Tutti i figli del nostro cuore
Diceva Papà Goriot nella celebre opera di Honoré de Balzac: “I padri devono sempre dare per essere felici. Dare sempre, l’essere padre sta in questo”. Come domenicani, facciamo esperienza di quanto sia fonte di profonda gioia lo stare con Dio e il donare agli altri il frutto di questa nostra comunione con Lui, divenendo spettatori delle Sue meraviglie nella vita delle persone che incontriamo.
Ma conosciamo bene che tutto ciò che diamo non ci appartiene: noi siamo semplici canali di una grazia che siamo i primi a ricevere e dalla quale, per primi, siamo toccati, guariti, salvati.
Mi colpisce che i più grandi predicatori del nostro Ordine, che hanno fatto di questa realtà la loro vita, siano stati anche le più “piccole” e umili persone che ci si possa immaginare. Ho in mente due testimoni del nostro tempo che hanno incarnato profondamente lo spirito del nostro Santo Padre Domenico, in maniera del tutto originale e feconda. E che sembrano essere l’immagine fedele della nostra vocazione domenicana così come la descrisse Caterina da Siena nel Dialogo della Divina Provvidenza: “Domenico fu uno lume che io [il Padre] diedi al mondo col mezzo di Maria”: la predicazione, cioè, sgorga solo da una profonda vita contemplativa, così come la parola nasce dal silenzio.
Conosciamo tutti la storia di Elisabetta Arrighi Leseur (1866-1914) che è stata una donna laica appartenente a un’agiata famiglia dell’alta società francese, innamorata della bellezza, della cultura, della vita di società. Innamoratasi a venti anni di Felix Leseur, nato da una famiglia cattolica ma allontanatosi in seguito dalla fede, lo sposa felicemente, con la speranza di poter condividere, un giorno, con lui anche il proprio Credo. In realtà, Felix, che è divenuto medico di discreta fama, desidera, piuttosto, essere artefice dell’allontanamento radicale della moglie da una fede, quella cattolica, che giudica del tutto assurda. Ma proprio quando pensa di esserci quasi riuscito, avviene la svolta. La lettura delle opere di Renan, consigliatole da colui che intendeva dare così il colpo di grazia alle residue resistenze dell’anima limpida di Elisabetta, inaspettatamente riavvicina del tutto la giovane donna al Signore. Inizia, così, un’avventura di fede meravigliosa e incredibile per Elisabetta, che continua a circondare il marito della stessa tenerezza e di un amore sempre più attento ma, pur senza pretendere da lui alcun cambiamento, vive un’intensa esperienza di preghiera e di rapporto con Dio, di cui resta viva e radiosa testimonianza nei suoi diari. Diverse malattie provano duramente il suo fisico ed Elisabetta offre tutto per la conversione del marito. Malattie che la portano inesorabilmente alla morte. A questo punto lasciamo la parola a Felix che così racconta: “Dopo la morte, quando mi pareva che tutto crollasse attorno a me, trovai il Testamento spirituale che ella aveva disteso con l’intenzione rivolta a me e il suo Diario. Mi immersi nella lettura di questi scritti, li lessi e rilessi, e in tutto il mio essere morale accadde una rivoluzione. Compresi allora la celestiale bellezza di quell’anima, e come ella avesse accettati tutti i suoi patimenti e li avesse offerti nella maggior parte per la mia conversione”. Elisabetta aveva stretto con Dio un patto “facendo voto della sua vita in cambio del mio ritorno alla fede” (Felix Leseur, “In memoriam” in Elisabetta Leseur, “Diario e pensieri”). Ha creduto profondamente che Dio avrebbe accettato la sua richiesta e invita Felix così nel testamento: “Quando pure tu sarai diventato Suo figlio, discepolo di Gesù Cristo e membro vivo della Chiesa, consacra la tua vita trasformata dalla grazia alla preghiera e al dono di te stesso con la carità”. E poi ancora: “Ama le anime; prega, soffri e lavora per loro. Esse meritano tutti i nostri dolori, tutti i nostri sforzi, tutti i nostri sacrifici”.
Come ben sappiamo, il suo amore per Felix, radicato in una vita di preghiera e di offerta, li ha uniti in vita e in cielo. E il suo amore è stato così fecondo che Felix non solo si converte, ma dopo cinque anni, nel 1919, chiede di iniziare il suo cammino nell’Ordine dei Predicatori, a Parigi, che lo porterà a divenire Padre Maria Alberto.
