Inviati a predicare nel digitale
Il recente documento finale del Sinodo dei Giovani, contiene delle aperture importanti verso il digitale: il riconoscimento di una nuova epoca storica e la necessità di intraprendere studi specifici per la sua comprensione.
Il nr. 21 è assertivo: «L’ambiente digitale caratterizza il mondo contemporaneo. Larghe fasce dell’umanità vi sono immerse in maniera ordinaria e continua. Non si tratta più soltanto di “usare” strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri».
Si parla esplicitamente dell’esistenza di una “cultura digitale”, cioè di un apparato concettuale e linguistico proprio di una epoca sorta con la disponibilità dei mezzi digitali. Questi nuovi mezzi, in primis web e social network, sono riconosciuti come «una straordinaria opportunità di dialogo, incontro, scambio tra le persone, oltre che di accesso all’informazione e alla conoscenza. Inoltre, quello digitale è un contesto di partecipazione sociopolitica e di cittadinanza attiva» (22). Il digitale, nonostante la sua pericolosità (23; 24) è riconosciuto come un luogo antropologico frutto di una cultura peculiare che «caratterizza il mondo contemporaneo» (21).
Il Sinodo invita a fare i conti con il digitale, avverte che ignorarlo significa ignorare la società in cui si vive per ritirarsi in luoghi di resistenza al cambiamento. L’avvertimento dei padri sinodali è chiaro e forte: continuare con la stessa pastorale, catechesi o liturgia significa alimentare un terreno che sta perdendo fecondità. Infatti, dichiarano esplicitamente che «l’ambiente digitale rappresenta per la Chiesa una sfida su molteplici livelli; è imprescindibile quindi approfondire la conoscenza delle sue dinamiche e la sua portata dal punto di vista antropologico ed etico. Esso richiede non solo di abitarlo e di promuovere le sue potenzialità comunicative in vista dell’annuncio cristiano, ma anche di impregnare di Vangelo le sue culture e le sue dinamiche» (145) anzi auspicano «che nella Chiesa si istituiscano ai livelli adeguati appositi Uffici o organismi per la cultura e l’evangelizzazione digitale» il cui compito è promuovere «l’azione e la riflessione ecclesiale in questo ambiente» e «sviluppare strumenti adeguati di educazione digitale e di evangelizzazione» (146).
È una svolta epocale rispetto ai documenti del 2002 in cui si affermava che il digitale «permette accesso immediato e diretto a importanti fonti religiose e spirituali, a grandi biblioteche, a musei e luoghi di culto, a documenti magisteriali, a scritti dei Padri e Dottori della Chiesa e alla saggezza religiosa di secoli. Ha la preziosa capacità di superare le distanze e l'isolamento, mettendo le persone in contatto con i loro simili di buona volontà, che fanno parte delle comunità virtuali di fede per incoraggiarsi e aiutarsi reciprocamente. La Chiesa può prestare un importante servizio ai cattolici e ai non cattolici selezionando e trasmettendo dati utili su Internet» (PCCS, Chiesa e Internet, 5) anzi più esplicitamente dichiarava «Sebbene la realtà virtuale del ciberspazio non possa sostituire una comunità interpersonale autentica o la realtà dei Sacramenti e della Liturgia o l'annuncio diretto e immediato del Vangelo, può completarli, spingere le persone a vivere più pienamente la fede e arricchire la vita religiosa dei fruitori» (id.)
Da allora è cambiato sia il digitale sia l’approccio ecclesiale: se, come afferma il Sinodo, il digitale è parte della vita “reale”, se è stato abbattuto quel labile confine fra online e offline e viviamo nella condizione mista dell’ “onlife” (come direbbe Floridi), diventa urgente rivedere gli strumenti di analisi ed indagine che usiamo per comprendere la “realtà”, bisogna fra progredire ed aggiornare la teologia, il magistero, la pastorale arricchendole dei dati provenienti dall’esperienza e dalla riflessione del e sul digitale, affinché siano in grado di rispondere alle domande dell’uomo contemporaneo con un linguaggio a lui comprensibile.
È un compito sfidante. Nelle università si avverte sempre più il desiderio di questo confronto, aumentano i lavori basati sull’interdisciplinarietà fra teologia, filosofia e antropologia del digitale. È una sfida per l’Ordine e la Chiesa. Quale approccio devono avere i progetti che affrontano il digitale? Come si possono realizzare progetti nell’ambiente digitale? Quale idea di Chiesa nasce dal digitale? Come si è modificato il senso del sacro? I giovani non chiedono una Chiesa giovane ma una Chiesa che sappia parlare ai giovani, che sappia inculturare il Vangelo nel digitale, insomma una Chiesa missionaria in questo nuovo ambiente.
Questa è la stessa sfida che S. Domenico accettò mandando i suoi nelle università e subito dopo a predicare al popolo, dei problemi del popolo con il linguaggio del popolo. Uniti nella santa predicazione frati, monache e laici hanno cambiato la Chiesa e dato risposte alle domande impellenti del tempo. Oggi, quel tempo si rinnova e possiamo adempiere al nostro carisma predicando Dio ai cumani digitali.
Edoardo Mattei
Laico Domenicano