I cristiani possono lamentarsi?
In questo periodo di crisi e Covid-19, le proteste sono più numerose e forti del solito. Lamentarsi è un atteggiamento che si addice al cristiano? Lamentarsi di tutto, insegna la spiritualità, è segno di un'anima inquieta, ma nella lamentela dei tempi molti santi hanno trovato la propria vocazione (vedi i santi sociali).
A bene guardare, dovremmo dirci fortunati ad essere nati in una delle nazioni più industrializzate dell'Occidente. Nessuno lo ha meritato né sa perché è successo (il buon Dio ce lo spiegherà a tempo debito). Talvolta, siamo persino invidiati. Pensiamo al Servizio Sanitario Nazionale. Ha i suoi problemi, eppure tutti possono usufruirne, al contrario degli statunitensi costretti a curarsi solo a pagamento escludendo, di fatto, intere classi sociali dal diritto alla salute. Dobbiamo riconoscere che siamo fortunati, qualcosa ancora non funziona bene, ma nel complesso non possiamo lamentarci.
Al riguardo, Geremia 6, 13-16 offre una riflessione interessante:
13 Perché dal piccolo al grande tutti commettono frode; dal profeta al sacerdote tutti praticano la menzogna.
14 Curano alla leggera la ferita del mio popolo, dicendo: "Pace, pace!", ma pace non c'è.
15 Dovrebbero vergognarsi dei loro atti abominevoli, ma non si vergognano affatto, non sanno neppure arrossire. "Per questo cadranno vittime come gli altri, nell'ora in cui li visiterò crolleranno", dice il Signore.
16 Così dice il Signore: "Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi dei sentieri del passato, dove sta la strada buona percorretela, così troverete pace per la vostra vita". Ma essi hanno risposto: "Non la prenderemo!".
Il profeta descrive una situazione a noi vicina. Sono state fatte promesse di benessere e felicità, ma alle lamentele per il ritardo e il disagio presente, le risposte sono state: «Shalom! Pace!», un rassicurante «guardate quello che abbiamo fatto per voi. Adesso sistemeremo pure queste cose. Perché vi lamentate per così poco? Godetevi quello che avete e non siate ingrati». Insomma, va tutto bene e siamo nella migliore condizione possibile. Perché dunque cambiare?
La Parola invita alla riflessione. Molte volte la prudenza è la maschera per la paura di cambiare. La staticità è più confortante del movimento come la tristezza più della felicità. Mettersi in cammino significa accettare il rischio del viaggio, inciampare e cadere, ferirsi e curarsi, alzarsi e riprendere la via. La felicità bisogna conquistarla e non è un bene stabile, va difesa ed alimentata ogni giorno ed ogni giorno si corre il rischio di perderla. Staticità e tristezza non danno imprevisti e non chiedono sforzi, sono rassicuranti.
La Parola, al contrario, è sempre chiara e scomoda: Dove sta la strada buona percorretela. Qual è la direzione da prendere? Il retto discernimento sugli eventi e sulle persone apre all'intelligenza e genera il grido di dolore davanti alle azioni malvage. Il lamento esprime la sofferenza fra ciò che dovrebbe essere e ciò che è. Il profeta è latore di una risposta di senso e si lamenta per il disinteresse ricevuto. Lamentarsi diventa un atteggiamento positivo perché si basa su un sistema di significati, è una proposta alternativa. Le lamentele hanno un portato di senso. Che cosa fare, allora?
Il versetto 16 sembra indicare una soluzione: informatevi dei sentieri del passato, dove sta la strada buona percorretela. L'indicazione del passato è ambigua. Sembrerebbe suggerire di tornare indietro alle cose dimenticate nel tempo, ma non è questo il senso del testo.
