“Un profumo stupendo emanava dal corpo del Santo”
Il balsamo della santità e la cura delle ferite della Chiesa
Nell’esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, che ha recepito le indicazioni dell'ultimo Sinodo dei vescovi sul tema “i giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (3-28 ottobre 2018), papa Francesco ha inteso rivolgersi a tutti i giovani cristiani, per richiamare loro alcune convinzioni centrali della fede e rinnovare l’invito a «crescere nella santità e nell’impegno per la propria vocazione» (n. 3).
Il messaggio centrale su cui ruota il documento è che il Gesù risorto è la vita e la giovinezza della Chiesa e del mondo; fare esperienza di lui, incontrarlo, significa rinnovarsi continuamente attingendo alla ricchezza della sua esistenza nuova di risorto resaci disponibile nello Spirito.
Dopo aver sottolineato che Gesù è «giovane tra i giovani» e che il momento finale della sua esistenza terrena è avvenuto in un’età che si potrebbe definire di «giovane adulto», l’esortazione si sofferma dapprima sui momenti della adolescenza e giovinezza di Gesù, da cui emerge una condizione scandita dal suo rapporto con il Padre all’interno di una relazione normale con la famiglia e con gli altri; e in seguito sulla novità della sua risurrezione, che non smette di operare nella storia umana e che costituisce la vera giovinezza “esistenziale”, e non semplicemente anagrafica, di Gesù. I santi sono persone nella cui esistenza questa corrente novità e freschezza della risurrezione ha potuto scorrere in pienezza, e il documento se ne occupa perciò subito dopo la sezione biblico-cristologica. Alcuni di essi hanno terminato la loro avventura terrena prima di poter entrare nell’età adulta (e, dunque, in una condizione di “giovani” in senso biografico), altri hanno vissuto più a lungo, ma rimanendo in questa condizione di novità data dall’incontro con il Signore e diventando spesso autentici profeti di cambiamento nella loro epoca e suscitando con la loro vita un rinnovato ardore spirituale e slancio apostolico nella Chiesa.
La gioiosa ricorrenza di oggi per la Famiglia domenicana, in cui il corpo del Beato padre Domenico veniva esumato e trasferito (traslato) dal coro di S. Niccolò delle Vigne, dove era stato inizialmente sepolto per sua stessa richiesta, in una nuova collocazione all’interno di un sarcofago di marmo, si colloca esattamente in questa prospettiva. Il Beato Giordano di Sassonia, primo successore di Domenico alla guida dell’Ordine, ricorda con viva emozione quel 24 maggio 1233 in cui, alla presenza dell’Arcivescovo di Ravenna e di altri vescovi e prelati, e dinanzi a un folto gruppo di fedeli, si procedeva all’apertura della tomba del Santo fondatore. Ricorda con malcelata ironia quell’(infondato) sentimento di timore e di ansia percepibile sui volti dei frati lì presenti, spaventati che l’apertura del loculo a diversi anni dalla morte (1226) potesse sprigionare un lezzo nauseabondo e insostenibile, capace di incrinare la devozione stessa verso il Beato padre. E ripercorre con rinnovato stupore il senso di tripudio e di liberazione al librarsi di quel meraviglioso profumo che emanava dalle spoglie di Domenico all’apertura della tomba: «non eravamo mai sazi di così grande dolcezza», -annota, e- «un profumo stupendo emanava dal corpo del Santo, manifestando a tutti chiaramente che si trattava del buon odore di Cristo». La pagina vivida e densa di emozioni del Beato Giordano ci trasporta quasi inavvertitamente nell’atmosfera di quel 24 maggio di quasi otto secoli fa: il senso liberazione e di giubilo dei presenti si legava senz’altro alla manifestazione prodigiosa e solenne della santità del fondatore, la cui memoria poteva continuare a essere celebrata con accresciuto vigore; ma anche alla “conferma” del proprio stesso proposito e scelta, di cui quell’inatteso e fragrante profumo veniva a suggellare in maniera inequivocabile la sensatezza e l’affidabilità. Questa è del resto la fecondità apostolica della testimonianza dei santi: ravvivare in tutti i battezzati la comune vocazione alla santità, mostrando in che modo l’esistenza umana può trovare compiutezza e riuscita in una vita vissuta alla sequela di Gesù Cristo e del suo Vangelo.
Ma c’è un altro aspetto che sembra offrirci un inatteso collegamento tra il profumo che la festa di oggi ci invita a respirare e l’esortazione apostolica Christus vivit. È il punto in cui il papa dice che uno dei risvolti apostolici della santità nel nostro tempo può essere quello di agire come un “balsamo” che può curare le ferite della Chiesa e del mondo (n. 49). Il riferimento del testo assume un significato abbastanza concreto se si pensa alle diverse ferite che hanno attraversato la comunità ecclesiale in alcuni suoi membri anche ragguardevoli negli ultimi tempi, e che spesso hanno scosso in maniera profonda la fede e il cammino dei credenti. La testimonianza di persone la cui vita è “riuscita bene” e in misura piena alla scuola del Vangelo, diviene allora balsamo, unguento profumato capace di lenire queste ferite prodottesi all’interno del corpo ecclesiale, ricordando a tutti il volto più autentico in cui la vita della Chiesa vuole manifestarsi ed esprimersi. Così del resto è stata l’esperienza stessa di Domenico, chiamato a svolgere un’opera di rinnovamento e di stimolo nella Chiesa del suo tempo (si pensi al leggendario sogno di Innocenzo III, riportato da Costantino di Orvieto, della basilica Lateranense in pericolo di crollo, evitato grazie al robusto sostegno di Domenico). La memoria di questo “meraviglioso profumo” di Domenico che la festa di oggi ci trasmette, e che poi è il «buon odore di Cristo», diviene allora anche invito a immettere questa azione lenitrice e risanatrice del balsamo nel tessuto del corpo ecclesiale, perché possa trasmettere con sempre nuova giovinezza e freschezza l’esperienza del mattino del giorno di Pasqua.
fr. Daniele Aucone, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma