Una speranza migliore
L’escatologia di s. Tommaso, oggi
Perché riprendere tra i molteplici aspetti dell’opera di Tommaso proprio la trattazione escatologica e in particolare il tema della speranza? La risposta ci viene dal momento stesso che viviamo e dalle provocazioni che esso ci rivolge.
Fin dall’inizio del suo ministero come vescovo di Roma infatti, papa Francesco ha lanciato l’ invito a non «farsi rubare la speranza» e a testimoniare la gioia e la novità del Vangelo, anche in questo tempo di difficoltà e di crisi che attraversano le società occidentali. Lo ha espresso già in una delle prime omelie a pochi giorni dall’ elezione1, e lo ha ripreso più volte in altre occasioni fino a farne diventare un tema ricorrente del suo Magistero2.
Il tema è stato poi ripreso da altri importanti esponenti dell’episcopato, come ad esempio dal card. Gerhard Ludwig Müller, già Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che in un libro-intervista con Carlos Granados3, ha posto al centro della riflessione la «grande crisi di speranza» che attraversa il mondo contemporaneo e l’urgenza di rispondere a tale sfida sul piano teologico-ecclesiale, o dal card. Angelo Scola che in una riflessione sul disagio e le attese dell’Occidente contemporaneo4, ha sottolineato l’urgenza della missione di «restituire speranza» ad un mondo in cui il Cristianesimo non è certamente più la religione socialmente dominante. In un contesto siffatto un excursus sull’escatologia di s. Tommaso, «il teologo che più si è occupato della speranza » 5, ci fornisce una riflessione teologica sapienziale e rispettosa del dato rivelato, capace di enucleare le caratteristiche essenziali dell’attesa cristiana, e alcuni princìpi per riproporre il “Vangelo della speranza” oggi in feconda interazione con il contesto culturale del nostro tempo. Se infatti dovessimo caratterizzare culturalmente il tempo che viviamo (almeno nelle società occidentali), potremmo utilizzare la formula di Lyotard circa la caduta delle “grandi narrazioni” che hanno segnato la parabola moderna, nel senso che (cito testualmente):
«ognuno dei grandi racconti di emancipazione, a qualunque genere abbia dato l’egemonia, è stato per così dire invalidato negli ultimi cinquant’anni. –Tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale: ʽAuschwitz’ confuta la dottrina speculativa. Almeno questo crimine, che è reale, non è razionale. –Tutto ciò che è proletario è comunista, tutto ciò che è comunista è proletario: ‘Berlino 1953, Budapest 1956, Cecoslovacchia 1968, Polonia 1980’ (e la serie non è completa) confutano la dottrina del materialismo storico: i lavoratori insorgono contro il partito. – Tutto ciò che è democratico viene dal popolo e va verso il popolo, e viceversa: il ‘maggio 1968’ confuta la dottrina del liberalismo parlamentare. Il sociale quotidiano mette in crisi l’istituzione rappresentativa. – Tutto ciò che è libero gioco della domanda e dell’offerta favorisce l’arricchimento generale e viceversa: le ‘crisi del 1911 e del 1929’ confutano la dottrina del liberalismo economico mentre la ‘crisi degli anni 1974-1979’ confuta la versione postkeynesiana di essa»6.
