San Domenico e i suoi frati
«Invocato lo Spirito Santo, [Domenico] riunì i frati e disse loro il proprio intento: inviarli per il mondo benché pochi di numero, e non trattenerli più a lungo lì, in un sol luogo, tutti insieme. Si sorpresero tutti a sentirlo annunciare così improvvisa decisione. Ma li animava l'evidente autorevolezza della sua santità; cosicché acconsentirono di buon grado, fiduciosi che tutto ciò avrebbe portato buon frutto». Il beato Giordano di Sassonia dedica un paragrafo del Libellus alla grande e feconda decisione di Domenico di disseminare i primi frati predicatori «nei diversi quartieri della Chiesa di Dio» (Libellus 62).
Siamo nel 1217 a Prouhille, e non è casuale che varie cronache leghino questo fatto a un giorno preciso del mese di agosto, il 15 appunto, quando si celebra la solennità dell’assunzione di Maria in cielo. Sappiamo bene che Domenico vedeva in Maria non solo «la madre del Verbo incarnato e la sede della Sapienza», ma anche “la regina degli Apostoli, colei che ha cooperato con Cristo alla loro formazione» (A. d’Amato OP, Il progetto di San Domenico, p. 83).
Dalla testimonianza del beato Giordano, è chiaro che lo stesso Domenico, nel prendere questa decisione apparentemente improvvisa, non fosse animato da altro che dall’amore per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, come è sottolineato dalla sua invocazione dello Spirito Santo prima di rivolgersi ai frati, e dal sentimento di fiducia dei frati stessi per i buoni frutti che sarebbero nati da un tale atto, ben altro che una semplice dispersione geografica, ma una vera e propria disseminazione.
Il passo citato dal Libellus non ha soltanto la funzione descrittiva di un fatto, ma soprattutto evocatrice e ammonitrice; evocatrice della missione degli Apostoli alla Pentecoste: «erano tutti insieme in un solo luogo protesi verso la stessa cosa» (Atti 2,1). C’è anche un ammonimento per le generazioni successive a stabilire alla radice di qualsiasi decisione quel motore che è lo Spirito Santo. Santa Caterina ci insegnerà a trattare lo Spirito Santo come “principio, regola, mezzo e fine nostro”.
In effetti, introducendo la presa di decisione di Domenico a partire e attraverso l’invocazione allo Spirito Santo, lo stesso Giordano vuole significare questo: lo Spirito Santo non è solo principio e mezzo per parlare ai propri frati, ma sta già alla base, come regolatore, di una tale decisione, in quanto costituisce il fine stesso. Fine non solo della decisione contingente in sé presa da Domenico, ma della missione che riguarderà tutti i frati.
Infatti, così come lo stare insieme in un solo luogo di tutti i frati non è necessariamente il fine in sé, allo stesso modo l’invio di Domenico, preso in sé, non si qualifica come missione: come Caterina insegna, soltanto nel fine dello Spirito Santo, “l’anima non è più viandante e peregrina in questa vita”. Domenico, per questo, non mostra se stesso ai frati come la regola, ma, nel modo di essere un misto del Battista e di San Paolo, indica con la parola e l’esempio la via verso il Verbo. Indica, non impone niente, ma i frati stessi – come riporta Giordano - “si sorpresero tutti a sentirlo annunciare così improvvisa decisione. Ma li animava l'evidente autorevolezza della sua santità”.
Quindi, Domenico, da buon maestro, come Giovanni Battista, mosso dallo Spirito, lascia liberi i suoi frati di andare verso Gesù, il Maestro, «con desiderio – come farà eco Caterina (Lettera CCXXVL, A frate Raimondo da Capua dell'Ordine de' Frati Predicatori) - di vedervi figliuoli veri e banditori della parola incarnata del Figliuolo di Dio, non pur con voce, ma con operazione; imparando dal Maestro della verità, il quale operò la virtù, e poi la predicò.
