La santità: un dono da “praticare”
La forza della testimonianza dei santi sta nel vivere le Beatitudini e la regola di comportamento del giudizio finale. Sono poche parole, semplici, ma pratiche e valide per tutti, perché il cristianesimo è fatto soprattutto per essere praticato, e se è anche oggetto di riflessione, ciò ha valore solo quando ci aiuta a vivere il Vangelo nella vita quotidiana (GE 109).
L’esortazione Gaudete et exultate sulla «chiamata alla santità nel mondo contemporaneo» non è perciò riservata a pochi ma è una via per tutti. Non un trattato sulla santità, ma una sua descrizione. È l’urgenza di un ritorno all’essenzialità, a ciò che conta per vivere pienamente da uomini e da veri cristiani nel contesto storico attuale: i santi sono persone che per amore di Dio nella loro vita non hanno posto condizioni a Dio. L’invito alla gioia con cui comincia l’Esortazione è la conclusione delle Beatitudini del Vangelo di Matteo, in cui Gesù invita i discepoli a rallegrarsi anche nelle persecuzioni sofferte a causa del Vangelo. Più che sembrare fuori luogo, l’indicazione di Papa Francesco vuole indicarci il cuore, la parte più segreta del cammino verso la santità, e anche, che tale chiamata a vivere la santità e, di conseguenza a vivere il Vangelo, avviene, diviene, si realizza nella storia e si coniuga in ogni suo passaggio.
Il Vangelo, la Lieta Notizia di Dio, è questa lunga storia di incontri in cui la Parola sceglie di diventare linguaggio comprensibile agli uomini, capace di comunicare alla maniera umana la profondità del cuore di Dio attraverso una lunga storia di passaggi, di venute, di inviti e di risposte. Il Vangelo non è una teoria che si applica, ma una vita che si vive. La Parola di Dio vive nella storia e nella storia diventa racconto. È il racconto del Dio con noi, il racconto di Gesù̀ attraverso il quale noi scopriamo che questa parola, che era fin da principio, condivide il faticoso viaggio dell’uomo, tappa dopo tappa, momento dopo momento, fino alla morte, fino alla vita che non muore più.
Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”.
Quando Papa Francesco indica la classe media della santità, non ci sta dicendo che ci sono santi di serie A e santi di serie B, come se qualcuno dei santi, soprattutto quelli più conosciuti o che hanno avuto esperienze stupefacenti di Dio, precedono in classifica gli altri che magari si sono segnalati di meno o sono stati meno fortunati nell’essere visti. Dio e il Vangelo si raccontano e si raccontano vivendo la storia di tutti i giorni, così come essa è, così essa avviene e diviene.
Papa Francesco mette in guardia da una tentazione o pericolo: quello di pensare che si è santi solo se si è speciali e se si fanno cose straordinarie o chissà quali miracoli. La santità è invece la manifestazione di una vita vissuta, in ogni stato, e nella quotidianità, alla luce del Vangelo.
“Ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo. Tale missione trova pienezza di senso in Cristo e si può comprendere solo a partire da Lui. In fondo, la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita. Consiste nell’unirsi alla morte e risurrezione del Signore in modo unico e personale, nel morire e risorgere continuamente con Lui. Ma può anche implicare di riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della vita terrena di Gesù: la vita nascosta, la vita comunitaria, la vicinanza agli ultimi, la povertà e altre manifestazioni del suo donarsi per amore. La contemplazione di questi misteri, come proponeva sant’Ignazio di Loyola, ci orienta a renderli carne nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti” (GE 19-20).
Cosa vuol dire essere “Vangelo”, in mezzo, tra la gente che incontriamo o cui ci troviamo?
“Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova…. Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità…. Lasciamoci stimolare dai segni di santità che il Signore ci presenta attraverso i più umili membri di quel popolo che «partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità»” (GE 8.14.15).
