Cunctas haereses sola interemisti in universo mundo
(Tu sola hai sterminato tutte le eresie nel mondo universo)
In questo mese di ottobre, dedicato al rosario, vorrei attirare l’attenzione su un aspetto poco sottolineato del ruolo di Maria in seno alla Chiesa, il ruolo, potremmo dire, di “pietra di paragone” per la fede.
Per intuire l’importanza e la natura di questo ruolo dobbiamo risalire fino al Concilio di Efeso (431). Questo concilio, in sostanza, non dice nient’altro che quanto definirà il Concilio di Calcedonia (451), ossia che Cristo, nelle sue due nature, è uno e lo stesso. Però, lo dice passando per Maria, perché negare che Maria fosse “madre di Dio” è negare la realtà dell’Incarnazione; e san Tommaso dirà: “l’umanità di Cristo e la maternità della Vergine sono così tanto legate che colui che erra circa l’una erra anche necessariamente circa l’altra” (Super 3 Sent., d. 4, q. 2, a. 2 [Moos, p. 107]).
Anche ai tempi nostri, possiamo applicare questo “criterio mariano”. Le verità su Maria diventano così “pietre di paragone” e une riflessione teologica che non riesce ad integrale si rivela estranea all’ortodossia. Prendiamo due esempi.
Da ormai più di cinquant’anni, ci si affanna a “ripensare” il peccato originale trasmesso da Adamo e, per lo più, lo si riduce al fatto di nascere in un mondo segnato dal peccato. Ma, in questa prospettiva, quale senso ha il “singolare privilegio” di cui parla il dogma del 1854? Ogni spiegazione del peccato originale che non sia in grado di renderne conto nel suo senso ovvio è inaccettabile1.
Allo stesso modo, di fronte a tutte le elucubrazioni moderne tendenti a negare la cosiddetta escatologia intermedia, bisogna chiedersi come sono esse compatibili con il dogma dell’Assunzione di Maria2. E si deve rilevare che, a proposito di questo problema dell’escatologia intermedia, il magistero supremo stesso ha fatto ricorsa al criterio mariano. La Congregazione per la Dottrina della Fede scrive infatti, nella lettera Recentiores episcoporum synodi del 17 maggio 1979:
«La Chiesa, nel suo insegnamento sulla sorte dell’uomo dopo la sua morte, esclude qualsiasi spiegazione che svuoterebbe di ogni significato l’Assunzione della Vergine Maria quanto a ciò che le appartiene in modo unico: cioè che la glorificazione corporea della Vergine è l’anticipazione di quella che è riservata a tutti gli altri eletti» (EV 6, n. 1542). E, sempre nella stessa prospettiva, aggiungiamo che non si vede come si può continuare a venerare Maria come Madre di Dio se, poi, non si confessa più che Cristo è Dio!
Come si vede, dunque, da quanto detto, si può legittimamente dire che Maria è vincitrice delle eresie, come afferma l’antifona che abbiamo posto come titolo, tuttavia credo che questa affermazione della liturgia possa trovare ancora una ulteriore e più profonda giustificazione. Il celeberrimo teologo riformato Karl Barth (1886-1968) vedeva “nella dottrina e nel culto di Maria, l’eresia per eccellenza della Chiesa cattolica romana”. Ed egli spiega così questa sua affermazione:
«La Madre di Dio del dogma mariano cattolico romano è semplicemente il principio, il prototipo e il riassunto dell’idea secondo la quale la creatura umana collabora (ministerialiter) alla propria salvezza, sulla base della grazia preveniente, ed è pure il principio, il prototipo e il riassunto della Chiesa. [...] La Chiesa in cui viene venerata Maria si deve capire così come essa stessa si è capita nel Concilio Vaticano [sc. Vaticano I] e cioè come la Chiesa dell’uomo il quale sul fondamento della grazia collabora alla grazia»3.
Senza dubbio, Barth ha messo qui in evidenza una profonda verità, verità ancora più accentuata, se così si può dire, dall’insistenza del Concilio Vaticano II sull’esemplarità della cooperazione di Maria al disegno salvifico di Dio.
