La santità del vero culto
La nozione di santità e il conseguente discernimento dei segni ad essa relativi, manifesti nella Chiesa Cattolica e nei suoi atti, è di fondamentale importanza per stabilire come solo in essa sia la vera religio. E, come dice San Tommaso d’ Aquino , «religio est quae Deo debitum cultum affert» (1) e «habet quidem interiores actus quasi principales et per se ad religionem pertinentes, exteriores vero actus quasi secundarios, et ad interiores actus ordinatos» (2).
Del resto anche Sant’ Agostino, e non a caso proprio all’ incipit del De Vera Religione afferma:
«Cum omnis vitae bonae ac beatae via in vera religione sit constituta, qua unus Deus colitur, et purgatissima pietate cognoscitur principium naturarum omnium, a quo universitas et inchoatur et perficitur et continetur» (3).
La pietà è quella virtù con cui si onora con speciali riguardi una persona, e quindi Dio soprattutto, che per natura è causa o principio della nostra esistenza e del nostro vivere, come insegna lo stesso San Tommaso d’Aquino(4). Il cardinale Giuseppe Siri (5), che ha riflettuto parecchio sulla «sostanza teologica» del culto, non mancò di scrivere una lettera dove espressamente parlava dei «santi segni nella liturgia», con un taglio che non pare azzardato definire innanzitutto metafisico:
«Noi siamo tenuti per disposizione di natura a raggiungere le realtà esterne alla nostra intelligenza attraverso i sensi, cioè attraverso le cose materiali che, sole, si offrono ai sensi…La conseguenza è chiara: tutto ciò che si vuol fare giungere all’intelletto deve essere espresso con elementi materiali[…]La Chiesa porta con sé grandissime cose, che sono per sé oggetto dell’anima e della sua intelligenza. Tutta la Realtà del Regno di Dio, tutto il suo tesoro, tutto il fatto della incarnazione e redenzione, per sé riferito e appartenente come elemento recepito nei fatti umani, al passato anche se divinamente presente, i sacramenti, il Sacrificio, i sacramentali: ecco quello che deve rendere presente ai sensi prima che all’intelletto[…] Il ridurre o, peggio, l’abolire gli elementi espressivi esterni significa togliere la ordinaria, abituale, insostituibile cognizione delle cose che debbono restare vive, penetranti, espressive, operanti attraverso il dato esterno»(6).
Questi segni debbono essere santi, devono, cioè, adeguatamente significare la Realtà di Dio e tutto ciò che la riguarda e quindi anche la realtà della Creazione e della Redenzione. E’ per questa loro intrinseca ordinazione alla realtà divina e ai misteri che la riguardano e che sono oggetto della nostra fede nella Rivelazione che tali segni partecipano, non in sé ma almeno in alio et pro alio, alla santità che a sua volta ci comunica della credibilità e origine divina di suddetta fede e della Istituzione che ne è custode. E’ quanto diceva anche il cardinal Bona, citato peraltro dal venerabile Pio XII nella Mediator Dei (7). La celebrazione eucaristica in primis e le altre forme di pietà (Lex orandi) sono quindi la pratica della fede al suo massimo livello, in quanto estrinsecazione del rapporto diretto con Dio stesso, laddove per questo si svolge l’impegno pastorale della gerarchia ecclesiastica «all’ insegna dell’unità tra la funzione sacramentale (potestas sanctificandi) e la funzione magisteriale (potestas docendi)» (8). E insieme al fatto che sono il primo e più immediato frutto della validità di una dottrina religiosa (Lex credendi), perché si tratta sempre di «esprimere adeguatamente il Mistero còlto nella pienezza di fede della Chiesa» (9), costituiscono anche il livello più alto della realizzazione di quella vita che la stessa fede ispira alla Chiesa (Lex vivendi), valore ispiratore fondamentale e “serbatoio spirituale”: fonte e culmine della vita e della missione (della Chiesa), per usare l’ espressione con la quale gli stessi vescovi hanno parlato dell’ Eucarestia (centro della liturgia) nel Sinodo del 2005. Come ha scritto Joseph Ratzinger (Benedetto XVI):
