DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Tra Angelici ci si intende! Note di Iconoteologia.

Ho assistito nel corso degli anni a molte conferenze sul Beato Angelico e quasi sempre il grande problema che viene sollevato e il quesito da sciogliere è se il Beato Angelico sia da considerarsi tardogotico o prerinascimentale. Il valore e il significato della sua arte vengono tutti incentrati sullo stile pittorico e sulla etichettatura e collocazione da attribuire alla sua opera nel grande e complesso casellario della Storia dell’Arte.

E la sua spiritualità? E la simbologia religiosa di cui è intrisa la sua arte? E la finalità didascalica e parenetica che la suscita? E l’ispirazione mistica che la permea? E la contemplazione dei misteri divini a cui è finalizzata? Tutto ciò o non vien preso in considerazione o viene considerato marginale. Resta però il fatto che se non si comprende il contesto religioso in cui sono nati i capolavori dell’Angelico e se non si conosce l’esperienza spirituale profonda e viva che ha ispirato i suoi affreschi e le sue tavole, si comprende poco o nulla della sua persona e della sua produzione artistica.

A mo’ di esempio mi piace soffermarmi su uno dei tanti affreschi che illustrano il convento di San Marco in Firenze. Si tratta della preghiera di Gesù nell’orto degli Ulivi. Questo dipinto mostra in realtà alcuni aspetti enigmatici che non è possibile risolvere se non si fa ricorso alle fonti spirituali e teologiche che l’hanno ispirato. Pur essendo infatti chiaro quanto al soggetto raffigurato, non è altrettanto chiaro quanto ad alcuni particolari della composizione, nella fattispecie la presenza di Marta e Maria di Betania. I vari commentatori o non danno spiegazioni di tale presenza, oppure, se vi accennano, la liquidano sbrigativamente limitandosi a fornire il nome delle due sorelle. Anche Venturino Alce, che pure sa enucleare i significati teologico-spirituali delle opere del Beato Angelico, per il nostro dipinto si limita a dire che le due sorelle contemplano il mistero e ci invitano a fare altrettanto1 . La pittura del Beato Angelico però, lo sappiamo, presenta una forte carica simbolica e una profonda valenza teologica e si radica in un preciso retroterra biblico e iconografico, per cui non si può pensare che la presenza delle due sorelle di Betania abbia soltanto un valore decorativo, né tantomeno che sia puramente accidentale. Il Beato Angelico è un artista essenziale e non si perde in inutili orpelli. Certo c’è un significato recondito che va scoperto.

fausto sbaffoniP. Fausto Sbaffoni, o.p.La prima cosa che si deve chiarire è che non c’è una fonte patristica a cui l’Angelico abbia attinto per inserire Marta e Maria nella scena del Getsemani. Lo stesso Spike, profondo esegeta dell’Angelico, che oltre all’esame e al giudizio storico-artistico, individua le fonti teologiche delle opere, evidenziandone il significato spirituale, su questo soggetto si limita a dire «Presumibilmente è una fonte patristica – forse Origene – a giustificare la presenza, in primo piano, di Marta e di Maria nell’affresco della cella n. 34, La preghiera nell’orto» 2 .Quel “presumibilmente”, quel “forse” lasciano alquanto perplessi, dato che Spike è uno studioso estremamente preciso. In verità, andando ad indagare nelle opere di Origene, in quei passi dove egli parla della preghiera di Gesù nel Getsemani non si fa menzione delle sorelle di Lazzaro. Se ci spostiamo dall’ambito patristico e cerchiamo presso autori più vicini al Beato Angelico, quale ad esempio Santa Caterina da Siena, scorrendo le sue opere, ci accorgiamo che Santa Marta viene nominata una sola volta, brevemente, come “innamorata spedaliera”, senza riferimento alcuno né alla sorella, né a Betania, né, tantomeno alla preghiera di Gesù nell’orto3 . Anche nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, la fonte privilegiata dell’iconografia tardomedievale e rinascimentale, non troviamo alcun elemento che ci aiuti a decifrare il dipinto angelichiano. Ad un esame attento e ad un’analisi particolareggiata dell’opera si possono enucleare però più componenti e più motivi ispiratori che convergono, permettendo così di cogliere in un insieme di elementi, a prima vista contrastanti, una profonda e significativa unitarietà. 1. C’è prima di tutto un elemento che potremo definire geografico. Stando ai Vangeli e a tutta la tradizione patristica, la casa di Marta e Maria viene collocata nel villaggio di Betania che sorge proprio alle pendici del monte degli Ulivi. Tra Betania e il Getsemani c’è dunque una prossimità e una continuità spaziale. Non è una vicinanza immediata, ma in una rappresentazione dove la simbologia è elemento costitutivo, la prossimità geografica è sufficiente per stabilire anche una vicinanza, addirittura una compresenza, fisica. 2. Il secondo elemento è di ordine spirituale. Da questa vicinanza topografica il Beato Angelico ha voluto, con una sua originale creazione, creare anche una vicinanza spirituale dato che Betania è il villaggio che negli ultimi giorni della sua vita terrena Gesù aveva scelto come dimora abituale (cfr. Mt 21,17; 26,6; Mc 11,1.11.12; 14,3), ed è il luogo in cui risiedevano, insieme al loro fratello Lazzaro, Marta e Maria (Gv 11,1; 12,1). Nell’affresco infatti le due sorelle stanno in casa e un muro separa la loro abitazione dalla scena dell’orto. Esse non sono presenti fisicamente come Pietro, Giacomo e Giovanni, ma l’una con le mani giunte, l’altra intenta a leggere un libro, indicano la loro presenza spirituale all’interno di un luogo geograficamente molto prossimo a quello in cui avviene l’agonia di Gesù. La raffigurazione dei discepoli che sono presenti fisicamente, ma dormono, mentre le due sorelle non sono presenti fisicamente, ma sono sveglie e in preghiera e partecipano spiritualmente al mistero della passione di Gesù, porta a considerare che la partecipazione alla preghiera di Gesù nel Getsemani deve avvenire nel più profondo dell’anima e non ci si può accontentare di un fatto esteriore. Tant’è vero che coloro che sono presenti fisicamente dormono e le due sorelle, lontane fisicamente, ma presenti spiritualmente, sono ben deste 3. Il terzo elemento è l’intento didattico. Come sappiamo negli affreschi delle celle la funzione estetico-ornamentale è secondaria. I dipinti dovevano servire come motivo di meditazione per chi vi dimorava. La presenza di Marta e Maria sulla scena di Gesù al Getsemani poteva offrire al religioso almeno due spunti di riflessione: a) Il primo è legato al significato etimologico del nome “Betania”. Nell’esegesi cristiana più antica questo toponimo è interpretato: “casa dell’obbedienza”. Tale etimologia la troviamo in Origene4 , in Girolamo5 e quindi, via via, in tutti gli autori medievali. Non è chiaro il motivo di tale interpretazione. Il nome della località, come moltissime altre in ambito palestinese, risulta da un primo elemento Beth che significa “casa” e un secondo elemento specificante. Ora nessun termine ebraico che indichi “obbedienza” è vicino al secondo elemento del nome Betania. Forse Origene e Girolamo l’hanno ricondotto al termine ʽanawah che significa anche “umiltà” “umile sottomissione”, dalla radice ʽanah che tra i molti significati ha anche quello di “sottomettersi umilmente”. La moderna ricerca filologica lo esclude categoricamente, ma al tempo dell’Angelico questa era l’interpretazione corrente. Tale significato era poi particolarmente consono all’intento didascalico dell’Artista. Infatti il momento del Getsemani è l’esaltazione della virtù dell’obbedienza. La preghiera di Gesù in questo momento drammatico di estrema sofferenza è incentrata sull’abbandono totale alla volontà del Padre in un atto di obbedienza eroico che è sintetizzato nelle parole: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39). La redenzione del genere umano passa proprio attraverso questa volontaria abnegazione della propria volontà da parte di Gesù, cosa che viene messa in luce, tra l’altro, dalla Lettera ai Romani (5,19): Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l'ubbidienza di uno solo i molti saranno costituiti giusti, nonché dalla Lettera agli Ebrei: (5,8- 9): Benché fosse Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì; e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono autore di salvezza eterna, e ancora dall’inno cristologico della Lettera ai Filippesi (2,8-11): Cristo Gesù […] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre D’altra parte il posto dell’obbedienza nella spiritualità domenicana è centrale. Basti pensare al pensiero di San Tommaso d’Aquino a tale proposito, quando nella afferma: «Il voto di obbedienza è il principale dei tre voti religiosi. E questo per tre motivi. Primo, perché con esso si offre a Dio un bene più grande, cioè la volontà, che è superiore e al proprio corpo, offerto a Dio mediante la castità, e ai beni esterni, offerti a Dio mediante il voto di povertà. […] Secondo, il voto di obbedienza abbraccia gli altri due voti, e non viceversa. Il religioso infatti, pur essendo tenuto a osservare per un voto speciale la continenza e la povertà, queste tuttavia rientrano anche nell'obbedienza; la quale abbraccia con esse molte altre cose. Terzo, perché il voto di obbedienza si estende propriamente ad atti più prossimi al fine della vita religiosa. E più una cosa è prossima al fine più è buona. Ecco perché il voto di obbedienza è più essenziale allo stato religioso.» 