Possiamo dire che siamo così giunti ad un punto centrale della fede, poiché, contemplando Maria, contempliamo l’azione salvifica di Dio e la cooperazione della creatura ad essa, vediamo come Dio ha voluto “rispettare” la natura dell’uomo4, che comporta la libertà, ed associare questa natura libera alla sua opera di salvezza. Maria è, senz’altro, l’esempio per eccellenza di questa verità secondo cui Dio opera tutta la salvezza, ma vuole che l’uomo cooperi con essa. Non solo Maria è colei la quale, con il suo fiat, assente al piano divino di salvezza, loco totius humanae naturae, ci dice san Tommaso (IIIa, q. 30, a. 1, c.), ma anche, dal punto di vista della salvezza personale, Maria è il prototipo di questa cooperazione ed è giustificato affermare che, sulla base della grazia ricevuta, lei ha cooperato alla propria salvezza, al pari e meglio di tutti gli altri santi. Così, dunque, Maria si trova al centro delle verità della fede e si comprende che confessare la verità al suo riguardo significa confessare la verità sul disegno di Dio e si capisce inoltre con quanta ragione Karl Barth possa affermare che, per i cattolici, la creatura graziata, in virtù della propria collaborazione, è il vero oggetto della mariologia5 e si capisce anche perché, nella prospettiva del “servo arbitrio”, che rifiuta ogni possibilità di collaborazione dell’uomo all’opera di Dio, la dottrina mariana cattolica debba apparire come il condensato dell’“eresia cattolica”, vale a dire della specificità cattolica.Ma, se dobbiamo, evidentemente, rifiutare la qualificazione di eresia, non possiamo che approvare la penetrazione dell’analisi e concordare nell’affermazione secondo cui: «Il dogma mariano non è né più né meno che il dogma centrale e critico della Chiesa cattolica romana, il dogma a partire del quale debbono esser considerate tutte le sue diverse posizioni e con il quale esse stanno in piedi o cadono»6.
Aggiungiamo anche che questa considerazione del ruolo esemplare di Maria ci fa approdare dal lato più interiore al mistero della Chiesa. Essa è fondamentalmente, infatti, sulla terra, la società di coloro i quali, come Maria, credono in Dio, gli rispondono fiat, camminano nella fede e nell’obbedienza, collaborando così all’opera sua: tutti temi presenti nella Lumen gentium in particolare. E c’è da notare che l’attenzione del Vaticano II all’esemplarità di Maria ha fatto sì che non vi sia un documento di questo Concilio in cui la Beata Vergine non sia menzionata.
E così, siamo in grado di vedere meglio con quanta verità san Paolo VI ha potuto dire, chiudendo il terzo periodo del Concilio Vaticano II: «la conoscenza della vera dottrina cattolica sulla Beata Vergine sarà sempre aiuto efficace per capire rettamente il mistero di Cristo e della Chiesa»7.
fr. Daniel Ols, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma
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1 Si può vedere, p. es., un breve esame, in questa prospettiva mariana, di diverse teorie moderne sul peccato originale in Georg Söll, Storia dei dogmi mariani, Roma, LAS, 1981, pp. 404-405.
2 V. ibid., pp. 405-409 e anche Salvatore Meo, in Nuovo Dizionario di Mariologia, Cinisello Balsamo, Ed. Paoline, 1986, pp. 175b-178b.
3 Karl Barth, Die kirchliche Dogmatik, I,2, Zürich, Zallikon, 19484, pp. 157 & 160.
4 come “rispetta” ogni altra natura creata; insegna san Tommaso:
«[...] benché per fare qualsiasi cosa sia sufficiente la volontà divina, tuttavia la divina sapienza esige (exigit) che Dio provveda alle cose singole secondo ciò che conviene loro: Dio, infatti, ha istituito convenientemente per le cose singole le loro proprie cause. E quindi, benché Dio abbia potuto procurare al genere umano tutte le utilità che professiamo provenire dalla incarnazione [...], tuttavia era congruente alla natura umana che tali utilità fossero portate da Dio fatto uomo [...]» (Summa contra Gentiles, l. 4, c. 55).
5 Karl Barth, op. cit., p. 158.
6 Ibid., p. 157. – Si sarà certamente riconosciuta l’allusione alla parola attribuita a Lutero secondo cui la dottrina della giustificazione era articulus stantis aut cadentis Ecclesiae.
7 Paolo VI, Discorso di chiusura del 3o periodo del concilio Vaticano II, 21 novembre 1964 (EV 1, n. 304*).