“Attirare menti e cuori a Cristo”: giubileo di s. Domenico (1221-2021) e neognosticismo
Dopo la celebrazione dell’anno giubilare (2015-2016) per l’ottocentesimo anniversario di fondazione, l’Ordine dei Predicatori celebra un anno straordinario di Giubileo per l’ottocentesimo anniversario del dies natalis di s. Domenico.
L’anno giubilare, che ha per titolo “A tavola con s. Domenico” ispirato al celebre dipinto ritrovato in via della Mascarella a Bologna (insediamento originario della comunità domenicana prima dello spostamento in s. Niccolò delle Vigne), vuole tuttavia già nelle intenzioni, non limitarsi a un evento (o serie di eventi) di pura commemorazione, ma riconsiderare come la vita e il ministero di Domenico «ci ispirino e ci incoraggino a condividere la nostra fede, speranza e amore, i nostri beni spirituali e materiali in modo che anche altri possano sfamarsi alla stessa tavola»1.
In tale ottica, viene da chiedersi se un qualche orientamento nell’affrontare le sfide ecclesiali odierne non possa derivare proprio dall’esperienza fondamentale di Domenico, che ne ha ispirato lo stesso progetto di fondazione: il confronto con il Catarismo, da cui scaturì l’impulso alla fondazione di un Ordine “attrezzato” spiritualmente, dottrinalmente e istituzionalmente, per l’evangelizzazione e la missione.
Apparentemente, infatti, nulla sembra ricollegare il contesto odierno, postmoderno e postcristiano a questa dottrina di sapore dualista (spirito/materia; Dio malvagio dell’A.T/Dio buono del N.T., Chiesa dei “perfetti”/Chiesa istituzionale) piuttosto diffusa nel XIII secolo, dottrina che pur non avendo una derivazione diretta dalle antiche forme di gnosticismo, tuttavia presentava singolari affinità con esso sotto vari punti2.
Eppure però, gli studi di Hans Jonas3 prima, e in ambito ecclesiale le riflessione di Filoramo4, Sequeri5, Kurt Appel6, e lo stesso Magistero di papa Francesco, invitano a non relegare precipitosamente in un passato ormai chiuso il fenomeno dello gnosticismo, e a scorgerne tracce anche nell’odierno contesto culturale. Non c’è dubbio infatti che, fermo restando la profonda differenza tra la rilevanza che il fenomeno poteva rivestire in una societas christiana come quella medievale, e un contesto frammentato e plurale come quello occidentale postmoderno, proprio l’attuale temperie culturale, incentrata su una indiscussa centralità dell’Io con conseguente alleggerimento dei legami e delle relazioni sociali, e una certa tendenza a uno spiritualismo disincarnato, favorito anche da una vaga spiritualità New Age e dallo stessa trasformazione dei rapporti impressa dal digitale, possa costituire un terreno fertile per il riemergere di tendenze e atteggiamenti neognostici.Non a caso Sequeri parla dello gnosticismo come «anticristianesimo perfetto» per il suo attacco frontale alla logica stessa dell’Incarnazione, intendendolo appunto non solo come dottrina appartenente a un’epoca trascorsa, ma anche di una postura dello spirito che può riproporsi o riemergere in altri momenti della storia, e dunque viva in maniera perdurante7. Ma è stato soprattutto il magistero di papa Francesco ad aver richiamato l’attenzione su una attualità di tendenze neognostiche nel contesto contemporaneo, sia come impulso a una logica narcisistica e autoreferenziale a cui si oppone la costruzione di una fraternità autentica; sia per il suo attacco alla trascendenza del mistero rivelato, ridotto a una griglia concettuale e dottrinale integralmente disponibile e controllabile dall’intelligenza umana. La considerazione di tale aspetto del suo insegnamento, poco evidenziato generalmente, ma ribadito con una certa costanza, si rivela fecondo anche per una rilettura del carisma originario di Domenico e delle riprese attualizzanti nell’attuale contesto, alla luce delle sfide che l’attuale panorama culturale ci consegna.