Tra i “grandi racconti” che sono tramontati va menzionato anzitutto quella fiducia nel progresso e nel futuro che ha segnato tutta la parabola moderna. L’utopia liberale che ha tradotto in forma secolare la fede nella Provvidenza in una fiducia nel progresso mondano e storico 7 è entrata in crisi con l’avvento della democrazia liberale e con la diffusione su vasta scala a livello mondiale all’indomani della globalizzazione. La tesi della fine della storia 8 lanciata ad inizio degli anni ’90 del secolo scorso dal filosofo statunitense Francis Fukuyama (ma già presente negli scritti hegeliani cui il pensatore americano si ispira) segnala proprio la fine di questa lunga corsa in avanti che la modernità ha inseguito. I l tempo post-storico è uno scorrere monotono e grigio di eventi senza novità, in cui ciascuno si limita a perseguire i piccoli interessi e vantaggi personali senza più grandi obiettivi o mete da raggiungere. Ne seguono due atteggiamenti collegati che prendono il posto di questo vuoto lasciato dal tramonto dell’utopia moderna: da un lato un sentimento di disillusione e disorientamento, l’emergere di “passioni tristi”9 che generano assenza di progettualità e schiacciamento sul puro qui e ora del momento che si vive; dall’altro un senso di paura e di angoscia che genera presagi apocalittici di una fine del mondo ineluttabile e imminente, sia essa la conseguenza di un collasso economico, ambientale o sociale del sistema, oppure il frutto di narrazioni millenaristiche e apocalittiche che abbondano nel linguaggio dei radicalismi e fondamentalismi contemporanei. Il quadro è quello di un contesto privo di autentica speranza e che fa ritornare attuali, come evidenzia l’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, le parole di Paolo ai cristiani di Tessalonica («perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» 1 Ts 4, 13) e a quelli di Efeso («ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo […] senza speranza e senza Dio in questo mondo», Ef 2,12), per sottolineare la novità della speranza cristiana rispetto ai culti politeistici, annuncio che torna di particolare attualità in un contesto post-cristiano. D’altra parte il tramonto dell’escatologia secolare incentrata sulla fede nel progresso e nel futuro costituisce un kairòs propizio per la speranza teologale per mostrarsi in tutta la sua irriducibile differenza rispetto al semplice ottimismo ideologico10.
In quest’ottica di ripresa dell’eccedenza irriducibile dell’attesa escatologica del cristiano rispetto alle trasposizioni operate dal pensiero secolare, Tommaso può essere ascoltato quale testimone autorevole della “differenza cristiana” della speranza teologale, oltre che sapiente sistematizzatore. Tommaso distingue la speranza-passione intesa come movimento della sensibilità (in particolare dell’aggressività) verso un bene futuro di carattere « arduum », ma proporzionato comunque alle capacità naturali della persona 11, dalla speranza teologale che ha a che fare con Dio stesso, nel senso sia che da Lui proviene il dinamismo impresso alla volontà umana ( causa efficiente ), sia che è a Lui la meta ultima verso cui tende tale dinamismo. L’articolazione tra le due dimensioni della speranza e quella teologale è data proprio da questa tendenza verso ciò che è arduum , da intendersi non semplicemente come qualcosa di difficile e arduo, ma come ciò che è alto, eminente, elevato 12, e che quindi solo nel fine ultimo può trovare il suo appagamento. Tra la dimensione meramente naturale e quella più specificamente teologale c’è quindi un salto, nel senso di un compimento gratuito ed eccedente che realizza in modo inatteso quanto già insito nel cuore umano. Come è noto per Tommaso è la beatitudine i ntesa come contemplazione di Dio il fine ultimo del desiderio umano, e la speranza teologale non potrà che portarsi su tale termine, come egli stesso esprime con una formula efficace: « non si deve sperare da lui qualcosa che sia al di sotto di Dio medesimo » 13.
La visio Dei , intesa come contemplazione “ faccia a faccia ” (secondo la formula di 1 Cor 13,12) dell’essenza divina, senza più veli né mediazioni, diviene allora il fine ultimo dell’esistenza umana, la sua pienezza e beatitudine, come Tommaso chiarisce fin dalla Prima Pars della Summa dove si chiede (nell’ambito della trattazione sul mistero di Dio) “se un intelletto creato possa vedere Dio nella sua essenza” (q. 12 a. 1), per poi riprendere la questione nella Prima secundæ a proposito del tema della beatitudine dell’uomo. Naturalmente occorrerà evitare una lettura semplicistica e banalizzante di tale formula, ricca di risonanze bibliche e patristiche, alla stregua di un semplice assistere esteriormente a un qualcosa che non coinvolga in pienezza la persona. per unionem ad Deum sicut ad obiectum » 14, come Tommaso dice nell’articolo 8 della Quaestio 3 della Prima Secundæ della Summa. Questa beatitudine non ha nulla di solipsistico o di spiritualista, dal momento che la dimensione della corporeità e della socialità ne costituiscono parte integrante. La dimensione della corporeità e della comunionalità della beatitudine sono sottolineate già negli articoli della questione immediatamente successiva della stessa sezione della Summa theologiæ , laddove Tommaso precisa (trattando dei “requisiti della beatitudine” ) che il corpo concorre alla beatitudine dell’anima come « elemento integrativo », e che la compagnia degli amici «conferisce completezza alla beatitudine » 15, quasi ad escludere una concezione solipsistica e intimistica del fine ultimo della creatura umana. L’aspetto comunitario ed ecclesiale dell’escatologia tommasiana (richiamato in particolare da Henri De Lubac come espressione della dimensione sociale del cattolicesimo 16) emerge soprattutto nella trattazione del Regno escatologico, inteso facendo eco all’insegnamento biblico e patristico della Città definitiva, come gioioso consortium di tutti i santi e sante nella Gerusalemme celeste:
La terminologia della “visione” indica partecipazione piena alla vita divina, comunione e divinizzazione beatificante e trasformante, ««Il fine infatti di ogni creatura ragionevole è di raggiungere la beatitudine, la quale non può consistere che nel Regno di Dio: il quale regno non è che la società ordinata di coloro che godono della visione di Dio»17.