6 Da qui la consuetudine, nell’Ordine dei Frati Predicatori, di emettere i voti religiosi facendo però menzione, nella formula rituale, del solo voto di obbedienza. Che nell’Ordine dei Predicatori l’obbedienza fosse centrale, al punto che metaforicamente l’Ordine è considerato come una nuova Betania, una nuova “casa dell’obbedienza”, è messo in luce da un episodio, molto diffuso nella primitiva storiografia domenicana, relativo alla vocazione di Giordano di Sassonia, successore di San Domenico alla guida dell’Ordine. Nel Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, al cap. 75 viene descritto il momento in cui Enrico di Colonia e Giordano di Sassonia, studenti di teologia a Parigi, decidono, il mercoledì delle Ceneri, di entrare nell’Ordine: «Quando giunse il giorno nel quale, con l’imposizione delle ceneri, viene ricordata ai fedeli la loro origine e il loro ritorno in cenere, anche noi decidemmo, proprio in quella data così conveniente per iniziare una vita di penitenza, di adempiere al voto che avevamo fatto al Signore. Della cosa avevamo però lasciato allo scuro i nostri compagni di pensione. Successe perciò che quando fra Enrico uscì di casa, uno dei nostri compagni gli chiedesse: “Dove andate Messer Enrico?”, “Vado a Betania” rispose. Quello allora non comprese certo il significato di quella parola, ma lo comprese più tardi, dopo il fatto, quando seppe che egli era entrato a Betania, ossia nella casa dell’obbedienza» 7 . La contemplazione del dipinto deve muovere dunque il frate domenicano a considerare come la vita religiosa, nell’ottemperanza al voto di obbedienza, è partecipazione all’azione redentiva di Cristo. Il frate predicatore deve ricordare che coopera alla salvezza del mondo non solo e non tanto con la funzione della predicazione, dell’annuncio verbale del Vangelo, di cui è pur sempre investito, ma piuttosto con la totale adesione alla volontà di Dio fino all’olocausto della propria volontà in unione con l’abbandono totale di Cristo alla volontà del Padre. b) Il secondo motivo di meditazione richiama il cuore della Spiritualità domenicana ed è legato alle due sorelle di Betania. È noto infatti come Marta e Maria nell’esegesi patristica di stampo allegorico, che si perpetua fino ai nostri giorni, sono ritenute rispettivamente l’una figura della vita attiva, l’altra di quella contemplativa. Ora bisogna considerare che l’Ordine domenicano si presenta come un felice connubio di vita attiva e di vita contemplativa, il tutto racchiuso e sintetizzato nella famosa formula, divenuto il motto per eccellenza dei Domenicani, Contemplata aliis tradere. Tale divisa trae origine da un passo della Summa Theologiae di San Tommaso dove l’Aquinate affronta la questione se gli ordini religiosi di vita contemplativa siano superiori a quelli di vita attiva. Tenendo fermo l’assunto della tradizione secolare che privilegia la vita contemplativa su quella attiva, in base soprattutto al passo evangelico in cui Gesù elogia Maria di Betania, figura della vita contemplativa, perché ha scelto la parte migliore (cfr. Lc 10, 42), considerando l’insegnamento e la predicazione come una contemplazione che ridonda nell’azione, S. Tommaso conclude che tale contemplazione è superiore alla contemplazione pura perché «come illuminare è più che risplendere soltanto, così comunicare agli altri le verità contemplate è più che il solo contemplare» 8… perciò – conclude - « il primo posto tra gli istituti religiosi spetta a quelli che sono ordinati all'insegnamento e alla predicazione». Da notare poi che Maria legge un libro mentre Marta è in atteggiamento orante indicando così due aspetti della contemplazione: lo studio e la preghiera, due attività che fanno parte dei cardini della vita domenicana. In conclusione l’insegnamento che, attraverso il suo dipinto il Beato Angelico vuole impartire ai suoi confratelli è un richiamo a vivere la vocazione domenicana secondo la declinazione degli Osservanti (non dimentichiamo che il Beato Angelico all’interno dell’Ordine dei Predicatori abbraccia la causa della Riforma caldeggiata da Santa Caterina da Siena e propugnata in modo speciale dal B. Raimondo da Capua e dal B. Giovanni Dominici): chi è chiamato all’Ordine dei Predicatori, nell’Osservanza, deve innanzitutto vivere l’obbedienza,soprattutto come stretta osservanza della Regola, in intima unione e profonda partecipazione al sacrificio espiatorio e redentivo di Cristo. Deve inoltre basare la sua azione apostolica sulla contemplazione, coltivando e praticando con assiduità e attenzione i due momenti centrali della vita contemplativa: la preghiera e lo studio9 . Dall’analisi che abbiamo condotto appare prima di tutto come nella sua pittura del Beato Angelico nulla sia lasciato al caso, ma ogni particolare abbia un senso preciso e pregnante di carattere teologico-spirituale, anche se non immediatamente palese. Si rileva altresì in modo evidente quanta parte abbia, nella ispirazione teologica del Beato Angelico, San Tommaso d’Aquino. Credo particolarmente illuminante in proposito un passo tratto dal commento di San Tommaso al Vangelo di Giovanni: Venne a Betania ecc. Betania era un villaggio vicino a Gerusalemme e viene interpretato come “casa dell’obbedienza” significato che si accorda con il mistero. In primo luogo quanto alla causa della passione, secondo il passo della lettera ai Filippesi: fu obbediente al Padre fino alla morte (Fil 2,8); secondariamente quanto al frutto della passione: divenne per tutti coloro che gli obbediscono causa di salvezza eterna ecc. (Eb 5,9). Aggiunge poi: dove era morto Lazzaro che egli aveva risuscitato perché nella casa dell’obbedienza coloro che sono morti spiritualmente nei peccati risorgono ricondotti sulla via della giustizia come nella Lettera ai Romani: per l’obbedienza di uno solo molti sono stati costituiti giusti… Quando poi dice: E qui fecero per lui una cena pone l’ossequio mostrato verso Cristo dai suoi amici… Con Marta vengono significati i prelati perché sono istituiti per il servizio della chiesa … con Maria vengono significati i contemplativi, infatti in Luca 10,39 è detto: che Maria sedendo ai suoi piedi ascoltava le sue parole. 10 . In questo brano, a commento di Gv 12,1-3, appaiono riuniti e condensati i tre elementi sopra esaminati: la collocazione geografica, il richiamo all’obbedienza redentiva, l’accordo di vita attiva e vita contemplativa nella spiritualità domenicana. Insomma, alla fin fine non può che essere così: il Dottore Angelico che ispira il Pittore Angelico. Come a dire: tra Angelici ci si intende! In realtà l’uno con a luce della Sapienza l’altro con lo splendore della bellezza artistica aiutano a sondare le infinite dimensioni dello Spirito per guidare le anime al fine precipuo dell’essere umano: la contemplazione beatificante della Eterna Verità.