Dall’Io al Noi: la sfida della fraternità
La segnalazione di una attuale permanenza di mentalità e atteggiamenti di carattere gnostico, non tarda a farsi spazio nel magistero di papa Francesco, fin dai primi mesi del suo pontificato. Già infatti in quel testo “programmatico” del suo ministero petrino che è l’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, si trovano alcune analisi in materia che meritano di essere riprese. In quella sede infatti Bergoglio individua un terreno fertile al riemergere di stili e attitudini di sapore gnostico proprio in quell’individualismo postmoderno diffuso soprattutto nelle società occidentali, che spinge all’isolamento e al rifiuto di relazioni impegnate e forti. Si tratta (si badi bene) di un fenomeno culturale e spirituale che non alberga solo all’esterno della comunità ecclesiale, ma anche nella Chiesa stessa, opponendosi a quella natura comunionale e fraterna che è insita nella natura stessa della comunità cristiana. Neognosticismo e neopelagianesimo sono visti pertanto come due sintomi di una «mondanità spirituale» (EG, 94) che serpeggia anche tra gli operatori ecclesiali, precludendo un senso autentico di missione e servizio apostolico, in nome di un’autoreferenzialità narcisistica, che nasconde un vero e proprio immanentismo e rifiuto dell’origine misterica della Chiesa stessa. Non è un caso allora che per ambedue le patologie, la risposta sia indicata proprio nell’impegno a collaborare alla costruzione di una «fraternità mistica, contemplativa» (EG, 92), che rimetta al centro l’importanza della relazione e del legame, in risposta all’isolazionismo postmoderno. Una fraternità radicata nel mistero stesso dell’Incarnazione e della vita nuova donata al cristiano dal risorto, e che perciò non ha nulla di spiritualistico, ma anzi non rifugge dall’esprimersi anche attraverso gesti e atteggiamenti affettivi e corporei («sentiamo la sfida di (…),mescolarci, di incontrarci, di penderci in braccio, di appoggiarci», EG, 87), proprio laddove la stessa comunicazione digitale e social tende a volatilizzarsi e a privilegiare quel «materialismo dematerializzato»8 tipico del virtuale. Un tema che lo stesso papa Francesco ha ripreso già durante la prima ondata della pandemia, allorquando, pur avendo fatto egli stesso uso di canali digitali per le celebrazioni quotidiane (messa da Santa Marta) e poi pasquali, ha messo in guardia dal concepire la fede solo come un’esperienza virtuale, e ha ricordato l’importanza della partecipazione del popolo e dei sacramenti9.
Un secondo riferimento alla questione del neognosticismo si trova nella sezione III del Capitolo 4 di Evangelii Gaudium, relativa a “Il bene comune e la pace sociale”. In quell’ambito, in cui il papa enuncia una serie di princìpi da tenere in considerazione per un ordine sociale armonico e giusto, la questione del rapporto tra fede cristiana e atteggiamenti di sapore gnostico viene ripresa in relazione al principio «la realtà è più importante dell’idea» (EG, 231), che rimette al centro un principio realistico sotteso alla Rivelazione biblica e prima ancora a quella naturale, per cui il primato spetta anzitutto all’esperienza, mentre le elaborazioni concettuali e dottrinali intervengono solo in actu secundo. In quest’ottica, un atteggiamento che attribuisca un primato a una dottrina senza più rapporti con la freschezza dell’esperienza viva, e che si traduca in posizioni quali «fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza» (EG, 231), può palesare effettivamente tendenze neognostiche, in cui il mistero della fede viene svuotato del suo carattere trascendente e indisponibile e della sua condivisione comunitaria, e ridotto a una pura proiezione e funzionalità dell’Io. Un pericolo che alla luce di quello sguardo dal «Sud del mondo»10 di papa Francesco, appare trovare un contesto favorevole nel razionalismo disincantato dell’Occidente, e a cui il papa oppone non una teoria articolata e complessa, ma un semplice ritorno alla genuinità della fede e dell’esperienza cristiana.