L’escatologia tommasiana è tutt’altro che limitata alle sole questioni sui cd. Novissimi contenute nel Supplementum alla Tertia Pars (qq. 69-99), cioè alla considerazione di ciò che riguarda la sorte ultima dell’uomo dopo la morte, ma inizia con la trattazione stessa del fine ultimo che inaugura il trattato di etica teologale della Prima Secundæ, la cui intenzionalità struttura e informa già ora tutta la vicenda temporale del credente:
«la “cosa ultima”, per quanto diversamente la si possa pensare,-come morte e poi più nulla, come aldilà cristiano o in qualche altro modo religioso-si ripercuote immancabilmente, come conclusiva interpretazione di senso, su tutto l’esserci temporale»18.
Il compimento escatologico del piano salvifico divino è già anticipato nella risurrezione di Gesù a cui il cristiano partecipa attraverso la vita di grazie e che dà sostegno alla sua speranza, come si precisa già nel Prologo della Tertia pars della Summa , in cui la risurrezione è indicata come via di accesso « alla beatitudine immortale » 19. Tale evento si prolunga nella storia e nella vita del credente attraverso i sacramenti, che sono autentica esperienza di éschaton nel tempo, come Tommaso esprime nel suo linguaggio dicendo che i sacramenti sono allo stesso tempo « cause e segni della grazia » 20, alludendo con ciò alle energie stesse della risurrezione che operano in essi. Non è quindi fuori luogo osservare che la speranza teologale descritta da Tommaso, nonostante il linguaggio densamente speculativo in cui è proposta e l’analisi attenta delle varie componenti sia la virtù per antonomasia « dell’ homo viator », la speranza viva di chi affronta il cammino della vita « nell’attesa della Parusìa ». E che questa attesa escatologica, che tende alla gioiosa comunione di tutti i beati nel banchetto celeste, si sperimenti già ora nella vita cristiana vissuta all’interno della Chiesa, “comunità sempre in cammino”21, che vive il pellegrinaggio terreno e attende, come afferma il Concilio Vaticano II, «il suo compimento […] nella gloria celeste, quando verrà il tempo in cui tutte le cose saranno rinnovate» (LG 48).
Al termine di questo breve excursus sulle linee di fondo dell’escatologia tommasiana in questo scenario postmodeno (e postcristiano), possiamo allora riprendere l’espressione di Eb 7,19, che fa riferimento all’ «introduzione di una speranza migliore» per indicare il rapporto tra l’attesa escatologica cristiana e il tempo che viviamo. Il testo della Lettera agli Ebrei si riferisce al passaggio dall’antica alla nuova Alleanza, fondata sulla risurrezione di Cristo e sul suo sacerdozio universale e al compimento delle promesse antiche, ma può servire analogicamente per caratterizzare il superamento sia dell’escatologia secolare moderna, incentrata sul progetto utopico e sulla fiducia nel progresso, sia della mera rassegnazione postmoderna a ciò che è immediato e transitorio. Ciò che la speranza teologale può offrire al mondo di oggi è la capacità di riapprendere il senso del tempo a partire da un’attesa che è radicata nella memoria resurrectionis e chiama a vivere il presente come anticipazione del Regno che viene. Vivere già al presente questa esperienza di eternità, che si distingue tanto dal ripiegamento sul presente, quanto dalle paure del futuro che si agitano nello scenario postcristiano è ciò che caratterizza l’esistenza del credente e il contributo che egli può offrire alla costruzione della città comune. La sua testimonianza dell’attesa escatologica può divenire pro-vocazione e inquietudine22, chiamata a riascoltare un’origine inevidente che è anche destinazione e fine ultimo, che si attesta nell’esperienza ordinaria come «definitivo che traspare enigmaticamente nel provvisorio»23.
fr. Daniele Aucone, O.P.
