Meravigliandosi, filosofare
Abbiamo bisogno di filosofi! Quella che potrebbe apparire una frase che ha poco a che fare con la nostra amata fede cattolica, apostolica e romana, in realtà vi è più legata di quanto non sembri.
E che esista un nesso tra filosofia e vita cristiana, ce lo testimonia non solo l'innumerevole schiera dei Padri della Chiesa – molti dei quali (si pensi, solo per citarne qualcuno, a san Giustino, san Clemente Alessandrino, sant'Agostino, etc.) furono filosofi di pregio –, ma anche e soprattutto il fatto che “fare filosofia” significa avere uno sguardo contemplativo su ogni cosa, ogni singola cosa.
Potremmo dire che filosofare significa guardare con ammirazione ogni cosa che ci circonda e intravvedere in essa un'impronta che ci rimanda a Dio, Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili, come scrive l'apostolo san Paolo: «per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (1Cor 8,6).
Tra i grandi pensatori greci del passato ce ne fu uno chiamato Aristotele. Egli affermò con tutta tranquillità che
«gli uomini hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell'intero universo» (Aristotele, Metafisica, I).
Il filosofo Aristotele parla dell'origine della filosofia, cioè dell'amore/amicizia per il sapere (philos-sophia), rinvenendolo nella meraviglia. Coincidenza vuole che lo stesso termine “meraviglia” venga usato spesso nella Sacra Scrittura in relazione alle opere grandi e stupende di Dio che suscitano ammirazione e riflessione nell'uomo. Dice ad esempio il salmista: «Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi» (Sal 118,23); e in un altro salmo viene detto: «Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda; meravigliose sono le tue opere, le riconosce pienamente l'anima mia» (Sal 139,14).
Questa meraviglia di cui parla sia il non-cristiano Aristotele sia il salmista, stimola l'uomo a porsi domande sempre più intense su sé stesso, sulla realtà, sul suo posto nel mondo e persino su Dio. Sì perché come è umano riflettere sulle montagne e la loro bellezza, così è altrettanto umano interrogarsi su Dio e, per dirla con Aristotele, sulla «generazione dell'intero universo» (Ibid.), quello che poi in teologia consiste nel trattato sulla creazione.
Ma perché farsi tante domande? Non sarebbe più semplice vivere senza avere troppi pensieri per la testa? Sono, queste, domande che sempre più spesso ci poniamo tutti, forse anche a causa dell'eccessiva stanchezza mentale e fisica di questi nostri anni così frenetici ed incerti. Certo, se siamo davvero stanchi è meglio fare una bella dormita o una ricca passeggiata in un parco, anziché mettersi a studiare il De anima di Aristotele!
Tuttavia anche durante il nostro camminare tra gli alberi di un qualsiasi giardino di una qualsivoglia città, ci ritroviamo a non poter fare altro che pensare, sia che esso avvenga in maniera conscia o inconscia. Ragioniamo su tante, tantissime cose cercando risposte, motivazioni, nessi, cause, effetti e non per ultimo il senso stesso delle cose. Se poi ad esempio sto passeggiando con la mia amata moglie e questa improvvisamente mi chiede: “Ma dimmi... mi ami?!”, io comincerò a domandarmi: “Perché mi ha chiesto se la amo? Ma io la amo? E se sì, perché? Ma soprattutto... quale diamine è il nesso tra la nostra tranquilla passeggiata e una domanda del genere?!”. Tutte domande queste che potremmo in un certo modo dire “metafisiche”.Non c'è cosa – neanche una passeggiata al parco – che in un qualche modo non abbia un riferimento alla filosofia, cioè al piacere e al desiderio di conoscere e di sapere. Generazioni di uomini e donne di ogni epoca ed età si sono interrogati su tantissime cose, ricercandone il senso e la verità più profonda. Sì perché è proprio questo il punto: la verità (o forse sarebbe meglio parlare di “Verità”?), provocando in noi un certo piacere ogni volta che l'abbiamo trovata o intravista, ci spinge a ricercarla sempre di più. Non è un caso se il grande maestro san Tommaso d'Aquino insegna che il vero consiste nell'autentico bene dell'intelletto (cfr. Contra gentiles, lib. 1, cap. 61; Summa theologiae, II-II, q. 1 a. 3, ad 1), vale a dire ciò che il nostro intelletto ricerca e desidera dal momento che vi riconosce un qualcosa degno di essere cercato e trovato! E poiché noi siamo fatti non solo di corpo (che desidera i beni sensibili) ma anche d'intelletto, risulta evidente il fatto che desideriamo conoscere il vero, la verità, e che una volta trovata ci sentiamo appagati, quasi felici.
Ma perché abbiamo iniziato questa breve riflessione con un categorico “abbiamo bisogno di filosofi”? Credo che il motivo sia solo uno, e cioè il desiderio profondo di incontrare uomini e donne che vivono e guardano la vita e il mondo che li circonda con meraviglia e stupore. La meraviglia infatti ci spinge ad interrogarci, e interrogandoci rimaniamo ancor più meravigliati. E una persona che vive la vita con meraviglia... è proprio da conoscere!
E poiché capita a tutti di rimanere meravigliati da qualcosa (il sole che sorge, l'acqua che scorre, il sorriso di un bambino, la carezza di una mamma, il bacio di un papà, etc.) ed è vero che «la meraviglia è il principio del filosofare» (Summa theologiae, I-II, q. 41, a. 5, ad 5), credo che sia giunto per ognuno il momento di iniziare finalmente a filosofare, a ricercare cioè la bellezza e la verità delle cose, stupendoci magari di rinvenire in esse, per dirla con l'Alighieri, un riflesso di quel grande Amore che con la sua forza attrattiva «move il sole e l'altre stelle» (Paradiso, XXXIII).
fr. Fabrizio Pietro M. Cambi, O.P.
Convento di S. Maria sopra Minerva, Roma