o faremo - esperienza di quanto sia vera l'affermazione per cui "non di solo pane vive l'uomo". E allora ci renderemo forse conto che questa cupidigia, in realtà, è solo un'illusione.
Tutti certamente ricorderanno le parole che Papa Francesco rivolse ai nostri politici un anno fa durante una messa in S. Pietro. In un passaggio della sua omelia il Santo Padre osservò quanto possa essere “difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore, sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose".
Leggendo i giornali, ultimamente, ci si accorge che il monito del Papa non è risuonato veramente nei cuori di tanti uomini e donne che hanno scelto di servire – e tradire – il Paese con modalità fra loro differenti. Ordunque, che fare? Rimanersene qui solo a lamentarsi non servirà a molto, dal momento che non sarà il nostro bofonchiare a cambiare la mente e i cuori di certi uomini e donne che si lasciano sedurre dal "dio denaro". Forse la soluzione sarà quella di rompere qualche vetrina o piazzare qualche ordigno, come negli anni passati? Ne dubito fortemente. Che fare, dunque?
Anzitutto occorre pregare. San Paolo, scrivendo a Timoteo, diceva infatti così: "Raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio". Pregare, quindi, per tutti i governanti e per coloro che hanno ricevuto il mandato di servire i cittadini. Ma basta la sola preghiera? Questa, lo sappiamo, è un grande strumento dato dal Padre ai suoi figli, dal momento che siamo sicuri che Dio ascolta sempre la nostra voce. Ma, come dice il detto, "aiutati, che Dio t'aiuta".
Occorrerà pertanto chiedere ai rappresentanti politici di svolgere il proprio servizio in maniera onesta e dignitosa, giacché ciò che essi compiono non è un lavoro come tanti, ma è un incarico affidatogli dai loro concittadini. Dovremo poi rammentare loro che l'autorità, in realtà, significa servire, non essere serviti. Se infatti il Figlio di Dio "è venuto per servire", cosa dovranno fare dei semplici uomini politici? Quantomeno avranno il dovere di evitare di scandalizzare, con le loro piccolezze e atteggiamenti meschini, quanti li hanno eletti.
Leggendo i giornali, ultimamente, ci si accorge che il monito del Papa non è risuonato veramente nei cuori di tanti uomini e donne che hanno scelto
di servire – e tradire – il Paese con modalità fra loro differenti.
Sappiamo infine tutti che "il giudizio – dice la Scrittura – appartiene a Dio". Noi cristiani, infatti, siamo chiamati a condannare il peccato e non il peccatore proprio per questa ragione. Rammentino però i politici che al termine della loro vita sarà loro chiesto di rendere conto delle proprie azioni, del proprio bene e male compiuto. E davanti al Signore della storia non si potrà mentire, perché Egli conosce e sa tutto. Certamente il suo giudizio sarà misericordioso, ma non vi potrà essere misericordia per coloro che non la desiderarono e praticarono durante la propria esistenza terrena.
Risuoni dunque ancora oggi quel richiamo biblico proclamato per tutta l'Europa da S. Vincenzo Ferreri, ove viene detto "timete Deum et date illi honorem, quia venit hora iudicii eius", che significa "temete Dio e dategli onore, perchè viene l'ora del suo giudizio". Sì, viene il suo giudizio, e sarà pertanto bene iniziare a restituire a Dio quel che è di Dio e a Cesare (cioè allo stato che sono i cittadini), quel che è di Cesare. Senza troppi “se” e troppi “ma”.
fr. Fabrizio P.M. Cambi, O.P.