Convento S. Maria sopra Minrva, Roma
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1 francesco, Omelia per la celebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore (24 Marzo,2013), https://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130324_palme.html
2 Cfr ad es. francesco, Omelia per la celebrazione della festa di s. Anna davanti alla Reggia di Caserta (26 luglio 2014), https://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2014/documents/papa-francesco_20140726_omelia-caserta.html; id., Incontro con le Comunità di Vita cristiana (CVX) e la lega missionaria studenti d’Italia (30 aprile 2015), https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/april/documents/papa-francesco_20150430_comunita-vita-cristiana.html
3 g.l. müller, Indagine sulla speranza. Dialogo con Carlos Granados, Cantagalli, Siena, 2017
4 a. scola, Postcristianesimo? Il malessere e le speranze dell’Occidente, Marsilio, Padova, 2017
5 c.-a. bernard, Théologie de l’espérance selon saint Thomas d’Aquin, Vrin, Paris, 1961, p. 7
6 j.-f. lyotard, Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano, 1987, p. 38
7 Cfr. k. löwith, Significato e fine della storia. I presupposti teologici di una filosofia della storia, Il Saggiatore, Milano, 2015
8 f. fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Bur, Milano, 2003
9 m. benasayag-g. schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2005
10 In questo senso f. hadjadj, L’aubaine d’être né en ce temps, Éditions de l’Emmanuel, Paris, 2016, p.33; sulla differenza tra speranza cristiana e un atteggiamento di ottimismo psicologico o ideologico, j. ratzinger, Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità, Jaca Book, 20095, pp. 35-42
11 Cfr. tommaso d’aquino, S.th., I-II, q. 40, a. 1
12 Era questa già l’interpretazione di Gauthier alla luce dell’accezione medievale dell’arduum nel suo studio sulla magninimità, ripresa poi da C.-A. Bernard; cfr. r. a. gauthier, Magnanimité. L’idéal de la grandeur dans la philosophie païenne et dans la théologie chrétienne, Vrin, 1953, pp-324-325; c.-a. bernard, Théologie de l’espérance selon saint Thomas d’Aquin, cit., p.33
13 tommaso d’aquino, S.th., II-II, q.17, a.2
14 id., S.th., I-II, q.3, a.8
15 id., S.th., I-II, q.4, a.8
16 h. de lubac, Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma, Jaca Book, Milano, 2017. Convinto infatti che la dimensione sociale della fede cristiana tocchi non solo le sue realizzazioni in campo sociologico e istituzionale, ma il suo stesso esprimersi mediante le formulazioni dogmatiche e liturgiche, il teologo gesuita si proponeva di mostrare in una
«visione complessiva come tutta la nostra religione, nei principali articolo del suo Credo (c.1), nella sua costituzione vivente (c.2), nella sua dimensione sacramentale (c.3), nella meta che ci fa sperare (c.4) , presenti un carattere eminentemente sociale, che non si potrebbe misconoscere senza falsarla», ivi, Introduzione, XXXI
17 tommaso d’aquino, Summa contra Gentiles, IV, 50, UTET, Torino, 1975, p. 1144
18 h. u. von balthasar, Escatologia nel nostro tempo. Le cose ultime dell’uomo e il cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2017, p. 9
19 tommaso d’aquino, S.th., III, Prologo
20 Ivi, q. 62, 1, ad 1m
21 j. ratzinger-benedetto xvi, La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, San Paolo, Milano, 2008
22 m. muller-colard, L’inquietudine, San Paolo, Milano, 2018
23 j.-y- lacoste, Notes sur le temps. Essai sur les raisons de la mémoire et de l’espérance, cit., p. 98