«”la gloria di Dio è l’ uomo vivente, ma la vita dell’ uomo è vedere Dio”… la vita diventa vita vera solo se riceve la sua forma dallo sguardo rivolto a Dio. Il culto serve proprio a questo, a offrire questo sguardo e a dare così la vita, che diventa gloria per Dio». (10)
Del resto è quanto affermato nella stessa costituzione del Vaticano II sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium (11), che dice quanto nel divino sacrificio dell’Eucarestia «si attua l'opera della nostra redenzione», e quanto «i fedeli esprimono nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa».La necessità poi che il culto sia anche esterno viene espressamente sostenuta dallo stesso venerabile Pio XII nella Mediator Dei :
«Tutto il complesso del culto che la Chiesa rende a Dio deve essere interno ed esterno. È esterno perché lo richiede la natura dell'uomo composto di anima e di corpo» (12)
Il culto e le sue caratteristiche intrinseche saranno pertanto anche uno dei primi segni (motiva) di credibilità della istituzione religiosa custode della Rivelazione. Nel suo essere armonico e ordinato, nel suo splendore, nel manifesto ed oggettivo rispetto della natura umana e della natura divina in primis, esso si rivela come come miracolo dato dall’ azione santificativa di Dio. Come insegna Antonio Livi (13):
«…tali segni sono sperimentati empiricamente …, essi sono indizi della presenza di Dio proprio perché presuppongono la certezza che ci sia un Dio creatore, il solo che possa santificare».
Si capisce allora come e perché lo stesso Magistero della Chiesa ha sempre insistito sul carattere di santità che devono necessariamente possedere tutti gli elementi che si pretende entrino a far parte dell’azione cultuale e della liturgia. Già San Pio X, infatti, lo ricordava nel Motu proprio Tra le sollecitudini ricordava, parlando in particolare di quella musica che si pretende sacra (14). Ed è quanto insegnato anche da Benedetto XVI che ben coglieva la relazione tra il sursum corda e “l’Altezza di Dio” «che in Cristo tocca la terra, l’ attira e l’ eleva a Sé». (15) La nozione di “Altezza di Dio” è equivalente a quella di “Trascendenza e santità di Dio”, e il sursum corda esprime l’atto fondamentale della santità per partecipazione dell’ uomo e il concetto di “attrazione” quello di “ricezione della grazia santificante”. Santità, bontà delle forme e universalità sono quindi gli elementi essenziali del vero culto, della vera religio. Si capisce allora perché lo stesso Siri insisteva sul fatto che non una partecipazione qualsiasi ma
«la vera assistenza alla santa Messa fa il cristiano[…] Per avere una vera assistenza alla santa Messa, bisogna conoscere la sostanza teologica di essa…La santa Messa …è la rinnovazione del Sacrificio della Croce in modo incruento…Questo sacrificio non sarebbe possibile senza la presenza reale, perché è questa che rende presente in modo reale, vero e sostanziale la divina Vittima e il supremo Sacerdote offerente… La santa Messa porta con sé la causalità più alta e veneranda del pellegrinaggio terreno, la mirabile ragione di una grazia soprannaturale agli uomini. Quando uno sa di tutto questo non ha bisogno gli si raccomandi il silenzio, la partecipazione, la compostezza. Ne è naturalmente compreso e colpito. Tutto questo non è opinione bensì fede» (16)
E’ per questo che anche gesti e canti di uso profano e addirittura, come disse l’allora cardinal Ratzinger (17), definibili come culto della banalità e contro-culti diametralmente opposti al culto cristiano, si precludono da sé l’ingresso nella sfera del sacro.
