Io, o Diana, sono buono...
Tante volte, osservando mia madre, ho pensato che Dio deve essere simile a lei. E a tutte quelle donne nel cui grembo è germogliata la vita, non solo il giorno del parto, ma sempre, momento per momento, nel dono totale di sé, silenzioso, nascosto, e per questo preziosissimo. L’amore, infatti, si diffonde proprio perché è sottile: raggiunge ogni spazio e ricolma il vuoto del tempo, e con i suoi raggi diffonde vita, luce e grazia.
Il cuore del nostro Dio, verrebbe da dire, è un “cuore di donna”. Ma in realtà è il cuore della donna che assomiglia tanto al cuore del nostro Dio. Di cui ci parla il vangelo di Luca, in una delle pagine più straordinarie del Nuovo Testamento. Alla fine del racconto della parabola di Luca 15, ti accorgi che quel Padre è, in realtà, soprattutto una madre: il suo grembo, da cui si genera una profonda compassione, raccoglie il proprio figlio disperso e lo partorisce di nuovo alla vita. Questo Padre-Madre, in quel momento, pronuncia una Parola: dà alla luce il Figlio in ognuno di noi, suoi figli adottivi, e ci stringe nel suo abbraccio.
Ci sono esperienze umane che appartengono solo alla donna, e che la rendono paradigma di un mistero, quello divino, che si può comprendere solo dandole voce, spazio per esprimersi e raccontarsi. Tempo fa, siamo state invitate, come monache, a un incontro dal titolo “Vangelo al femminile”. Il nostro Vescovo ci ha volute lì, insieme ad altre donne completamente diverse tra loro: ognuna è stata messaggera di una vivissima luce a partire dal personaggio femminile del vangelo che era stato affidato alla sua riflessione.
La verità la si può intuire solo insieme, in una profonda comunione di vita tra il maschile e il femminile, dove talvolta l’uomo deve porsi in ascolto per comprendere quel qualcosa che Dio ha rivelato solo alla donna. E solo insieme, unendo le rispettive intuizioni e visioni, essi diventano capaci di contemplare la vita. Di esserne catturati. Di entrare in modo esperienziale dentro la danza di amicizia della Trinità.
Il Beato Giordano, uomo di grandi amicizie maschili e femminili, dal cuore sensibile e profondo, in una delle sue incantevoli lettere alla sua “figlia” Diana, le racconta un sogno: “Per tua consolazione ti scrivo in breve ciò che ho sognato di te. Mi è apparso qualcosa che mi parlava con tanto accento di verità e gravità che quando ci penso, me ne rallegro ancora. Diceva così: ‘Io, o Diana; io, o Diana; io, o Diana’; e aggiungeva molte volte allo stesso modo: ‘Sono buono, sono buono, sono buono’. Sappi che ciò è stato per me di grande consolazione” (Lett. 21).
Evidentemente il sogno di Giordano non è un messaggio di Dio per la sua amica, ma per lui. Egli fa esperienza della misericordia e della provvidenza del Padre, di queste viscere femminili di Dio che Lui gli fa conoscere attraverso gli intimi dialoghi di amicizia spirituale con Diana. E ciò è per lui fonte di grande consolazione. E gli dona luce per essere, a sua volta, luogo di mediazione della grazia. Così, altrove, egli la illumina, la guida, la incoraggia: “È necessario che, per quanto possiamo, ci sforziamo di riporre nel Signore ogni nostra speranza”. Per fare ciò, è necessario spogliarsi di ogni cosa, anche della stessa gioia di stare insieme, con la certezza che lo Spirito di verità concederà un’unità perfetta e senza fine nella Gerusalemme del cielo (Lett. 22). La comunione profonda che li unisce, li abilita a un sacerdozio condiviso, dove in maniera distinta e complementare essi sono canali di grazia, strumento reciproco di luce. Poiché i consigli e le parole di Giordano, come anche la sua predicazione, sgorgano dalla preghiera di Diana. Di più: la loro unità è quel luogo “divino” dove Egli si manifesta e si dona, e dove essi diventano vera mediazione tra Dio e l’umanità.
