San Francesco e i giovani
Ieri si è aperto il sinodo consacrato ai giovani. Questa circostanza mi ha condotto a chiedermi quale attitudine san Francesco, che oggi festeggiamo, avesse avuto a riguardo di essi. San Francesco, infatti ha accolto fra i Minori numerosi giovani, come testimonia, per esempio, un contemporaneo non troppo benevolo, a dire il vero, Buoncompagno da Signa († 1250), che vede in questo una delle cause dei supposti eccessi dei minori delle origini:
I frati minori – scrive – in parte sono giovani e fanciulli. Perciò, se si tiene conto della loro età, non è contro natura che siano mutevoli e incostanti1 (FFit 2240).
Non mi pare, però, che vi siano molte testimonianze sul comportamento di san Francesco al riguardo di questi giovani e del discernimento della loro vocazione, ma, nella mia ricerca sono stato colpito di come san Bonaventura, nella Legenda maior, descrive la summa philosophia di san Francesco:
Non aveva rossore di chiedere le cose piccole a quelli più piccoli di lui; lui, vero minore, che aveva imparato dal Maestro supremo le cose grandi. Era solito ricercare con singolare zelo la via e il modo per servire più perfettamente Dio, come a Lui meglio piace. Questa fu la sua filosofia suprema, questo il suo supremo desiderio, finché visse: chiedere ai sapienti e ai semplici, ai perfetti e agli imperfetti, ai giovani e agli anziani qual era il modo in cui più virtuosamente poteva giungere al vertice della perfezione2 (FFit 1205)
Da queste righe, possiamo trarre diversi insegnamenti su san Francesco stesso ed anche per la nostra vita. La prima cosa, che salta agli occhi, se posso dire, è il non conformismo di san Francesco, un non conformismo che san Bonaventura, sempre incline a attenuare ciò che di più radicale si trova nella vita o nell’insegnamento di san Francesco, cerca di mitigare in modo, a dire il vero, alquanto maldestro. Ci dice, infatti, che san Francesco chiedeva le cose piccole ai più piccoli di lui, ma proseguendo c’informa che ciò che chiedeva a sapienti e semplici, a giovani e anziani, era il servire Dio come a Dio piace, era il modo di giungere al vertice della perfezione: altro che cose piccole!
Perché Francesco agiva così e non si limitava a chiedere consiglio ai sapienti, ai perfetti e agli anziani, come sembra comandare il buon senso? Mi pare che è per due motivi: da un lato, la sua umiltà e, dall’altro, la sua assoluta fiducia in Dio. L’umiltà non consiste semplicemente nel rinunciare alle apparenze esteriori di una qualche superiorità in rapporto agli altri, cosa che, peraltro praticava san Francesco di cui Tommaso di Celano ci dice, nella Vita seconda:
Da nulla si poteva distinguere che questo principe di Dio [cf. Gen 23,6] aveva la carica di superiore se non da questa fulgida gemma, che cioè era il minimo tra i minori. Questa era la virtù, questo il titolo, questo il distintivo che lo indicava ministro generale. La sua bocca non conosceva alcuna alterigia, i suoi gesti nessuna pompa, i suoi atti nessuna ostentazione3 (FFit 140).
4. Non sembra dubbio che san Francesco abbia voluto, lungo tutta la sua vita, conformarsi a questo precetto. Possiamo, in primo luogo, rilevare come egli si premurava di chiedere consiglio. Tommaso da Celano scrive:
L’umiltà, ci dice san Paolo, non senza una certa esagerazione retorica, consiste nel considerare gli altri superiori a se stessi (cf. Fil 2,3)Pur conoscendo per rivelazione divina la soluzione di molti problemi controversi, quando li esponeva metteva innanzi il parere degli altri. Credeva che il consiglio dei compagni fosse più sicuro ed il loro modo di vedere più saggio. E affermava che non ha lasciato tutto per il Signore, chi mantiene il gruzzolo [loculos Gv 12,6] del proprio modo di pensare. Infine, per sé preferiva il biasimo alla lode, perché questa lo spingeva a cadere, la disapprovazione invece lo obbligava ad emendarsi5 [FFit 140].
E, difatti, san Bonaventura ci riporta, per esempio, come san Francesco, preso dalla magna dubitationis agonia, dalla «grande angoscia del dubbio » se decidere di darsi alla predicazione oppure di consacrarsi interamente alla preghiera, chiedeva insistentemente (« per molti giorni ») ai suoi compagni: « Fratelli, che cosa decidete? Che cosa vi sembra giusto? »6 [FFit 1204].