Come Ratzinger, anche il cardinal Siri(18) ebbe a cuore esprimersi circa la retta partecipazione alla santa Messa da parte dei fedeli: participatio actuosa che non deve contrapporsi all’ ars celebrandi come si rammenta anche nella Sacramentum caritatis (19). Ed anche san Giovanni Paolo II ebbe a biasimare quella che egli stesso definiva una «comprensione assai riduttiva» del Mistero (20). E a proposito del decoro che ogni celebrazione eucaristica deve possedere ebbe a dire:«Come la donna dell'unzione di Betania, la Chiesa non ha temuto di «sprecare», investendo il meglio delle sue risorse per esprimere il suo stupore adorante di fronte al dono incommensurabile dell'Eucaristia.[…] Se la logica del « convito» ispira familiarità, la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di banalizzare questa «dimestichezza» col suo Sposo dimenticando che Egli è anche il suo Signore e che il «convito» resta pur sempre un convito sacrificale, segnato dal sangue versato sul Golgota. Il Convito eucaristico è davvero convito «sacro», in cui la semplicità dei segni nasconde l'abisso della santità di Dio: «O Sacrum convivium, in quo Christus sumitur!». Il pane che è spezzato sui nostri altari, offerto alla nostra condizione di viandanti in cammino sulle strade del mondo, è «panis angelorum», pane degli angeli, al quale non ci si può accostare che con l'umiltà del centurione del Vangelo: «Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto » (Mt 8,8; Lc 7,6)»( 21)
Non possiamo, quindi, banalizzare ciò che vi è di più profondo e più alto nella nostra vita: la Santa Messa. De facto mostreremmo solo di sottovalutare proprio il Mistero Eucaristico, fonte e culmine dell’essere e dell’agire cristiano. E’ per questo che la stessa arte e la stessa musica devono conformarsi all’autentica «sostanza teologica» della Santa Messa, che è quanto di più sublime il Redentore ci abbia lasciato nel nostro essere in statu viae. Urge pertanto ritornare ad uno sguardo più attento sulle stesse nozioni di santità e di bellezza. Nel suo libro Le divine perfezioni secondo la dottrina di San Tommaso Padre Reginald Garrigou-Lagrange op, sulla scia di San Tommaso d’Aquino (I-II, q.81, a. 8), correttamente definisce la santità e la bellezza di Dio, fonte inesauribile di ogni santità e bellezza, come
«l’ armonia più intima e splendida delle più svariate perfezioni[…] l’ unione indissolubile di tutte le spirituali perfezioni nel sommo grado senza alcuna traccia di imperfezione». (22)
Ora è chiaro che la nozione di santità ha a che fare con quella di trascendenza: coincide in essentia con essa nel caso in cui si parla di Dio, indica la partecipazione ad essa nel caso in cui si tratti di una creatura e perciò lo stato in cui questa trova la trasfigurazione della sua natura nell’ unione intima con Dio, per la quale, relativamente alla creatura intelligente, come dice lo stesso Cornelio Fabro in una pagina dei suoi Momenti dello Spirito:
«l’ anima è elevata ad un modo di essere e quindi di operare deiforme: essa ottiene un modo di operare divino[…] l’ effetto principale della partecipazione alla grazia è l’ assimilazione ovvero la somiglianza dell’ anima con Dio…l’ anima allora è ammessa nel consorzio della vita intima di Dio ovvero diventa per partecipazione figlia (adottiva) di Dio…» (23)
Ma che si intende precisamente per trascendenza? Innanzitutto un concetto metafisico e quindi previo alla dottrina della fede in senso stretto. Quando parliamo di trascendenza divina intendiamo con Sofia Vanni Rovighi (24) l’ essenza stessa di Dio come Esse Ipsum Subsistens e Atto puro «in confronto alla realtà dell’ esperienza che ci si manifesta composta di un elemento attuale e di un elemento potenziale, radice del divenire e della finitezza» (25) e per santità per partecipazione la stessa comunione con il Trascendente laddove il processo di santificazione va visto come l’ armonia progressiva delle perfezioni nella vita della grazia, in un progresso che non guarda verso l’ avvenire ma appunto verso l’ eternità (26). Ora, in base al fatto che l’uomo deve utilizzare mezzi per raggiungere qualsiasi scopo e soprattutto il suo fine ultimo, a causa della sua stessa struttura metafisica data dalla composizione ontologica essentia/actus essendi, potentia/actus, substantia/accidentes, anima e corpo, intelligenza e sensi, occorre decisamente affermare che non possono essere del tutto aliene dalla partecipazione al processo di santificazione le stesse cose materiali sate come mezzi nel