DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Un’ermeneutica del Cristianesimo in prospettiva interculturale

L’insegnamento della Teologia Dogmatica nelle Università cattoliche 

In un breve ma istruttivo saggio del 1886 dedicato a una ricostruzione del dibattito che aveva portato alla soppressione delle Facoltà di Teologia nelle Università italiane poco più di una decina di anni prima (1873), il giurista e politico siciliano Francesco Scaduto indicava tre motivazioni principali alla base della scelta adottata: 1) l’incompetenza dello Stato a ingerirsi in questioni dogmatiche e confessionali della Chiesa Cattolica e alla selezione del relativo personale docente; 2) l’inutilità delle Facoltà teologiche ai fini di un inserimento nel mondo professionale e lavorativo di uno Stato laico; 3) l’onere economico, fattosi via via più cospicuo per il mantenimento di corsi di studio che già al momento della soppressione contavano pochi studenti iscritti1.

Se quindi nell’età medievale la Facoltà di Teologia era stata non solo pienamente inserita nell’ ambito universitario, ma era considerata vero e proprio apice del sapere (regina scientiarum), al punto che la stessa istituzione accademica sarebbe incomprensibile senza l’impulso datole dalla Cristianità2; con l’inizio della Modernità e della Rivoluzione scientifica, questo quadro culturale inizia a modificarsi a seguito della comparsa di nuovi ambiti del sapere e una diversa strutturazione dei rapporti reciproci. Tuttavia per diversi secoli anche dopo l’inizio della parabola moderna, la cattedra di Teologia è ancora presente nelle principali istituzioni accademiche europee con un ruolo tutt’altro che secondario. Sarà solo con la Rivoluzione francese e l’età napoleonica, in un clima culturale segnato da Illuminismo e Positivismo, che le Facoltà teologiche verranno soppresse nelle istituzioni accademiche, in quanto ritenute incompatibili con quel tipo di investigazione esclusivamente razionale a cui è deputata la missione dell’Università. In Francia risale al 1885 la soppressione della plurisecolare Facoltà di Teologia presso la Sorbona di Parigi, mentre in Italia è appunto del 1873 la legge che prevede la soppressione dell’insegnamento teologico nelle Università del nuovo Stato unitario.

A partire da quella data l’insegnamento della teologia in Italia rimane previsto solo nelle Università Pontificie e nelle Facoltà di Teologia erette da diocesi o gruppi di diocesi, che rilasciano appositi diplomi riconosciuti dall’ordinamento canonico, e indirettamente (mediante il Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica), anche dallo Stato. Tra gli atenei non statali (paritari), insegnamenti teologici sono previsti all’interno dei diversi corsi di laurea, presso istituzioni accademiche di ispirazione cattolica come l’Università Cattolica del Sacro Cuore o la LUMSA, sia per una esplicita indicazione dei rispettivi fondatori (p. Agostino Gemelli, OFM e Luigia Tincani, MdS), che per una disposizione del CDC del 1983 (can. 811). Gli insegnamenti coprono in genere gli ambiti essenziali delle discipline teologiche: una Introduzione alla Sacra Scrittura, in cui si affrontano le tematiche della Rivelazione, della formazione del canone biblico e dei relativi criteri ermeneutici; la Teologia Dogmatica, che tenta di penetrare il mysterium salutis nelle sue articolazioni tematiche principali3; e la Teologia morale che affronta i risvolti etico-morali della fede cristiana, con possibilità di corsi specifici a seconda del singolo ateneo e corso di laurea in cui sono inseriti.

Ma che cosa può offrire lo studio della teologia in questi atenei, all’interno di Facoltà non specificamente teologiche? Si tratta solo di “ottemperare” a un dato storico-giuridico estrinseco o c’è davvero un contributo effettivo che la teologia può dare, stando a contatto con gli altri saperi, all’interno di un percorso di studi accademici indirizzato ad altri ambiti?