Una “mente senza carne”
Il rischio di un intellettualismo sterile, che svuoti l’esperienza cristiana del suo aspetto misterico e dunque in ultima analisi immanentista, è ripreso da papa Francesco anche nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate del 2018, che invita a riscoprire la vocazione battesimale alla santità nel contesto contemporaneo. Il documento riprende l’accostamento tra neopelagianesimo e neognosticismo all’interno del Capitolo II dedicato all’analisi di “due sottili nemici della santità”. Alla tematica dello «gnosticismo attuale» sono dedicati ben 11 paragrafi (nn 35-46), in cui si fa rilevare la pericolosità di un’ideologia in ultima analisi razionalistica, che svuota l’eccedenza del mistero cristiano, proponendo un Dio totalmente manipolabile e disponibile al potere umano, e dunque in ultima analisi un idolo. Alla radice di tale atteggiamento si percepisce una postura in ultima analisi disincarnata («una mente senza Dio e senza carne», GE, 37-39) che rimuove la dimensione della finitezza e del limite della condizione umana, nonché lo statuto di donazione che l’autocomunicazione di Dio nella rivelazione inevitabilmente riveste. Un rischio a cui aveva già accennato Benedetto XVI (anche qui si riscontra un elemento di continuità di Magistero nei due pontificati) nell’enciclica Deus caritas est, parlando della inscindibile unità corporeo-spirituale dell’uomo e del pericolo di separazioni o rimozioni nella considerazione dell’humanum:
«se l’uomo ambisce di essere solo spirito e vuole rifiutare la carne come un’eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità»11
Non è un caso allora che a tale atteggiamento venga opposto il riconoscimento dei limiti della ragione, la distinzione tra esperienza del reale e sua elaborazione teoretica e concettuale, nonché i limiti dello stesso lavoro riflessivo, stante l’eccedenza del mistero rivelato rispetto agli stessi concetti e categorie utilizzati per articolarlo a livello dottrinale. Ovviamente con ciò l’esortazione non intende screditare il lavoro teologico, né lo sforzo di approfondimento ermeneutico e sistematico del messaggio cristiano, che anzi è apprezzato e promosso. Si tratta piuttosto di richiamare il carattere esperienziale della fede cristiana, rispetto al quale l’elaborazione riflessiva si colloca sempre come “atto secondo” e con il quale deve continuamente confrontarsi per rimanere teologia viva, innestata nei vissuti (Lebenswelt, per dirla con Husserl) della coscienza credente. Ugualmente altra caratteristica fondamentale del lavoro teologico è il suo radicamento nel tessuto comunitario ed ecclesiale al servizio della comunità cristiana, in comunione con il lavoro di ricerca di altri teologi e con il Magistero dei pastori. Ed è proprio di tale aspetto comunitario che il papa ravvisa la mancanza nell’atteggiamento neognostico, in cui l’addomesticamento del mistero in funzione dell’Io ne svuota anche la dimensione comunionale e di condivisione ecclesiale, a favore di un mero intellettualismo solipsista. Un tema, quello della vocazione alla santità di tutto il Popolo di Dio, fortemente sottolineato in Gaudete et exsultate, e contro cui appunto i due atteggiamenti richiamati contrastano in maniera frontale. Alleggerimento (o negazione) del legame con il reale e svuotamento della relazione sociale appaiono quindi due risvolti dello stesso atteggiamento autoreferenziale e spiritualista, che mostra la perdurante attualità di una spiritualità radicata nel dogma e nell’ethos dell’Incarnazione, proprio come era stato il caso di Domenico durante la sua missione apostolica nel sud della Francia.
Mistica della carne e umanesimo teologale
Il risveglio di atteggiamenti di sapore neognostico convoca anche oggi al confronto le migliori energie della fede cristiano sul piano spirituale e teologico. Già otto secoli fa, l’intuizione di Domenico fu quella di una risposta integrale che non scindesse la dimensione spirituale-esistenziale della fede, da quella riflessivo-dottrinale. Alla solidità di una formazione teologica e culturale ottenuta dai suoi frati æpresso i migliori centri accademici del tempo (Parigi, Bologna, Oxford, Colonia, Montpellier), il santo spagnolo unisce una genuina e profonda esperienza spirituale cristiana capace di fondere felicemente elemento mistico e tratto squisitamente umano. Sono infatti numerosi gli episodi della vita di Domenico che ci mostrano uno spaccato di questa felice armonia realizzatasi nella sua persona radicata nel mistero dell’Incarnazione: la sua tenerezza compassionevole verso tutti e in particolare i lontani dalla fede, la sua premurosa vicinanza ai frati e alle sorelle contemplative, il suo afflato mistico nell’orazione e nella celebrazione eucaristica, la sua umanissima socievolezza capace di far spazio a momenti di gioco e di condivisione fraterna, come in quell’occasione in cui facendo visita serale alle monache di s.Sisto dopo un’intensa giornata apostolica, aveva invitato tutte le consorelle a festeggiare e a bere per la vocazione di un giovane ragazzo romano accolto nell’Ordine quello stesso giorno: «Bevete pure a volontà, figliole mie!»12. Tratti che rivelano tutti quella spiritualità profonda e incarnata (e in tal senso decisamente anti-gnostica) del santo spagnolo, che aveva già avuto modo di esprimersi a Tolosa la notte della celebre discussione con l’albergatore cataro, primo germe del progetto di fondazione del futuro Ordine13 e che poi rimarrà come nota distintiva della tradizione spirituale e teologica dei Predicatori nel corso dei secoli. Si pensi a ciò che dice Tommaso fin dalle prima questione della Summa theologiæ, allorquando definisce il lavoro del teologo come passio divinorum14, sapienza divina radicata in un’autentica esperienza teologale, o quando, introducendo la riflessione sullo stile di vita di Gesù dopo il Battesimo, utilizza la formula «De modo conversationis Christi», indicando tutto il suo modus vivendi come “conversazione” e dialogo con il mondo15. Un umanesimo teologale che sulla scia di Tommaso non scinde l’aspetto riflessivo-intellettuale della fede da quello mistico-esperienziale, permettendo forse di recuperare un’unità a cui le separazioni moderne e postmoderne ci hanno ormai disabituato:
«Umanesimo teologale: queste due parole vogliono stare insieme. Sembra di dover scegliere tra antropocentrismo e teocentrismo. E il Rinascimento ha obbligato i cristiani, e perfino i teologi, a scegliere. Lasciamoli a queste false categorie e teniamoci sulla nostra strada […] Il dramma fu che la teologia umanistica procedette esattamente al contrario dell’ordine teologale. E gli stessi tomisti, per contrastarla, accettarono, come capita spesso, il loro stesso terreno di scontro, in modo che rifiutando con ragione di fare di san Tommaso un teologo umanista, smarrirono l’alto equilibrio del loro maestro»16.