A questo modo, farete frutto; e sarete quello condotto, per cui mezzo Dio porgerà la grazia ne' cuori degli uditori». L’invio di Domenico ai pochi frati predicatori è stato dettato da una mozione dello Spirito Santo, infondendo nella decisione una valenza universale, anche nel senso di riconoscersi valida sempre e per tutti i membri che costituiscono l’Ordine, nella varietà dei modi di assolvere all’ufficio della predicazione e in una “conversazione” che crea comunione. Tutti da veri figli di San Domenico, possiamo imparare a fare della strada la nostra dimora; e non una strada senza mèta, bensì – come Caterina scrive al padre Raimondo - «pareva chi fusse una strada dalla somma altezza, Trinità eterna, dove si riceveva tanto lume e cognoscimento nella bontà di Dio, che non si può dire».Il Signore esige ancora oggi, come da Domenico e i suoi frati – nella concretezza del contemplari et contemplata aliis tradere - , quel cammino in uscita verso di Lui e di relazione con il prossimo, “andando e conversando tra' veri gustatori, e con la famigliuola di Cristo in terra”. Così, se il “conversare” – come condivisione di azioni e di parole – con la “famigliuola del Cristo in terra” appare una conseguenza della contemplazione dinamica e panoramica alla quale tutti siamo chiamati, allora si riconosce come le parole di Domenico ai suoi frati siano state un monito ad essere “Chiesa in uscita”. Come ha ricordato Papa Francesco nei Vespri all’inizio del mese missionario 2019, «”Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7). Ama una Chiesa in uscita. Ma stiamo attenti: se non è in uscita non è Chiesa. La Chiesa è per la strada, la Chiesa cammina. Una Chiesa in uscita, missionaria, è una Chiesa che non perde tempo a piangere le cose che non vanno, i fedeli che non ha più, i valori di un tempo che non ci sono più. Una Chiesa che non cerca oasi protette per stare tranquilla; desidera solo essere sale della terra e lievito per il mondo. Questa Chiesa sa che questa è la sua forza, la stessa di Gesù: non la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito».
Di fatto l’invio dei primi frati da parte di Domenico è stato a tutti gli effetti una missione e, a distanza di più di 800 anni, “l’Ordine deve compiere la propria missione presso tutti i popoli in unità con la Chiesa intera. […] La fisionomia dell'Ordine in quanto società religiosa scaturisce dalla sua missione e dalla comunione fraterna.” (Costituzioni domenicane, costituz. fondamentale § 1.VI).
Preghiamo San Domenico perché i frati di oggi continuino a sentirsi mossi dallo Spirito Santo alla disseminazione, per portare frutti di unità e non di frammentazione, andando verso Cristo, così da non venire meno al carattere universale dell’Ordine e della Chiesa tutta. Infatti, come Papa Francesco indicava «chi sta con Gesù sa che si ha quello che si dà, si possiede quello che si dona; e il segreto per possedere la vita è donarla. Vivere di omissioni è rinnegare la nostra vocazione: l’omissione è il contrario della missione. Pecchiamo di omissione, cioè contro la missione, quando, anziché diffondere la gioia, ci chiudiamo in un triste vittimismo, pensando che nessuno ci ami e ci comprenda. Pecchiamo contro la missione quando cediamo alla rassegnazione: “Non ce la faccio, non sono capace”. Ma come? Dio ti ha dato dei talenti e tu ti credi così povero da non poter arricchire nessuno? Pecchiamo contro la missione quando, lamentosi, continuiamo a dire che va tutto male, nel mondo come nella Chiesa. Pecchiamo contro la missione quando siamo schiavi delle paure che immobilizzano e ci lasciamo paralizzare dal “si è sempre fatto così”. E pecchiamo contro la missione quando viviamo la vita come un peso e non come un dono; quando al centro ci siamo noi con le nostre fatiche, non i fratelli e le sorelle che attendono di essere amati».Santo Padre Domenico, fa’ che tutti noi oggi, a distanza di più di 800 anni, possiamo riconoscere i frutti di natura ecclesiale della disseminazione: un “Ordine – con al suo interno tutti i suoi vari e distinti membri - al servizio della cattolicità” (G.-T. Bedouelle, Dominique ou la grâce de la parole, p. 247), cioè del carattere universale della Chiesa, che trova la sua unità nel Vescovo di Roma, a superamento di ogni particolarismo divisivo.
A inizio della Novena a Maria Santissima Assunta in Cielo, guardiamo a Domenico, apostolo per mandato degli Apostoli, che ha fatto di Maria la sua maestra, imparando da subito ad essere per i suoi frati “quella madre” che non trattiene a sé i propri figli, ma decide “prontamente” di inviarli nel mondo.
Giulia Lombardi,
laica domenicana