Mi sembra che il contributo che la teologia cristiana possa offrire all’interno di un’istituzione accademica possa esprimersi fondamentalmente lungo tre direttrici. Anzitutto da un punto di vista culturale e intercultuale, in un’ottica quindi di profondo impatto in uno scenario interconesso e globalizzato come il contesto contemporaneo. La cultura è l’insieme di quelle mediazioni simboliche (letteratura, arte, codici rituali) attraverso cui l’uomo esprime la sua esperienza di essere-nel-mondo e della sua relazione all’altro e di cui le religioni sono parte integrante e imprescindibile (non si può comprendere il mondo indiano senza conoscere Induismo e Buddismo, o la cultura araba senza l’Islam, o quella cinese senza interessarsi alle antiche tradizioni del Taoismo o del Confucianesimo). La cultura occidentale in modo particolare è segnata da un tal legame (a livello artistico, letterario e filosofico) con il Cristianesimo da risultare incomprensibile senza questa matrice. Si pensi a tutta la riflessione filosofica occidentale segnata da concetti specificamente cristiani come “Redenzione”, “peccato”, “libertà”, “persona” “Incarnazione”, ecc., o allo stesso patrimonio artistico che nasce spesso in ambito cristiano e prende a tema misteri della Rivelazione ebraico-cristiana (in Italia si calcola che circa il 70% del patrimonio artistico sia di carattere religioso).

Avere una comprensione più matura e articolata della fede cristiana e dei suoi temi e contenuti principali, significa penetrare più a fondo nella stessa cultura occidentale, con tutto ciò che ne consegue per chi è impegnato in studi di carattere interculturale o che comunque comportano un accostamento e una comparazione tra mondi culturali diversi (mediazione linguistica e culturale, scienze politiche internazionali, enti no-profit e terzo settore, ecc.). Proprio questi ambiti, infatti, possono trovare nel Cristianesimo un modello particolarmente fecondo per il dialogo e lo scambio tra culture, attestato dalla plurisecolare capacità di inculturazione del messaggio cristiano e del suo favorire un paradigma di globalizzazione non amalgamante e livellante, ma “poliedrico” e capace di mettere in dialogo le differenze, come ha sottolineato papa Francesco4.

Il secondo apporto che la teologia cristiana può offrire in un contesto accademico è quello di svolgere una funzione di richiamo alla dimensione di limite e finitezza di ogni sapere umano. daniele1 aucone   fr. Daniele Aucone, O.P.Se infatti la ricerca di ogni disciplina è chiamata a svolgersi su un piano rigorosamente razionale, escludendo ciò che non attiene alle capacità della ragione, l’incontro con un’alterità legata a una dimensione di mistero, che supera le capacità umane senza umiliarle (ma anzi elevandole e rendendole maggiormente capaci di generare intelligenza e cultura), diviene salutare proprio come linea di demarcazione di cui i saperi stessi hanno bisogno5. Inoltre la teologia, con la sua visione sistematica di Dio, dell’uomo e del mondo, può offrire un orizzonte di unità alle varie discipline, svolgendo una valida funzione interdisciplinare che limiti la frammentarietà e dispersione dei vari saperi. Interessandosi a questioni che riguardano il “senso ultimo” dell’uomo, del mondo, della storia, la teologia può favorire il dialogo e la connessione tra le diverse discipline, dimensione questa particolarmente necessaria in un mondo complesso come quello attuale, in cui la prospettiva dell’analisi tipica del mondo moderno, va integrata con quella della sintesi tra saperi e discipline diverse6.

Allo stesso modo anche la teologia stessa riceve un contributo benefico dall’incontro con altre branche del sapere e della ricerca razionale che il contesto accademico consente: essa infatti è stimolata a ripensare i contenuti e i temi principali della fede cristiana a contatto con le problematiche sui cui indagano gli altri saperi, e a poterli così ripensare e riproporre mediante sintesi all’altezza del contesto culturale in cui è chiamata a situarsi, come già avvenuto fecondamente in altre epoche della sua storia (età patristica, Scolastica, rinnovamento teologico del XX secolo, ecc.), il che non può non tradursi anche in un beneficio per la società nel suo insieme.

