Il desiderio di Dio
La Liturgia delle Ore che la Chiesa quotidianamente celebra nel culto a Dio, racchiude in sé la tradizione della Chiesa orante. Infatti sono innumerevoli gli inni, i salmi e i cantici tratti dalla Sacra Scrittura che la Chiesa nel corso dei secoli ha utilizzato per innalzare la sua preghiera al Signore. Allo stesso tempo preghiere e inni sono nati dalla pratica liturgica, che la Chiesa ha visto svilupparsi nel suo seno nel corso dei secoli. Una di queste preghiere è l’inno Te Deum.
Questo viene recitato di norma nelle domeniche e nei giorni in cui ricorre una solennità o festa, secondo il grado liturgico del giorno. Il Te Deum è una grande dossologia, utilizzata sin dal VI sec. soprattutto come canto trionfale e di giubilo. Non si sa con esattezza chi ne sia l’autore: i nomi sono quelli di Ambrogio, Agostino, Cipriano, ma più probabilmente è stato composto da Niceta, Vescovo di Remesiana.
Questa preghiera sintetizza perfettamente la bellezza della lode a Dio e l’impetrazione della benevolenza di Dio sull’uomo. E’ un inno maestoso, quasi regale! L’anima che innalza a Dio il suo cuore con questa preghiera si trova immersa in un mistero ineffabile di potenza e verità. Grazie a questa unica caratteristica è possibile trovare un nesso tra questa preghiera, unica nel suo genere, e la prima Beatitudine del Discorso della Montagna: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 3). Questo versetto della Sacra Scrittura, infatti, sembra delineare perfettamente la giusta disposizione del cuore affinché la preghiera sia gradita e spalanchi le porte del Cielo.
Potrebbe sembrare strano associare il Te Deum, a questa Beatitudine, ma andando per gradi ne scopriremo la relazione. Infatti, pregando con questo inno il cuore s’innalza verso Dio, e penso sia questa l’esperienza più bella che si possa fare nell’intonare questi versi! Il Te Deum ha qualcosa di sublime che non può lasciare indifferenti! Quando preghiamo: “O Eterno Padre tutta la terra ti adora, a Te cantano gli angeli e tutte le potenze dei cieli, Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo” ecc.. non sembra di stare in Paradiso al cospetto della Maestà Divina?
Dunque la prima beatitudine incarna alla perfezione lo spirito del credente che innalza a Dio la sua lode! Infatti, chi meglio di un povero può anelare alla ricchezza divina, ai tesori del Cielo? E cos’è questa povertà cui lo stesso Cristo si riferisce nel Vangelo?
È la povertà di colui che svuotando il cuore dalle cose terrene, lo riempie solo di Dio, un cuore che chiede con tutte le sue forze lo Spirito Santo, perché ha compreso che a nulla vale possedere il mondo se non si ha Dio (cfr. Lc 9, 25). A buon ragione si potrebbe intendere questa povertà con le parole di Seneca che afferma povero è “non colui ce ha poco, ma chi desidera di più” (De Brevitate Vitae).L’inno, suddiviso in tre parti, si apre per l’appunto con questo desiderio insaziabile della gloria di Dio che glorifica la SS. Trinità. Nella seconda parte, invece, è Cristo che viene lodato e ringraziato insieme alla Santa Vergine per l’opera di salvezza da Lui compiuta. La terza parte è quella che si può omettere, tratta dai Salmi: è una affidamento a Dio totale e fiducioso nella speranza di “non restare confusi in eterno”! Una speranza di riuscire a non distogliere mai lo sguardo da Dio, che come ci ricorda san Paolo, alla fine della vita vedremo faccia a faccia: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto”. ( 1 Cor 13, 12)
Questa preghiera di lode dunque esprime quel desiderio naturale di Dio che c’è nel cuore dell’uomo.
Riprendendo dunque la nostra Beatitudine, e affiancandola a questo preziosa preghiera, si potrebbe azzardare di cambiarne le parole in modo che risulti non più “beati i poveri in spirito”, ma “beati coloro che desiderano di più Dio”, perché di essi è il regno dei cieli. E potremmo ancora procedere con le sostituzioni: infatti chi è colui che desidera di più? Chi è quell’uomo cui il desiderio freme nell’animo? Ecco, costui è colui che ama: colui che ama desidera di più. Colui che ama, non può fare a meno dell’oggetto amato. Gli innamorati sono l’esempio più eloquente: si desiderano a vicenda, sono l’uno il respiro dell’altro, occhi negli occhi e, anche se lontani, il loro pensiero corre sempre l’uno all’altro. Così avviene anche nei confronti di Dio: l’anima innamorata di Dio ha sete e brama dal desiderio di vederlo, sempre il suo pensiero corre a Lui.
Ecco, allora, che “il povero in spirito” è colui che desidera ardentemente questo amore e canta questo inno con il cuore traboccante di carità verso Dio. Avremo dunque, con un ultimo azzardo di sostituire il verbo desiderare con amare; di conseguenza la prima Beatitudine suonerà così: beati coloro che amano perché di essi è il regno dei cieli!!!
fr. Francesco Santi M. Lombardo, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma