Il Bluetooth della carità #teologiaedigitale
Probabilmente molti ne hanno sentito parlare per la prima volta quando in estate 2020; si parlava della progettazione della App Immuni per il tracciamento dei contagi tramite smartphone. Io personalmente ho cominciato ad usarlo in modo più continuo dal Natale 2018 quando ricevetti in dono il mio primo smartwatch, orologio da polso connesso allo smartphone e in grado di gestire alcune funzioni di quest’ultimo direttamente dall’apparecchio al polso.
Di cosa sto parlando? Non del wi fi, o della rete Internet senza fili ma della tecnologia bluetooth. Essa fu ideata nel 1994. Sul bellissimo sito dell’esperto informatico Aranzulla ho trovato questa bellissima spiegazione:
Il Blue tooth fu […], ideato dall’azienda Ericcson nel 1994 e gestito ad oggi dal Bluetooth SIG (Special Interest Group), di cui fanno parte, oltre a Ericcson, grandi aziende tecnologiche come Nokia, Toshiba e Intel. A differenza di tanti altri nomi appartenenti al mondo della tecnologia, il termine Bluetooth trova origini, in un contesto piuttosto metaforico, da un personaggio del Medioevo: Harald Blåtand, in inglese Harald Bluetooth, fu un Re danese vissuto nel decimo secolo dopo Cristo: con le sue doti belliche e diplomatiche, riuscì a unire le varie tribù della sua terra, differenti per usanze e culture, in un unico e compatto gruppo “nazionale”. La metafora voluta dagli ideatori della tecnologia è proprio questa: sviluppare un sistema che, esattamente come Re Bluetooth, fosse in grado di mettere in comunicazione e unire dispositivi completamente diversi tra loro, ad esempio smartphone, automobili, computer, dispositivi audio, dispositivi di input (es. tastiere e mouse) e via discorrendo.
Il Bluetooth può mettere in comunicazione anche due dispositivi fino a 100 metri di distanza. Beh, davvero una bella idea, una grande trovata ebbe dapprima il nostro buon Harald, poi gli sviluppatori Ericsson.
Ma prima di loro, in origine di tutto c’è sempre questo desiderio di amicizia profonda e di cooperazione. Anche a Distanza. Anche fra persone e linguaggi completamente diversi. Perciò il prototipo di tutto è la virtù teologale della carità, infusa in noi a partire dal battesimo.
La virtù di carità non è però una semplice collaborazione, un patto o un amore sentimentale. La carità è uno speciale amore di amicizia con cui si ama Dio e il nostro prossimo in modo profondo e intimo. Essendo una virtù richiede dunque una serie di azioni che responsabilmente facciamo: una scelta libera di amare e di donarci a Dio e al nostro prossimo. Li amiamo con una speciale benevolenza, e dunque cerchiamo in tutti i modi di fargli del bene.
La carità allora non è solo mettere una elemosina, dare una parola buona nei momenti di difficoltà, donare un sorriso. Sono tutti atti di carità che richiedono in noi una consapevolezza di fede: è Dio che ci chiede di donare un bene più grande ad un prossimo. E di ricevere un bene anche da chi meno ci aspettiamo. Da chi forse ci sta antipatico, non lo sopportiamo.
Si la carità è il nostro Bluetooth…. installato con il Battesimo. Un modello di ricezione e invio di beni più grandi di noi ma che possono superare il nostro egoismo, il nostro autoisolamento volontario. Una carità che ci aiuta ad estirpare anche le passioni più forti di ira e di invidia per contenerle e reindirizzarle invece al bene e al progetto di Dio.
Ciò detto sarebbe bene attivare subito la “spunta”, l’interruttore del Bluetooth della virtù di carità. No clubbers, non chiamate Alexa o correte al vostro smartphone. Il Bluetooth della carità si può accendere mediante la preghiera e la ricezione dei sacramenti, specialmente quando si riceve l’Eucarestia, fonte della nostra vita e della grazia. Perché è dalla Comunione in Lui, realmente presente, che viene la comunione viva e reale fra noi.
E quindi accendiamo il nostro Bluetooth. Andando a messa.
Fr. Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.
Gesù dolce, Gesù Amore
Tratto da:
https://clubtheologicum.wordpress.com/2021/10/08/il-bluetooth-della-carita-teologiaedigitale.