La Divina Provvidenza sembra avere una connotazione femminile anche nelle pagine memorabili del Dialogo dove Santa Caterina da Siena descrive il cuore materno di un Dio che non fa mancare niente ai suoi figli che pongono in Lui ogni speranza e su di Lui solo appoggiano la propria salda fiducia. Per questo motivo, la speranza più perfetta appartiene a quanti si spogliano di tutto ciò che è mondano e fanno esperienza di Colui che cambia l’acqua delle loro false ricchezze nel vino dei suoi doni soprannaturali. Il vuoto creato dalla rinuncia Egli subito lo colma di doni inattesi e preziosissimi. Tra cui, per alcuni, il dono di “un amore singolare” (S. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, CXLIV). Una comunione che unisce i cuori facendone di due uno solo, e che è in grado di purificare entrambi dalle esperienze negative del passato, dalle ferite, dagli errori, e di renderli atti ad accogliere in pienezza la vita della grazia.
Questa è la cella interiore più vera e profonda: la comunione di vita. L’amicizia. Lo scambio di tutti i beni spirituali che può avvenire tra due anime che il Signore misteriosamente unisce oltre spazio e tempo e che rende così capaci di conoscerne più profondamente il mistero trinitario. Vivendo un sacerdozio comune essi divengono, insieme, mediazione tra Dio e l’umanità, scala verso il cielo, luogo di grazia e di predicazione, intercessione feconda per tutto il mondo.
Questa è la vocazione domenicana. Un luogo vitale che anticipa il paradiso, dove ciò che si predica non sono parole, ma comunione di vita, condivisione di quella grazia che è la stessa vita di Dio. Di Colui che è unità e distinzione, e dove ognuna delle Tre Persone riceve la propria identità proprio nella sua totale donazione all’altra.
Se poi consideriamo l’esperienza di Santa Caterina, non possiamo non prendere atto della sua natura profondamente sacerdotale.
Che è particolarmente manifesta in un’orazione che la domenicana senese eleva al Padre per tutti i suoi figli, e che ricorda tanto la preghiera sacerdotale di Cristo. Caterina gli affida, innanzitutto, tutti i “ministri del sangue” e tutti suoi figli spirituali:“A te dunque ricorro e rifuggo, Padre eterno, e non te l'adimando per me sola, Padre, ma per tutto quanto il mondo, e singularmente per lo corpo mistico della santa Chiesa: che questa verità e dottrina riluca ne' ministri tuoi, data da te, Verità eterna, a me miserabile. E anco t'adimando spezialmente per tutti coloro i quali m'ài dati che io ami di singulare amore, i quali ài fatti una cosa con meco, però che essi saranno il mio refrigerio, per gloria e loda del nome tuo, vedendoli corrire per questa dolce e dritta via schietti e morti ad ogni loro volontà e pareri, senza alcuno giudicio o scandalo o mormorazione del prossimo loro. E pregoti, dolcissimo Amore, che neuno me ne sia tolto delle mani dal dimonio infernale, sì che ne l'ultimo giongano a te Padre eterno, fine loro” (CVIII, 875-887).
Ma poi Caterina prega in modo speciale per “le due colonne” che Dio le ha donato, Tommaso e Raimondo. Essi sono i suoi Padri spirituali, ma è anche chiaro che lei stessa diviene per essi non solo madre, ma mediazione, intercessione, guida, sostegno. Chiede a Dio che siano un cuor solo e un anima sola e che la loro vita gli dia gloria e sia tutta donata alla Chiesa, per il mondo:
“Anco ti fo un'altra petizione, per le due colonne de' padri che m'ài posti in terra a guardia e dottrina di me inferma miserabile, dal principio della mia conversione infino a ora: che tu gli unisca e di due corpi facci una anima, e che neuno attenda ad altro che a compire in loro, e ne' misteri che tu l'ài posti nelle mani, la gloria e loda del nome tuo in salute de l'anime” (CVIII, 890-897).
E il Padre così risponde alla sua accorata preghiera:
“E però sia dunque sollicita di dare orazioni per tutte le creature che ànno in loro ragione, e per lo corpo mistico della santa Chiesa, e per quegli che Io t' ò dati che tu ami di singulare amore. E non commettere negligenzia in dare orazioni ed esemplo di vita e la dottrina della parola, riprendendo il vizio e commendando la virtù, giusta 'l tuo potere. Delle colonne le quali Io ò date a te, delle quali tu mi dicesti, e così è la verità, fa che tu sia uno mezzo di dare a ciascuno quello che lo' bisogna secondo l'attitudine loro e come Io, tuo Creatore, ti ministrarò, però che senza me neuna cosa potresti fare ed Io adempirò i desideri tuoi” (CIX, 11-24).
Interessante notare come i ruoli sembrino quasi capovolti: i due padri ora sembrano figli, mentre il ministro sembra essere lei, Caterina, posta dal Padre quale “mezzo”, cioè mediazione tra Lui stesso e i due sacerdoti. Ma il vero ministro, qui, è il Padre stesso che le assicura che sarà Lui a suggerirle sempre ciò di cui i due domenicani avranno bisogno nel loro ministero e cui lei dovrà attendere con fedeltà e dedizione.