Era ciò che rilevava il nostro autore del saggio citato in apertura, quando, nel riportare gli argomenti di quelli che egli chiama antiabolizionisti circa il destino delle Facoltà universitarie di Teologia in Italia, accennava (non senza lasciar trasparire una sottile punta di simpatia personale per questa linea argomentativa) come l’eventuale espulsione dell’insegnamento teologico dall’ambito accademico potesse in ultima analisi danneggiare lo Stato stesso, posto che

«è interesse di questo avere un clero colto, che sarà anche meno fanatico e meno clericale; e la cultura data nelle università, posto pure che non sia maggiore di quella impartita nei seminari, non è così esclusiva come l’altra di questi ultimi, le idee liberali in un insegnamento teologico dato nelle Università entrano più facilmente, anche quando i professori stessi non siano liberali, per contatto con la gioventù laica»7.

Un argomento tutt’altro che datato e che potrebbe perfino riaprire la questione del rapporto teologia/università nell’ottica di una nuova laicità aperta e plurale, che trovi proprio nell’ambito accademico un luogo privilegiato per il confronto e reciproco arricchimento tra convinzioni religiose e secolari, se è vero (come è stato notato), che

«l’essenziale, se si vuol dare agli studenti un ugual rispetto e tutelare la loro libertà di coscienza, non consiste nell’escludere completamente la religione dalla scuola, ma nel garantire che la scuola non aderisca o favorisca alcuna religione»8.

 

fr. Daniele Aucone, O.P.
Convento di Santa Maria sopra Minerva, Roma

 

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1 f. scaduto, L’abolizione delle Facoltà di Teologia in Italia (1873). Studio storico-critico, Loescher, Torino, 1886

2 Sulla nascita e struttura interna dell’Università medievale, e in particolare sul ruolo della Facoltà di Teologia, belle e dense pagine si trovano in e. gilson, La filosofia nel Medioevo (dalle origine patristiche alla fine del XIV secolo), La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. 471-482

3 Come è noto, dogma è sostantivo che viene dal verbo greco δοκέω (in latino: dokéo) che significa “parere”, “sembrare”, “ritenere opportuno” e quindi anche “credere”, e indica una dottrina o un insegnamento ufficiale e vincolante. Può essere utilizzato per indicare singole asserzioni o contenuti del mistero rivelato, ma anche per riferirsi al contenuto della Rivelazione nel suo insieme (ad es. nella Didachè «i dogmi del Vangelo», 11,3; in Ignazio di Antiochia («i dogmi del Signore», Lettera ai Magnesii, 13,1; o in Origene «i dogmi di Dio», Commento al Vangelo di Matteo, 12, 23)

4 francesco, Discorso all’Indipendence Mall di Philadelphia (26-09-2015), http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september/documents/papa-francesco_20150926_usa-liberta-religiosa.html

5 In questo senso le osservazioni di w. kasper, Introduzione alla fede, Queriniana, Brescia, 200812, che scrive: «Come può infatti l’uomo conoscere il suo limite, se non conosce in qualche forma anche ʻqualcosaʼ, che giace al di là di questo limite?», ivi, p. 29

6 In questa direzione si muovono ad esempio le indicazioni di Edgar Morin, che suggerisce una integrazione epistemologica tra la scomposizione e l’isolamento dei diversi oggetti scientifici su cui si fonda il metodo dell’ analisi la ricongiunzione e il collegamento tra le diverse prospettive di indagine, soprattutto nello studio di oggetti “complessi” (che richiedono prospettive di ricerca differenziate e in dialogo tra loro) come la condizione umana, la questione ecologica, l’etica, ecc., cfr. e. morin, La sfida della complessità, Le Lettere, Firenze, 2018, pp. 70-75

7 f. scaduto, L’abolizione delle Facoltà di Teologia in Italia (1873). Studio storico-critico, cit., p. 11

8 j. maclure-c. taylor, La scommessa del laico, Laterza, Roma-Bari, 20186, p. 38

Ed iniziò a mandarli a due a due per portare
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