La parola ebraica עוֹלָ֗ם (olam), tradotta spesso con termini contraddittori quali perenne, antico, passato, assume anche un'accezione futura come in Es 21, 6: gli forerà l'orecchio con la lesina, e quello resterà suo schiavo per sempre, cioè da quel momento in poi. La parola עוֹלָ֗ם indica la linearità del tempo e l'esistenza dell'uomo in esso. Perciò il versetto può essere letto come informatevi dei sentieri che percorrevano gli antichi e che giungono nel futuro che vi ho promesso. Si apre un nuovo orizzonte di significato. La strada in cui ci troviamo è sbagliata. Dobbiamo tornare indietro oppure ritornare sulla retta via?Non è un problema ozioso, tutt'altro. Esodo e Numeri offrono esempi importanti del tornare indietro - davanti al Mar Rosso (Es 14, 11-12), nel deserto per la sete (Es 15,24), per la carne (Es 16; Nm 11), per la manna (Nm 21, 5), per la paura dei popoli nemici (Nm 14, 3) – mentre i profeti annunciano incessantemente Teshuvà Israel, ritorna Israele (ad es.: Os 14, 2; Ez 33, 11). Nel primo caso c'è una reazione ad eventi storici, nel secondo ad una condizione morale. Il NT ha due situazioni simili: il figliol prodigo ed i discepoli di Emmaus. I discepoli stanno tornando alla loro vita di sempre, annichiliti dall'evento della morte di croce. Quando sono introdotti al mistero pasquale (passione, morte e risurrezione) comprendono gli eventi e tornano indietro. Il figliol prodigo, al contrario, deve tornare da una condizione di peccato, ritornare al padre a riprendere la "vita passata". Lamentarsi non è il rifiuto della condizione storica contemporanea, ma l'invito ad affrontarla con la forza della relazione con Dio. Che significato ha, oggi, lamentarsi?
La civiltà digitale è indifferente a Dio, lo considera un problema superato, privo di interesse. Anche se esistesse, non gli verrebbe riconosciuta alcuna autorità morale, anzi, lederebbe la libertà personale. I servizi digitali, inoltre, aiutano ed amplificano il processo di abbandono della religione. Che significa lamentarsi del digitale?
È il lamento per un evento storico? La soluzione sarebbe rifiutare il digitale e tornare al cartaceo od avere solo "poco digitale". Che cosa ne sarebbe della Chiesa se si fermasse o tornasse indietro lasciando che l'umanità corra avanti da sola? Non si ridurrebbe la sua missione al solo gridare: «tornate indietro se volete salvarvi»?
È il lamento per la perdita di etica? La soluzione sarebbe proporre l'etica «di sempre». Un’etica, però, declinata secondo la contemporaneità. Ad esempio come affrontare il fertility gap1, il divario fra il numero di bambini che le donne vorrebbero avere (intenzione di fertilità) ed il tasso (finale) di fertilità. Emergono due elementi importanti: si hanno meno figli di quelli desiderati e le difficoltà che impediscono la realizzazione del desiderio. Il gap non è uniforme nei 19 paesi europei analizzati, ma più ampio nell'Europa meridionale con Italia, Grecia e Spagna fanalini di coda. L'intenzione di fertilità delle donne italiane è quasi di 2,1 figlio a testa (valore ottimale) mentre il tasso reale è poco più dell'1,4. La narrazione che voleva le donne contemporanee meno disposte ai sacrifici per i figli si rivela meno fondata della necessità di efficaci politiche a sostegno delle famiglie. Qui affondano le radici molti problemi dai rapporti pre-matrimoniali alle convivenze, dall'uso di anti-concezionali, alla riduzione delle nascite fino all'aborto. In questa miscela morale, economica e sociale, il dettato del Codice Canonico del 1917 (can. 1013 §1. «Primario fine del Matrimonio è la procreazione e l'educazione della prole; secondario il mutuo aiuto e il rimedio alla concupiscenza») è oggi improponibile insieme alla cultura che l'aveva proposto. Occorre una sensibilità nuova che non tutti vedono nel nuovo Canone 1055 §1 che parla della finalità del matrimonio orientata «al bene dei coniugi e alla procreazione» dove la congiunzione 'e' significa: «ci devono essere entrambi contemporaneamente». Come può esserci procreazione se questa minaccia il bene dei coniugi? E l'Humanæ Vitæ identifica bene quando e perché esiste questo pericolo: «In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita» (HV 10).
Tornare indietro nel tempo non si può, rimanere fermi significa perpetuare una condizione di sofferenza. Non rimane che accettare la sfida dei tempi. Come cristiani siamo portatori di senso e dobbiamo lamentarci della contemporaneità, non per proporre un "ritorno al passato" ma un cammino di salvezza che risponda alle domande e sofferenze del tempo e che sappia indicare una strada per il futuro.
Edoardo Mattei
Laico Domenicano
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1 Beaujouan, E., Berghammer, C. The Gap Between Lifetime Fertility Intentions and Completed Fertility in Europe and the United States: A Cohort Approach. Popul Res Policy Rev 38, 507–535 (2019). https://doi.org/10.1007/s11113-019-09516-3