In memoria di p. Rosario Mirabene, O.P.
Nei tempi in cui oggi viviamo, in Occidente, ormai il concetto di “guerra” è molto lontano, soprattutto presso le nuove generazioni. In convento ho ritrovato qualche padre anziano che, al contrario, la guerra la ricorda molto bene, soprattutto perché l’ha vissuta da giovane.
Anche nel piccolo della nostra provincia religiosa, ad esempio, ci furono grandi sconvolgimenti: pensate che il 25 ottobre 1943 venne bombardato il nostro convento di Pistoia, sede dello studentato provinciale! Per fortuna che gli studenti si erano trasferiti qualche mese prima, e i padri che, invece, erano rimasti a “custodia” del convento, si salvarono miracolosamente!
Tanti altri racconti ho ascoltato, come ad esempio, gli ebrei che furono nascosti nel convento della Minerva; ma tra i tanti, uno mi ha toccato profondamente. Siamo nel 1944, l’8 agosto, nel convento di Bibbiena. Da pochi giorni si era festeggiato “solennemente” per quanto possibile, la festa di San Domenico. In questa terribile data venne assassinato dai tedeschi un nostro frate: p. Rosario Mirabene. Questa storia, la sua, è ciò che ora, vorrei raccontarvi.
Delle notizie biografiche non so molto; mi raccontarono che nacque a Matera il 9 ottobre 1912 e che a 17 anni entrò come novizio nella nostra provincia Romana; il 29 giugno 1937 fu ordinato sacerdote. Subito fu presente in numerosi conventi: da Pistoia a Firenze, a Roma, fervido animatore dei giovani nella parrocchia del Rosario ai Prati; da Roma ad Arezzo come insegnante di matematica e scienze nel ‘Collegino’. Poi venne la guerra. Lo studentato si trasferì nel convento di Bibbiena; e invece il noviziato, con i collegiali di Arezzo, fu ospite del convento francescano di La Verna.
Padre Rosario, in qualità di economo, si prodigò per il sostentamento dei giovani frati; sia testimoni oculari che le stesse cronache dello studentato di quegli anni, raccontano che anche due volte al giorno, egli percorreva i boschi per 30 km, da Bibbiena a La Verna, per “far rifornimenti” o portare notizie. Anche quell’8 agosto 1944, tra la paura delle rappresaglie tedesche e delle bombe cadute la notte prima nei pressi del convento, il padre Mirabene ritornò da La Verna a Bibbiena per dare delle comunicazioni urgenti, felice nel ritrovare i suoi confratelli e i suoi studenti in buone condizioni e abbastanza tranquilli. Ma subito dopo il pranzo, intorno alle 15.00 lasciò nuovamente il nostro convento, con l’intenzione di sbrigare le faccende e ritornare prima di sera.
Per la strada, si fermò dapprima presso alcuni suoi vecchi amici, e riprese subito la strada in direzione della località ‘Campi’, insieme a un sergente tedesco che doveva recarsi a Querceto e doveva passare proprio per Campi, dove, da una quindicina di giorni, si trovava di stanza una compagnia di tedeschi. Fin qui le cose sembra siano andate lisce. Appena arrivato a Campi, p. Rosario, accaldato e affaticato per il cammino e per il peso della borsa che portava con sé (vi era qualche chilo di zucchero e della frutta appena raccolta), bussò in una casa, chiedendo un po’ di refrigerio con un bel bicchier d’acqua fresca. Entrato, vi erano anche alcuni soldati tedeschi che, fra schiamazzi e grida, giocavano a carte. Appena videro il frate, subito chiesero la carta d’identità; dopo averla mostrata, i tedeschi puntarono gli occhi sulla sua sacca, intimando di lasciare tutto lì. Padre Rosario, tuttavia, con buone parole cercò di spiegare che quei pochi viveri erano necessari per i suoi fratini. Essi, dunque, lo lasciarono.Torniamo per un attimo al convento di Bibbiena. Verso le 16.00 arrivò una terribile notizia. Padre Rosario è stato ucciso! Possiamo immaginare i volti dei frati, delle monache, tra lo sgomento e l’incredulità… Com’è possibile? I testimoni racconteranno che quando il padre uscì fuori da quella casa, sotto il sole, allungò il passo, attraversò il ponte sul Corsalone e prese una scorciatoia in salita in un boschetto di querce. Da quella casa di Campi, però, uscì fuori anche un tedesco, e, credendo che il frate fosse una spia, montò sulla bicicletta e si diresse verso il ponte. Passarono alcuni minuti e si sentì il colpo di arma da fuoco, poi un altro, poi un altro ancora; dopo brevi istanti, si rivide il tedesco riattraversare il ponte, ma questa volta a corsa impazzata; sotto il bosco di querce il caro p. Rosario era steso a terra, esamine. Non aveva più con sé la sua sacca e il portafogli non aveva più soldi. Aveva solo 32 anni. L’emozione si fece fortissima quando il giorno dopo arrivò la salma in convento per la ricognizione: c’è da immaginare, certo, un corpo in stato di putrefazione, martirizzato, deformato da molte ferite, ma tutti rimasero impressionati dal fatto che il volto era ‘sorridente’, quasi come se si preparasse al grande transito tra i verdi pascoli del cielo.
Cosa ha lasciato e ci lascia padre Rosario? Sicuramente lo spirito di sacrificio e di coraggio che deve animare le nostre comunità cristiane, anche laddove lo scoraggiamento sembra avere la meglio durante le situazioni difficili. Sicuramente l’amore e la dedizione per i giovani, per le vocazioni. Sicuramente la speranza che un nuovo “servo buono e fedele” ha preso parte “alla gioia del suo Padrone”.
Caro padre Rosario, tu che ti sei speso fino all’ultimo per le giovani vocazioni, dal cielo, prega per i frati di domani, e per i tuoi frati che sono ancora quaggiù
fr. Giovanni Rosario M. Ferro, O.P.
Convento di S. Maria sopra Minerva, Roma