cammino verso la vita eterna. pertanto lecito parlare di una partecipazione - alla santificazione dell’uomo- di segni, parole, cose, non in sé ma in alio et pro alio, perché, dato che un uomo è santo nella misura in cui concretamente si ordina a Dio, il Santo per essenza e la fonte di ogni santità, lo stesso lo saranno i mezzi utilizzati nella misura in cui sono essi stessi oggettivamente e realmente ordinati alla stessa ordinazione dell’ uomo, in corpo ed anima. Gli atti cultuali, quindi, rientrano in questo caso di santità per partecipazione in alio et pro alio e le cose (materiali) utilizzate in essi devono dire precisamente ordine alla santificazione. Nel suo essere santo e mezzo primario di santificazione il culto ed in special modo la Santa Messa sono ad un tempo fondamentali per la stessa azione evangelizzatrice. E questo per due motivi principali: perché, essendo Dio l’ unico che santifica tutto, essi sono innanzitutto un motivo di credibilità, ossia fanno parte di quegli elementi che garantiscono la possibilità logica dell’ atto di fede; e perché sono fonte, sia pur derivata, di quella grazia indispensabile per la missione ad gentes. Anche il Santo Padre Francesco ha rammentato come:
«la fede ha bisogno di un ambito in cui si possa testimoniare e comunicare, e che questo sia corrispondente e proporzionato a ciò che si comunica[…]Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’ incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro…Per trasmettere tale pienezza esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i Sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa» (27) e come «la Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’ Eucarestia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana…La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia» (28)
fr. Mario Paolo M. Padovano, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma
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- Summa theologiae, IIª-IIae q. 81 a. 5
- Ibid., a.7
- Sant’Agostino d’Ippona, De vera religione, 1.1.
- Summa theologiae, IIª-IIae q. 101, a. 3
- Si veda: Card. Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, a cura di mons. Antonio Livi, ed. Leonardo da Vinci, Roma 2014, p. 51
- Ibid., pp.53-55
- Card. Giovanni Bona, De divina psalmodia, c. 19, p.3,1, citato in Pio XII, Mediator Dei. Lettera enciclica sulla liturgia, I, 2.19, Castelgandolfo 20 novembre 1947
- Antonio Livi, Prefazione in Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, p. 7
- San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia. Lettera enciclica sull’ Eucarestia nel suo rapporto con la Chiesa, n.50
- Benedetto XVI, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo edizioni, Cinisello Balsamo 2001, p. 14
- Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, a.2
- Pio XII, Mediator Dei. Lettera enciclica sulla Liturgia, Castelgandolfo 2 novembre 1947 I, 2.19
- Antonio Livi, Razionalità della fede nella Rivelazione. Un’ analisi filosofica alla luce della logica aletica, Ed. Leonardo da Vinci, seconda edizione, Santa Marinella (Roma), 2005, p. 107
- San Pio X, Motu proprio Tra le sollecitudini. Sulla musica sacra, Roma 22 novembre 1903, 1
- Benedetto XVI, “Di fronte agli angeli voglio cantarti”, Conferenza in occasione del congedo del fratello George dall’ ufficio di Maestro di Cappella, in Lodate Dio con arte, Marcianum Press, Venezia 2010, p.127
- Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, pp.131-133
- Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, p.144
- Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, p.135
- Cfr Benedetto XVI, Sacramentum caritatis. Lettera enciclica sull’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Roma 22 febbraio 2007, cc. 39-65
- San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n.10
- Ibidem, n.48
- P. Reginald Garrigou-Lagrange OP, Le divine perfezioni secondo la dottrina di San Tommaso, Francesco Ferrari libraio editore, Roma 1923, p. 337
- C. Fabro, San Tommaso d’Aquino e la partecipazione di Maria alla grazia di Cristo (1974), in Momenti dello spirito, ed. Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi» Assisi - S. Damiano 1983,
- Sofia Vanni Rovighi, Elementi di filosofia II, ed. La Scuola, Brescia1964, p.167
- Ibid.
- Cfr. R.Garrigou-Lagrange, Le divine perfezioni, pp. 338-341
- Francesco, Lumen fidei. Lettera enciclica sulla fede, Roma 29 giugno 2013, n. 40
- Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, Roma24 novembre 2013, n.174