Per ben ventisette anni avrebbe vissuto il suo sacerdozio, a gloria di Dio e per la salvezza di quanti Egli gli avrebbe affidato. Quanto essi siano stati fecondi lo dicono alcune parole di Elisabetta che nel suo Testamento affida a un Felix che lei già vede come appartenente al Signore i loro parenti e amici e così gli scrive: “Sii loro guida spirituale, l’amico dell’anima loro, l’esempio della loro vita. Considerali tutti come i figli del nostro cuore, e non li abbandonare mai”. I coniugi Leseur, infatti, non avevano mai potuto avere figli. Ma è commovente notare come i figli spirituali che Dio un giorno avrebbe donato al sacerdozio di Felix sarebbero stati tutti “figli del nostro cuore”. Non sono più due cuori, ma uno solo. Al di là del tempo e dello spazio. Della vita e della morte. Qui non si tratta più di un livello solo umano, ma piuttosto soprannaturale, che lega le anime indissolubilmente e le rende feconde in Lui. Che le fa partecipare già oggi dell’eternità di Dio.Penso che la testimonianza di Elisabetta e Felix sia, oggi, estremamente attuale ed eloquente. La loro vita parla e comunica la grazia da cui è stata trasformata e che l’ha resa benedizione per tutti coloro che si accostano alla loro esperienza. Ed esprime l’essenza stessa dell’Ordine e del sogno di Domenico: la vita di contemplativa sostiene, trasforma, incoraggia, alimenta, nutre la predicazione. E la donna è chiamata ad essere, ancora oggi, quel grembo in cui il predicatore viene custodito per poter divenire, insieme, uomini e donne, veramente fecondi.
La storia di Elisabetta e Felix ci ricorda che, per carisma, in qualsiasi ramo dell’Ordine Dio ci abbia chiamati, noi saremo efficaci solo se vivremo questa unità profonda. Che non potremmo mai sminuire pensando che si tratti di semplice (seppur buona e auspicabile) amicizia umana. Qui siamo su un altro piano, che è divino, e la grazia opera, spesso, in maniera nascosta, sublime, silenziosa. Si tratta di un’unità che nasce nel sangue di Cristo, che si alimenta della Parola, che cresce con l’offerta della vita e che si fa dono incondizionato affinché la grazia agisca nei fratelli così come a Lui piace. Si tratta di una comunione che unisce radicalmente i cuori, rendendoli uno solo, al di là dello spazio, del tempo e persino della vita e della morte. E questo dono di unità del tutto singolare non è forse il cuore stesso della nostra Regola, quando ci invita a vivere con un cuore solo e un’anima sola? Ma per fare esperienza di ciò bisogna farsi veramente piccoli e poveri. Come? Scrive Elisabetta:
“Quando ci sentiamo molto impotenti di fronte alla ostilità dell’indifferenza; quando è impossibile parlare di Dio o della vita spirituale; quando molti cuori sfiorano il nostro senza penetrarvi, bisogna ripiegarsi pacificamente dentro noi stessi, nella dolce compagnia che non manca mai all’anima nostra; e non dare agli altri che le nostre preghiere, il tranquillo esempio della nostra vita e quelle occulte immolazioni che costituiscono il più fecondo apostolato. Tutte le nostre dimostrazioni, tutte le nostre parole, tutti i nostri sforzi, non valgono il più debole raggio dello Spirito Santo per illuminare un’anima; ma possono ottenere a quest’anima tutta la luce dello Spirito Santo” (Elisabetta Leseur, “Diario e pensieri”).
Farsi così piccoli, dunque, è la via più sicura per divenire, come Maria, grembo vivente del Verbo che, ancora oggi, desidera ardentemente la gioia e la salvezza di tutti i nostri fratelli (cfr. Lc 22,15). Senza dimenticare mai che non può esserci Gesù senza Maria, né Maria senza Gesù. Che non ci sarebbe stata mai Elisabetta senza Felix, né Padre Alberto Maria, senza Elisabetta. Perché ormai “tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Ed è proprio questa unità la più silenziosa ma efficace, la più vera e credibile predicazione del nostro Ordine.
sr. Mirella Caterina Soro, O.P.
Monastero S. Maria della Neve e S. Domenico