Vivere il Vangelo è accettare il dinamismo della grazia che ci precede: non possiamo rimanere estranei al cammino, alle fatiche, alle lotte dei fratelli, ma permettere a ciascuno di dare il meglio di sé piuttosto che il peggio. La vita di grazia è proprio questo profondo dinamismo di comunione che ci fa santi mentre con la nostra vita cerchiamo di rendere santi gli altri. Dobbiamo acquisire quella capacità di scendere dal piedistallo e condividere il campo di battaglia…non basta essere differenti o controcorrente o alternativi…bisogna essere disposti a pagare di persona…a patire e compatire…e questo fa la differenza! “Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. E bisogna cominciare dal basso». (Civiltà Cattolica, Intervista a Papa Francesco di Antonio Spadaro)
Il Risorto è il crocifisso di cui si possono toccare le ferite; il Risorto è potenza di vita che nasce dalla morte.
Solo la Pasqua dà senso e significato al morire o al dare la vita: la risurrezione non vuol solo dire che Gesù è vivo in mezzo a noi, ma anche e soprattutto che da Pasqua in poi non c’è nessun “sepolcro”, limiti, debolezze, fragilità, inconsistenza, peccato o morte che possa allontanarci o impedirci la possibilità di comunione con Dio. Parafrasando Don Tonino Bello, santo e profeta dei nostri tempi, possiamo dire che in un mondo legato e sottomesso ai diversi poteri (economico, politico, sociale o legato al prestigio e al successo personale e anche religioso per alcuni versi) dobbiamo passare dai segni del potere al potere dei segni: l’unico potere che il cristianesimo, e di conseguenza la santità, ha è il potere di dare la vita.Questo, come ci suggerisce papa Francesco, è vivere la mistica dell’incontro, “la capacità di sentire, di ascolto delle altre persone. La capacità di cercare insieme la strada, il metodo», lasciandoci illuminare dalla relazione di amore che passa fra le tre Divine Persone quale modello di ogni rapporto interpersonale”.
Per vivere la mistica dell’incontro l’Esortazione ci ricorda che: “La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani….La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre”. Vivere l’incontro vuol dire promuovere la vita, portando avanti la bellezza in tutto quello che facciamo e di ciò che siamo; vuol dire avvolgere di tenerezza le nostre relazioni, i nostri incontri, i nostri sguardi; vuol dire cogliere l’importante che si nasconde nella complessità delle nostre esistenze.
In un mondo fatto di proclami e luoghi comuni, sbandierati per ottenere successi o ottenere vantaggi, l’ascolto ci apre al mistero dell’altro semplicemente perché altro; l’ascolto lascia che l’altro si mostri, si riveli e apre la porta dello stupore, della meraviglia; l’ascolto dona all’altro la possibilità di essere “diverso” da ciò noi pensavamo fosse.
“Il cristianesimo, scrive il Papa, è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla”. Per Francesco, una vita santa non è semplicemente una vita virtuosa, nel senso che cerca di attuare le virtù in generale. Le Beatitudini costituiscono la vita concreta di Gesù e il suo programma che va seguito, meglio praticato. La santità infatti, non consiste semplicemente nel diventare tutti più buoni e bravi. Papa Francesco vuole presentare una santità schiettamente evangelica, sine glossa e senza scuse. Vivere la santità ha le sue esigenze: comporta concretamente vivere la vita nello Spirito. Essa è tale, perché sa cogliere l’azione dello Spirito Santo e i suoi movimenti, e li segue, vivendo il Vangelo “sine glossa e senza scuse vale a dire senza commenti, senza elucubrazioni e scuse che tolgano ad esse forza” (GE 97).
Risuona per noi come un invito a «non aver paura della novità che lo Spirito Santo fa in noi, non aver paura a essere uomini e donne audaci perché siamo «circondati da una moltitudine di testimoni», che «ci spronano a non fermarci lungo la strada, ci stimolano a continuare a camminare verso la meta» (GE 3).
sr. Amelia Grilli, O.P.