Non sorprende quindi, che nella recente lettera Prædicator gratiæ indirizzata al Maestro dell’Ordine dei Predicatori fr. Gerard Timoner III, e pubblicata il giorno stesso della Traslazione delle reliquie di s. Domenico (24 maggio), papa Francesco abbia potuto additare il santo castigliano come fonte di «ispirazione a tutti i battezzati»17. La sua profonda esperienza spirituale, nutrita nella contemplazione e nell’intelligenza del mistero e orientata apostolicamente, appare di singolare attualità anche dopo otto secoli e capace ancor oggi di «attirare menti e cuori a Cristo», proprio perché genuina eco della missione dei Dodici e del loro servizio integrale del Vangelo.
fr. Daniele Aucone, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma
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1) g.timoner III,Lettera per l’inizio dell’anno giubilare per l’ottocentesimo anniversario del ‘dies natalis’ di s. Domenico (31-01-2021), https://www.op.org/to-the-dominican-family-on-the-preparation-of-the-2021-jubilee/ (trad. in IT mia)
2) Cfr. ad es. h.vicaire, Storia di San Domenico, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), 1987, p.117
3) h. jonas, Lo gnosticismo, SEI, Torino, 1995
4) g. filoramo, Il risveglio della gnosi ovvero diventare Dio, Laterza, Roma-Bari, 1990
5) p. sequeri, L’amore della ragione. Variazioni sinfoniche su un tema di Benedetto XVI, EDB, Bologna, 2012
6) i.guanzini-k.appel, Il neognosticismo, San Paolo, Milano, 2019
7) p. sequeri, L’amore della ragione. Variazioni sinfoniche su un tema di Benedetto XV, cit., p. 22
8) g.o.longo-a.vaccaro, La nascita della filosofia digitale, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna (Rn),2013, p. 141
9) francesco, Messa del venerdì dell’ottava di Pasqua (17-04-2020), https://www.vaticannews.va/it/papa-francesco/messa-santa-marta/2020-04/papa-francesco-messa-santa-marta-coronavirus8.html
10) w.kasper, Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore, Queriniana, Brescia, 2015, p. 10
11) b. xvi, Lettera enciclica Deus caritas est (25-12-2005), n. 5, https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20051225_deus-caritas-est.html
12) Ivi; l’episodio è commentato in questa prospettiva anche da p. murray, Il vino nuovo della spiriualità domenicana. Una bevanda chiamata felicità, ESD, Bologna, 2010, pp. 179-180, che collega la scena al quadro della Mascarella raffigurante Domenico a tavola con i frati e scelto anche a tema di quest’anno giubilare per l’ottocentesimo anniversario del dies natalis (1221-2021) di s. Domenico
13) Sullo gnosticismo come «anticristianesimo perfetto» sempre vivo nel corso dei secoli, cfr. p. sequeri, L’amore della ragione. Variazioni su un tema di Benedetto XVI, EDB, Bologna,2021, p.22
14) «La prima maniera dunque di giudicare delle cose divine appartiene alla sapienza dono dello Spirito Santo, secondo il detto di s. Paolo (1Cor 2,15):”l’uomo spirituale giudica tutte le cose”; e di Dionigi (De Divinis nominibus, 4): “Ieroteo è sapiente non solo perché studia il divino, ma perché lo sperimenta in sé”, tommaso d’aquino, S.Th, q. 1, a. 6 (ad 3m)
15) tommaso d’aquino, S.Th,III, q. 40
16) m.-d. chenu, Posizione della teologia, in a. franco, Marie-Dominique Chenu, Morcelliana, Brescia, 2003, pp. 112-113
17) francesco, Prædicator Gratiæ”, Lettera al Maestro dell’Ordine dei Predicatori fr. Gerard Timoner per l’VIII centenario della morte di s. Domenico (24-05-2021)