«Più Cristo, meno Chiesa»? Considerazioni sul binomio ‘carisma-istituzione’
Quella facile polemica nei riguardi della Chiesa, spesso poco o per niente costruttiva, che diviene sistematicamente una presa di posizione avventata, si manifesta ogni tanto nella difficoltà a tenere insieme il rapporto tra carisma e istituzione.
Espressioni insensate come «più Cristo meno Chiesa», in voga negli anni della contestazione, ma che – se vogliamo – ancor oggi si addensano impercettibilmente, rappresentano la manifestazione concreta di tale opposizione: se putacaso qualcuno avesse una vaga idea di Cristo, allora Egli rappresenterebbe “il buono” e la Chiesa (da Lui fondata) come fonte di ogni male.
Nello stesso tempo se si considera l’elemento carismatico in dissenso con quello istituzionale e viceversa, in realtà non ci si rende conto che da questa (presunta) antitesi discenderebbe alcune conseguenze che minacciano la stessa vita del cristiano. Sarà allora necessario che si schiariscano un po’ le idee sui due termini della questione?
In un significato un po’ specifico o ristretto, il carisma indica un dono soprannaturale, un dono di grazia che Dio concede ad una certa persona perché ne usi a vantaggio degli altri, come ad esempio il carisma dei fondatori di Ordini religiosi; qui, però, ci riferiamo, piuttosto, al carisma nel senso di tutto ciò che è grazia o è connesso con la grazia, a titolo di santificazione, di consacrazione.
Invece se diciamo «istituzione» potremmo pensare a ciò che dice regolamentazione; più precisamente indica una ‘strutturazione’ rivolta a conferire alla diffusione del carisma un proprio ordinamento, capace di collocarlo, come dicevamo, nell’ambito della sua destinazione al bene concreto della società cristiana.
L’Ordine domenicano, ad esempio, così come tutti gli Istituti religiosi nel loro piccolo cercano di armonizzare questo binomio; ampliando il discorso alla Chiesa intera, lo stesso p. Sertillanges la definiva come «il regime sociale della grazia».In un certo qual modo l’istituzione – intesa come organismo giuridico – assicura che il carisma non sia inteso a fini meramente individualistici o privati, ma, al contrario, sia volto verso il bene della persona, giacché questa è membro della Chiesa stessa. Sono, pertanto, incomprensibili certe prese di posizione sul fatto che l’istituzione risulti quasi come “inibente” nei riguardi del carisma, o comunque frenante l’azione della grazia, quasi ‘mortifichi’ lo slancio spirituale per ripiegarlo tutto in una sottomissione all’autorità che immobilizza l’iniziativa e il primato della persona.
Eppure non dimentichiamo che ogni Istituto religioso e, più in generale, la Chiesa tutta è organismo sovrannaturale, e tutto ciò che in essa si compie è finalizzato intrinsecamente, mediante il carisma, verso il bene spirituale dei suoi fedeli. Perfino gli stessi tria munera: regendi, sanctificandi, docendi (governare-santificare-insegnare), non sono da considerarsi come tre poteri separati o giustapposti, ma come intimamente connessi dall’unica finalità carismatica: la santificazione, ad esempio, implica – per forza di cose – la conoscenza della verità e della Verità ultima e, nel contempo, il riconoscimento della legittima autorità.
Attenzione, ora, a non cadere in alcuni errori che potrebbero scaturire da questo discorso. Il primo sarebbe di considerare erroneamente l’esistenza di due Chiese: una carismatica e una istituzionale, poiché questo significherebbe separare ciò che Dio ha unito; la Chiesa, per sua natura è carismatica e istituzionale, o meglio carismatico-istituzionale, dal momento che il carisma, portando in sé stesso una struttura immanente, per opera dello Spirito Santo, si attua attraverso l’istituzione, e l’istituzione ha la sua ragion d’essere nel carisma.