 

 

P. Fausto Sbaffoni, o.p

 

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1 Cfr. ALCE VENTURINO, Angelicus Pictor. Vita, opere e teologia del Beato Angelico, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1993, p. 267.

2 SPIKE J. T., Angelico, Fabbri Editori, Milano 1966, p. 70; bibliografia relativa a p. 214.

3 S. CATERINA DA SIENA, Lettere, Lettera 30, alla Badessa del Monastero di Santa Marta.

4 cfr. Commento a Matteo, XVI, 26-27 GCS, 40, 560-565

5 Liber de nominibus hebraicis, Novi Testamenti De Matthaeo, PL 23,839; Commentaria in Matthaeum, IV, 26,6, PL 26, 191

6 Somma Teologica, IIa - IIae q. 186 a. 8, co. 

7 In: LIPPINI PIETRO, S. Domenico visto dai suoi contemporanei, Tamari Editori, Bologna 1966, p. 90-91.

8 Sicut enim maius est illuminare quam lucere solum, ita maius est contemplata aliis tradere quam solum contemplari ( IIa - IIae q. 188 a. 6 co).

9 Cfr. Summa Theologiae, IIa -IIae, q. 180 a. 3 ad 4.

10 S. TOMMASO D’AQUINO, Super Evangelium S. Ioannis lectura, c. 12. Lec. 1

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