Quod obedientia debet esse universalis: alcune riflessioni su laicato ed obbedienza
“Quod obedientia debet esse universalis”. Con questo riferimento all’obbedienza universale si apre il capitolo XIII della Epistola de tribus votis substantialibus religionis del b. Umberto di Romans1, contenuta nell’ Opera de vita regulari. Ed è con questa stessa frase che si può aprire una breve considerazione sull’obbedienza nel mondo laico anche alla luce del Salmo 39(40), in cui traspare un forte legame tra obbedienza (v. 9) e predicazione (v.10). Versetti giustapposti che indicano nell’obbedienza del Figlio che si incarna (“che io faccia il tuo volere, del v.9) il requisito per una predicazione efficace (“Ho annunziato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi, non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai”, del v.10).
Nell’ordine di san Domenico questa forte relazione è provata dalla formula di professione in cui si promette esclusivamente obbedienza, da qui la predicazione per la salvezza delle anime. Questo elemento è presente in tutti e tre i rami dell’Ordine e si declina in modo del tutto particolare a seconda dello status canonico dei membri.
Nella professione religiosa, infatti, viene detto chiaramente “prometto obbedienza”. Ma in quella dei laici? È noto che i fedeli cattolici laici non emettono voti pubblici di castità, povertà ed obbedienza. Ma cosa dire di un laicato inserito in un ordine religioso e che un’antica definizione vedeva condividere la vita apostolica dei frati, fondata in modo tanto forte ed esclusivo sulla virtù dell’obbedienza? A questo proposito è utile rifarsi al succitato testo di Umberto di Romans. Qui viene detto in modo estremamente chiaro che tutti gli uomini devono osservare obbedienza, secondo il loro stato canonico diremmo oggi, e, parlando dei laici, elenca tre categorie: padri di famiglia, re e popolo.
È interessante notare, preliminarmente, che:
- le osservazioni di Umberto de Romans sono inserite in un testo per i membri dell’Ordine capaci di comprendere il latino. Questo suggerisce una auspicata sensibilità dei frati chierici verso l’edificazione e la formazione del laicato in un’ottica di piena unità tra i rami;
- il ruolo riconosciuto al laico è, due volte su tre, un ruolo dirigente e sociale: il padre di famiglia ed il re, infatti, sono a capo di strutture la cui stabilità è di fondamentale importanza per il benessere collettivo.
Seguendo l’ordine inverso, si nota che il popolo laico deve essere obbediente all’esposizione dei divini precetti ed all’amministrazione dei sacramenti. In altre parole deve essere ben formato e fedele alla dottrina e ligio alla frequenza dei sacramenti da cui scaturisce la grazia della sua perseveranza nell’obbedienza alla dottrina. Una eco di questo è presente nella odierna Regola del laicato domenicano, ed in particolare all’articolo 13, laddove vengono indicate le fonti della formazione del laico nella Scrittura, neò Magistero, nella riflessione teologica e nella Tradizione della chiesa e dell’Ordine.
Tra il popolo laico chi è padre deve essere obbediente a quegli impegni ordinati al buon funzionamento della famiglia (impegni che diremo economici .- il lavoro onesto e ben eseguito - e sociali – le obbligazioni verso la collettività) ed i re, parallelamente, obbedienti a quelle pratiche finalizzate al buon funzionamento dello Stato.
Stando, quindi, a questo antico testo medievale, sorprendente per la sua attualità, il laico, sebbene non strettamente legato da voti di obbedienza, poiché non coerenti al suo stato canonico, deve altresì esercitare questa virtù nel suo ambiente quotidiano. Questa perseveranza è garantita dall’obbedienza generale alla dottrina ed alla frequenza dei sacramenti. L’ esercizio costante di questa virtù gli permetterà di realizzare la stabilità delle strutture sociali a lui affidate e, se inserito nell’ordine dei Predicatori, di condurre anche una predicazione efficace e docile alle sollecitazioni dello Spirito.
Graziano Curri
novizio laico domenicano
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1 Quinto Maestro Generale dell’Ordine dal 1254 al 1263.