Un secondo errore che chiamiamo “esclusivismo” potremmo illustrarlo analogicamente con l’antropologia: posto, infatti, che l’uomo è unità armonica di anima e corpo, di essere individuale e sociale, così com’è falso un certo esclusivismo che pone l’uomo in atteggiamento quasi angelicato composto soltanto spirito e individuo, fino a sminuire la nozione di persona, è altresì conveniente non correre il rischio di “esclusivizzare” la parte carismatica, dovuta al giudizio negativo nei confronti dell’istituzione, dal vecchio sapore luterano. Infatti, la triade “solitaria” di solus Deus, sola Fides, sola Scriptura afferma, in realtà, Dio senza l’uomo, la Fede senza le opere, e la Scrittura senza Magistero, causando non solo la quasi negazione della struttura gerarchica della Chiesa, ma riducendo tutto ad un’affermazione gonfiata dell’elemento divino fino ad estromettere l’umano, per cui l’uomo, caricato di enorme responsabilità, è posto ‘direttamente’ in rapporto con Dio senza mediazione. Al contrario, in una visione oggettiva e armonica di tale rapporto, l’immanenza dell’istituzione, come dicevamo, si apre alla trascendenza del carisma e il loro rapporto avviene “per” l’uomo, il quale, a sua volta si sente chiamato all’impegno dell’iniziativa personale.
Ecco, dunque, ciò che bisogna aver chiaro: l’importanza di questo inserimento dell’uomo sia nel carisma sia nell’istituzione; quest’ultima, di fatto, conferisce all’elemento umano la possibilità di affermarsi positivamente, poiché vede nel carisma la cifra caratteristica di un qualcosa non fine a sé stesso ma continuamente rivolto al Fine ultimo trascendente. Pertanto, il carisma dona un senso ultimo all’istituzione, e l’istituzione (che, dunque, non è sinonimo di legalismo) offre una regola stabile al carisma. Da qualche parte leggevo che tale positività del rapporto carisma-istituzione consente all’uomo di divenire come un tramite dell’azione divina e di essere soggetto nel quale questa comunicazione si realizza; di conseguenza, l’uomo, cosciente di ciò, dovrebbe non sottovalutare la responsabilità personale di fronte a tale ricchezza.
Se queste riflessioni potrebbero apparire come un lungo discorso teorico o astratto, l’esperienza, d’altra parte, insegna che una falsa comprensione di questo binomio, sminuisce e l’uno e l’altro concetto.
Fermiamoci, ad esempio, su come questo concetto della responsabilità personale, altrimenti detta “coerenza di vita” o “testimonianza di vita”, influisca sull’elemento “istituzione”. Se (come abbiamo visto) il fatto che l’istituzione introduca l’elemento umano e una precisa norma nella trasmissione concreta del carisma, sia avvertito come una difficoltà nella Chiesa, alla quale pervengono dall’esterno – vuoi per leggerezza, vuoi per ignoranza – una quantità costante di giudizi negativi soprattutto nei confronti dell’istituzione, questo non significa la necessità di porre in discussione la ragion d’essere dell’istituzione, ma chi la gestisce: gli uomini con il loro comportamento. Così come il concreto esercizio della libertà potrebbe dar luogo ad abusi, ma nessuno penserebbe ragionevolmente di chiamare in causa per questo l’esistenza stessa della libertà, analogamente i difetti che potrebbero esserci nell’istituzione a causa dell’imperfezione di ciò che abbiamo chiamato “elemento umano” che in essa opera, non sono ascrivibili all’istituzione in quanto tale, ma solo allo scarso senso di responsabilità dei soggetti manchevoli.
È vero che ciò crea scandalo e spesso si risolve nella difficoltà di comunicazione del carisma stesso; ciò nonostante non bisogna disperare né dimenticare che l’azione di Dio è più forte delle manchevolezze umane: Egli stesso, ad esempio, stabilì di ricorrere al sacerdozio ministeriale per la “trasmissione” della grazia o del carisma e il cui effetto salvifico è assicurato ex opere operato dall’azione sacramentale (ossia dalla sua efficacia intrinseca), indipendente dalle qualità personali del ministro. Riusciremmo noi a negare tale verità?
Nel suo testamento spirituale il nostro Padre Cordovani, Maestro di Sacro Palazzo, scrisse: «[…] intendo vivere e morire in grembo alla santa Chiesa cattolica apostolica romana, sapendo che non si è con Gesù Cristo se non si è con la Chiesa, la quale è divino magistero della verità rivelata e scuola viva di santificazione; i difetti del suo elemento umano sono corretti automaticamente e non compromettono il valore del suo elemento divino». Ecco perché è insensato per un cristiano quantificare se ci debba essere «più Cristo» o «meno Chiesa»; la via del cristiano è quella segnata dal Cristo, continuata perennemente dalla Chiesa, poiché: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia; ubi Ecclesia, ibi Christus». Parole di San Cipriano! Sempre se non si voglia arrivare a contestare anche i Santi!
fr. Giovanni R. M. Ferro, O.P.
Convento di Santa Maria sopra Minerva