DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Nell'intimo mi insegni la sapienza

Un recente articolo di P. Daniel Ols, “Invito al gioco”, su questo stesso sito, ci mostrava come la contemplazione della Sapienza sia la vocazione di ciascun battezzato e come la contemplazione sia un esercizio gratuito, che ha in se stesso il suo piacere, il suo sapore, come il gioco per i bambini. 

Di seguito, vorrei presentare in che cosa consiste la sapienza per noi, quale ce la presenta il Libro della Sapienza, nei capitoli 6, 1-11, 3, in particolare in quei passi che leggiamo per la festa di san Tommaso, “maestro di sapienza” (Sap. 7, 7-10.15.16).

L’autore del Libro della Sapienza fa parlare un re, che evoca Salomone: “Ho pregato, e mi è stata data l’intelligenza. Ho supplicato, e lo spirito della Sapienza è venuto in me” (Sap. 7, 7). Questo re ci dice che ha preferito la Sapienza al potere e alle ricchezze; l’ha amata più che la salute e la bellezza. Infine, egli domanda a Dio di parlarne in modo consono. “Ho pregato, e mi è stata data l’intelligenza. Ho supplicato, e lo spirito della Sapienza è venuto in me”. Ho pregato … Ho supplicato. Questo crescendo che va dalla preghiera alla supplica mostra che la Sapienza è al di sopra dell’intelligenza. Anche il fatto di dire che l’intelligenza è donata mentre la Sapienza viene in me, mostra la superiorità di questa. Come diceva già san Tommaso, nella vita quotidiana incontriamo più facilmente persone intelligenti che persone sapienti. In che cosa consiste dunque questo ‘di più’ della sapienza, questa sua preziosità? L’intelligenza è dell’ordine della conoscenza, la sapienza è dell’ordine della vita: essa trasforma la vita intera.

Ho pregato … Ho supplicato. Seguiamo ancora questo testo per spiegare in che cosa consista la supplica: essa implica non soltanto una domanda, come la preghiera, ma una rinunzia – Ho preferito la Sapienza al potere e alle ricchezze (7, 8) –; la supplica implica una scelta di preferenza – Ho amato la Sapienza più della salute e della bellezza –. Supplicare significa domandare facendo delle scelte di vita, di purificazione, di conversione, per essere con tutta la propria vita orientati verso la Sapienza, alla sua ricerca. Un po’ più avanti nel Libro della Sapienza, questa è paragonata a una sposa: “È lei che ho amato e cercato fin dalla mia giovinezza; ho cercato di sposarla e sono diventato l’amante della sua bellezza” (8, 2). Il matrimonio, lo sappiamo, è l’unione più grande che due esseri umani possano realizzare, poiché è l’unione di due persone nella loro integralità, spirito e corpo.

La Sapienza esige, da parte nostra, lo sforzo di una unione vitale e integrale: intelligenza, volontà, emozioni; unione con tutto ciò che siamo. adriano oliva   fr. Adriano Oliva, O.P.Ecco perché il testo dice: “La Sapienza è venuta in me”. La Sapienza chiede di abitare in noi, di incarnarsi in tutta la nostra vita. Essa è una qualità di Dio stesso, che viene ad abitare in noi. Essa ci permette di contemplare le realtà divine e, insieme, di assaporarle. La parola sapienza evoca proprio il sapore e il verbo latino “sapere”, aver sapore e assaporare. Essere sapienti significa assaporare la Sapienza, cioè le realtà divine, e averne in se stessi il sapore, esserne ‘saporiti’ per gli altri: “Voi siete il sale della terra. Ma se il sale perde il suo sapore … non serve più che a essere calpestato e gettato via” (Mt. 5, 13).

La Sapienza permette di discernere in noi i “gemiti” dello Spirito Santo che ci guida. Essa ci permette di comportarci secondo l’intelligenza e la volontà divine. La Sapienza, dice san Tommaso, viene ad abitare in ogni credente per la sua salvezza, dandogli la conoscenza delle realtà divine e umane. Ogni credente, quando prova la gioia di assaporare le realtà divine, esperimenta in se stesso la Sapienza. In alcune persone, tuttavia, la Sapienza prende una dimora più grande; esse sono introdotte più profondamente nella contemplazione dei misteri nascosti di Dio e li assaporano di più. Alcuni santi hanno detto di aver ricevuto il dono di vivere i misteri della vita di Cristo ‘dal di dentro’, provando i medesimi sentimenti di Lui.

Possiamo immaginare la stessa cosa anche per san Tommaso (+ 7 marzo 1274), a cui, sul finire della sua vita, Cristo disse: “Hai ben scritto di me. Che ricompensa ti aspetti?” “Niente altro che te, Signore”, rispose san Tommaso.

fr. Adriano Oliva, O.P.
Convento Saint Jacques, Parigi 

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