La guerra e la vittoria
Esaltazione della Santa Croce
Penso che il momento più critico di una guerra non sia tanto la sconfitta finale, ma la ritirata, almeno dal punto di vista del soldato Perché è come se nel suo animo che tanto ha sofferto durante la battaglia, a un certo momento pensi che oramai “non c’è più niente da fare”, o che, se si è arrivati al suono di quella tromba, sicuramente “qualcosa è andato storto”!
«Sarà stato un errore di tattica militare?», si domanderà… o semplicemente le forze che vengono meno; la sola vista dei corpi dei suoi compagni caduti e continuamente calpestati con indifferenza da parte della fanteria nemica, gli provoca ancor più dolore da un lato, e dall’altro la consapevolezza di ringraziare Qualcuno perché ancora è in vita. In ogni caso bisogna ritirarsi! È la triste storia delle guerre. «La storia è fatta di vincitori e di vinti!», dicono gli storici, e se «historia magistra vitæ», qualcosa di vero ci sarà.
Lungo il percorso della nostra storia, se letta attraverso gli occhi di un mondo che sembra aver messo da parte Dio, la sua Maestà e il concetto stesso di Trascendenza perché – paradossalmente – fonte di tutti i mali personali e sociali, incontriamo un certo Gesù di Nazareth, che molti chiamano Cristo, che storicamente è vissuto proclamandosi pure “Figlio di Dio”, ma che, a un certo punto è stato inchiodato a una croce perché “qualcosa è andato storto”. Quella croce, simpliciter, è, dunque, un oggetto con due assi incrociati, sui quali è appeso un corpo crocifisso. Eppure, una volta, questo stesso Cristo disse: «Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33)
Cos’è, dunque, successo? Poiché se vogliamo continuare con la nostra metafora bellica – e senza entrare naturalmente in dualismi dall’antico sapore manicheo – la vicenda di questo Cristo, è la storia dell’eterno duello tra il sommo Bene, il Principe della pace che è venuto a «fare la pace» (cfr. Ef 2,15) e le potenze del Male («mors et vita duello», cantiamo nella ‘sequenza’ di Pasqua), rappresentate da Satana e dalle potenze infernali; chiamerei costoro gli “eterni ribelli” perché, peccando di superbia, avanzano l’eterna guerra contro Dio, volendo essere come Lui, capaci di creare, di acquisire la perfezione e pretendendo di conseguire con le sole proprie forze naturali, senza la grazia, la beatitudine soprannaturale. Questa guerra, Cristo l’ha condotta da sempre, sia in modo personale (pensiamo alle tentazioni nel deserto), sia per una causa maggiore, ovvero per noi, al fine di strapparci dal tentatore, che volle, sin dal primo istante, trascinarci con sé.
Sotto questo aspetto la crocifissione rappresenterebbe, dunque, il momento in cui anche per Cristo “qualcosa è andato storto”, e anch’Egli ha sperimentato quel fallimento di tattiche per cui è suonata quella tromba che l’ha condotto alla ritirata. In realtà, un certo tipo di ‘storia’, spesso in modo pseudo-convincente perché intrisa un po’ di eresia, illuminismo, razionalismo, scetticismo, materialismo, ateismo, hanno presentato la storia del ‘nostro’ Cristo come la storia di un fallimento. E se ci pensiamo bene, come si fa a credere in una persona che si proclamò addirittura Figlio di Dio ma fu condannato perché bestemmiatore, si è proclamato Re, ma quella che doveva essere la sua incoronazione fu invece una beffa tra derisione e scherni; si disse pure Messia, ma fu giudicato come istigatore delle masse; si presentò come Salvatore, ma, come disse qualcuno sotto quella stessa croce, non riuscì a salvare nemmeno se stesso… Insomma, il Cristo dei paradossi e delle contraddizioni! Eppure, ancora una volta da quella croce Egli sussurra: «Io ho vinto il mondo!»
Se la storia sia scritta dai vincitori o dai vinti, lasciamo agli storici la soluzione del grande dilemma; ma se la storia è scritta da Dio e Dio stesso scrive tra le righe della storia, leggendo la vicenda di questo Gesù di Nazareth che per noi cristiani è e resta il Figlio di Dio, quel Crocifisso è tutto ciò che di prezioso rimane per questo nostro mondo!
Ebbene, con buona pace dei razionalisti, proprio da quella Croce si riceve salvezza. Perché fu proprio la croce ad essere l’unica arma che Cristo ha usato per condurre ‘misteriosamente’ la sua battaglia contro chi voleva trascinare anche Lui nell’abisso di morte. La croce diviene ‘mistero’ perché ha cambiato la storia, e per questo la Chiesa ci dà la grazia di poterla contemplare ancor più in profondità mediante una festa che abbiamo celebrato qualche giorno fa: l’Esaltazione della Santa Croce; «Fulget Crucis mysterium» cantava a buon ragione Venanzio Fortunato, autore del celeberrimo inno Vexilla regis prodeunt!