Facendo un grande salto nel tempo, leggiamo un’esperienza simile nelle pagine di Giorgio La Pira, politico, Professore universitario, laico domenicano completamente immerso nelle vicende del mondo ma profondamente radicato nella Trinità, come dice anche il titolo di una recente pubblicazione sul suo carteggio con Fioretta Mazzei. Qui l’esperienza mistica dell’uomo e della donna, in ascolto dei segni dei tempi, assume caratteristiche moderne quali la comunione dei carismi e la laicità. Così egli le scrive: “Cara Fioretta, come vede io La associo così vivamente alle mie preghiere: il Signore ha voluto che ci aiutassimo così nella vita interiore: e questo aiuto è tanto forte perché si tratta di un vincolo che nessuno spazio di tempo e nessuna distanza di luogo potrà mai allentare…”. E le spiega poi che questo vincolo “è il nesso di soprannaturale unità che così fortemente in Dio ci associa: l’uno si sostiene all’altro: la grazia e la preghiera dell’uno sono anche la preghiera dell’altro. E la prova è costituita da questa presenza mai interrotta dell’uno nell’altro”. Altrove La Pira esplicita la natura di questo dono raccontando un’esperienza: “Spesse volte ci si sorprende a non essere soli a pregare: si prega in due: l’atto di amore che a Dio ci unisce è un atto di amore “bilaterale”: nel fondo del cuore siamo noi e c’è con noi anche qualche altro che fa ormai parte essenziale di noi”. E ancora: “Cara Fioretta, talvolta ho nell’anima – come stasera! – così acuto il desiderio di esserLe vicino: la preghiera soltanto placa questo desiderio”. E aggiunge: “È così dolcemente umano e soprannaturale insieme questo bisogno profondo che abbiamo gli uni degli altri: ci si cerca con lo stesso desiderio con cui si cerca la grazia di Dio: perché effettivamente siamo gli uni per gli altri portatori di questa dolce acqua di grazia destinata a ristorare le anime assetate” (Giorgio la Pira – Fioretta Mazzei, Radicati nella Trinità. Carteggio 1943-1957, Polistampa, Firenze 2018, pp. 53-54).
Assetato di Dio e desideroso di placare questa sete alla fonte della grazia, da vivere nella comunione ed espandere, misteriosamente, in tutto il corpo mistico di Cristo, La Pira vive questa chiamata tutta domenicana insieme alla Mazzei, di spiritualità francescana. Ancora prima del Concilio, con grande apertura ai segni dei tempi, come uomo e donna, domenicano e francescana, laico e laica, entrambi consacrati, alimentano il sogno dell’unità di tutti i popoli vivendo l’unità dei cuori, profondamente radicati nell’evento pasquale. E mentre egli le indica la cella del cuore quale luogo del raccoglimento (p. 85), entrambi sembrano abitare insieme questa cella ampia della comunione dove Dio stesso si rivela con la sua luce. Così il Professore si chiede: “Perché questo o quell’evento? Perché questa gioia o questo dolore? Perché questa circostanza o quest’altra? La risposta è una sola: perché Gesù ci vuole trasformare: perché la nostra vita deve essere una copia della sua” (p.169). Così, essi divengono sacerdoti, ministri di Dio, mediatori della sua grazia e della sua luce l’uno per l’altra e, insieme, per il mondo intero. Quanto ciò sia stato provvidenziale lo dice il ruolo politico di La Pira, le cui intuizioni continuano ad alimentare le scelte della Chiesa anche nel nostro tempo. Esempio lampante è il recente incontro dei Vescovi a Bari, frutto del sogno di unità alimentato dal Professore.
Stralci di luce nei sentieri oscuri del tempo arrivano a noi attraverso queste ed altre esperienze che, nascostamente ed efficacemente, hanno fecondato la vita della Chiesa. La bellezza del Cielo tocca i cuori attraverso la grazia che illumina tutti coloro che si spogliano delle pesantezze umane per rivestirsi della leggerezza di Dio. E vivono un sacerdozio condiviso che spezza le barriere del potere e apre i cuori alla via piccola e stretta del vangelo. Perché tutti possano entrare nell’abbraccio di Colui che è nostro Padre. Perché ognuno possa scoprirsi figlio amato di Colei che è nostra Madre.
sr. Mirella Caterina Soro, O.P.
Monastero S. Maria della Neve e S. Domenico