Della croce non se ne cantavano certamente le lodi presso i contemporanei di Gesù; ma le prime generazioni di cristiani non se ne vergognavano neppure di fronte ai pagani. Il «credo quia absurdum» di Tertulliano, è il compendio di ciò che scrisse più estesamente: «Il Figlio di Dio fu crocifisso; non è vergognoso perché potrebbe esserlo…». Forse teneva a mente che nello ius romanum dei tempi neroniani, i tre supplizi peggiori erano: crux, crematio e decollatio.
E chissà che ne penserebbe oggi il buon Cicerone riguardo la Santa Croce; lui che nella Pro Rabirio, definisce la crocifissione addirittura come «crudelissimum teaterimumque supplicium – il supplizio più crudele e più orribile» e «servitutis extremum summunque supplicium – il supplizio più grave e capitale degli schiavi». ufficio delle Tenebre: il Figlio di Dio ha subìto la condanna più atroce da un lato e più indegna dall’altro, ma San Paolo, per tutta risposta, scriveva ai Galati (6,14): «Quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo.»
Lo stesso Tacito la qualifica come «mors turpissima». Credo bastino questi esempi per dire che presso gli illustri autori romani questo “oggetto” era motivo di disprezzo e il cui solo pensiero era da rifuggire, perché simbolo di una condanna indegna per un cittadino romano e un uomo libero. «Ecce quomodo moritur iustus», recita uno dei responsori dell’Guardando ‘il’ Crocifisso con gli occhi della fede, noi sappiamo che questa guerra col male Cristo l’ha vinta; e anche nei momenti più oscuri non ha sperimentato la “ritirata”, ma quella Passione e quella Morte come noi la conosciamo, era necessario che la subisse in primo luogo per la sua stessa esaltazione, ma a maggior ragione per la redenzione del genere umano, giacché con la sua croce, Egli ci ha dato l’esempio e il coraggio di affrontare qualsiasi morte, sia corporale che spirituale. Quante volte ci capita di attraversare i periodi cosiddetti ‘bui’ nella nostra vita! Ma guardando la croce, noi sappiamo che Cristo ci dà l’ulteriore speranza che verrà la luce, perché nelle nostre ‘battaglie’ quotidiane non ci lasciamo prendere dallo scoraggiamento che “tutto sia finito”. Dietro la croce c’è la risurrezione, c’è la nuova vita! Non possiamo vivere in un lungo ed eterno venerdì santo; ma lo stesso venerdì santo di Cristo, ritrova il suo senso pieno perché la domenica di Pasqua arriva al terzo giorno!
Regnavit a ligno Deus: ora, forse, lo comprendiamo bene cosa significhi: la croce è tanto «il legno in cui Cristo fu appeso», quanto «il legno sul quale Cristo regnò»; sulla croce è innalzato perché dev’essere glorificato e perché attiri tutto a sé. È lo stesso movimento ascensionale e discensionale che ritroviamo nel v. 8 di Fil 2: «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato…».
E al nostro San Tommaso non sfugge neppure una bella citazione di Sant’Agostino che riporterà nella Summa, quando commenterà la passione del Signore, caricando la croce di significati virtuosi: «Con questo genere di morte [la croce], sono indicate le diverse virtù di Cristo… la larghezza è rappresentata dal legno trasversale: il quale raffigura le opere buone, poiché su di esso sono inchiodate le mani. La lunghezza è rappresentata dal legno verticale visibile fino a terra: esso dà il senso della stabilità e della perseveranza. L’altezza è rappresentata da quella parte della croce che si eleva al di sopra della traversa, cioè sopra il capo del crocifisso: essa indica la superna attesa di coloro che vivono nella santa speranza. E quella parte della croce che viene piantata e nascosta, sostenendo tutto il resto, sta a rappresentare la profondità della grazia gratuitamente offerta» (S. Th, III, q. 46, art. 4)
«Da te croce santa io voglio conforto, allorché risorto da morte sarò», è l’ultima strofa di un canto tradizionale del mio paese, e che rappresenta un bell’augurio per i cristiani di tutti i tempi che «adorano Cristo perché con la sua Santa Croce ha redento il mondo».
E il povero soldato che abbiamo lasciato all’inizio del racconto? Beh, anche per lui che si è ritirato dalla guerra, è riservata una piccola speranza, se il comandante della truppa decidesse di mettere in atto la tattica di guerra che è la “finta ritirata”, allo scopo di illudere dell’imminente vittoria l’esercito nemico, rendendolo al contrario vulnerabile, e che – nei tempi ben stabiliti – avrebbe a subire il contrattacco. Ad Hastings, nell’Inghilterra del pieno Medioevo, successe così con Guglielmo il Conquistatore. Ma questa è un’altra storia, che affidiamo agli storici!
fr. Giovanni R. M. Ferro, O.P.
Convento di Santa Maria sopra Minerva