Ma questa attitudine di san Francesco nei riguardi degli altri era anche, mi pare, manifestazione della sua fiducia in Dio. Chieder consiglio a dei ragazzi o a delle persone ignoranti può essere saggio se si tiene conto della onnipotenza e della benevolenza divina. Dio che ha fatto profetare l’asina di Balaam (Nb 22,28 e ss..) può benissimo ispirare, a persone a prima vista inadatte, vedute sagge e consigli opportuni, e, certamente, pensava così come lo dimostra questo aneddoto, riportatoci da Tommaso da Celano e che ci rimanda anche al vangelo che abbiamo appena sentito, a questa esultazione di Cristo perché Dio ha rivelato il suo mistero ai piccoli e non ai dotti e ai sapienti (Mt 11,25-27):
Aveva predicato [sc. Francesco] una volta al popolo di Terni7 ed il vescovo della città, mentre alla fine della predicazione gli rivolgeva parole di elogio davanti a tutti, dicendo: « In questa ultima ora [cf. 1 Gv 2,18], Dio ha illuminato la sua Chiesa con questo uomo poverello e di nessun pregio [cf. Is 53,3; 66,2], semplice e senza cultura. Perciò siamo tenuti a lodare sempre il Signore, ben sapendo che non ha fatto così con nessun altro popolo [cf. Ps 147,20] », udite queste parole, il Santo accettò con incredibile piacere che il vescovo lo avesse indicato spregevole con parole tanto esplicite, ed entrati in chiesa si gettò ai suoi piedi, dicendo: « In verità, signor vescovo, mi hai fatto grande onore, perché mentre altri me lo tolgono, tu solo hai lasciato intatto ciò che è mio. Hai separato, voglio dire, il prezioso dal vile, da uomo prudente come sei, dando lode a Dio e a me la mia miseria ». [Sal 147,30] 8 (FFit 728 [leggermente ritoccato]).
C’è anche da notare come l’umiltà di Francesco sia intimamente legata alla povertà. Bonaventura scrive, in una frase assai significativa, in quanto mette bene in risalto la consequenzialità fra povertà e umiltà: «Nella povertà, Francesco bramava di superare tutti gli altri, lui che proprio dalla povertà aveva imparato a reputarsi inferiore a tutti »9 (FFit 1126). La povertà di cui si tratta, infatti, non è solo indigenza concreta, ma è povertà voluta e amata, virtù che conforma a Cristo e apre le porte del cielo. Scrive san Bonaventura:
[...] quando i frati, in Capitolo, gli domandarono qual è la virtù che, più delle altre, rende amici di Cristo, rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore: « Sappiate, fratelli, che la povertà è una via straordinaria di salvezza, giacché è alimento dell’umiltà, radice della perfezione »10 (FFit 1118).
E l’umiltà di Francesco, nata dal suo amore della povertà, così come la sua fiducia nella provvidenza divina, lo conduce a una pratica esemplare dell’obbedienza. Quando, nel 1220, ebbe rinunciato alla carica di ministro generale, chiese al suo successore: «Voglio che tu affidi la cura che hai di me ad uno dei miei compagni. Gli obbedirò come a te stesso »11 (FFit 1662) e confidava:
Tra le altre grazie, l’Altissimo mi ha largito questa: obbedirei al novizio entrato nell’Ordine oggi stesso, se fosse il mio guardiano, come si trattasse del primo e più attempato quanto alla vita e alla professione religiosa dei fratelli. Invero, il suddito non deve considerare nel prelato l’uomo, bensì Colui per amore del quale si sottomette a un uomo »12 (FFit 1663 [leggermente modificato]).
E, con questo novizio evocato da Francesco, siamo tornati al nostro punto di partenza: i giovani. Questa passeggiata attraverso i testi non solo ci ha potuto far scoprire o riscoprire alcuni aspetti della santità di Francesco, costitutivi di quel che Bonaventura chiamava, come abbiamo visto, la sua summa philosophia, in particolare, la sua umiltà, la sua fiducia in Dio, la sua obbedienza, ma sono aspetti che dovrebbero essere anche di insegnamento per noi, prima di tutto ovviamente per noi religiosi, ma anche per ogni cristiano, nella situazione concreta in cui si trova. Di certo, sappiamo tutti che dobbiamo praticare l’umiltà, che dobbiamo aver fiducia in Dio, che dobbiamo obbedire ai nostri superiori, ma, come asserisce Corneille in un verso celeberrimo: Les exemples vivants ont un autre pouvoir «Gli esempi vivi hanno tutt’altro potere ». San Francesco ci fornisce questi esempi; cerchiamo, con l’aiuto di Dio, di seguirli, ciascuno secondo il proprio stato.
fr. Daniel Ols, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma
----------- Note a piè di pagina -------
1 « Fratres minores ex parte sunt iuvenes et pueri; unde si iuxta aetatum suarum flexibilitatem sunt mutabiles et proclives non est contra naturam; ipsi autem iam ad extremam dementiam pervenerunt, quia per civitates et oppida loca solitaria sine discretione vagantur horribilia et inhumana martiria tolerando » (Boncompagnvs de Signa, Rhetorica antiqua, ed. A. Schönbach, « Beiträge zur Erklärung altdeutscher Dichterwerke », Sitzungberichte der Wiener Akademie der Wissenschaften, philos.-histor. Klasse, 145 (1902), p. 68.
2 « Non erubescebat a minoribus parva quaerere verus Minor, qui magna didicerat a Magistro supremo. Studio namque praecipuo solitus erat exquirere, quali via qualique modo Deo posset secundum ipsius beneplacitum perfectius deservire. Haec summa eius philosophia, hoc summum eius desiderium exstitit, quoad vixit, ut quaereret a sapientibus et simplicibus, perfectis et imperfectis, parvulis et grandaevis, qualiter ad perfectionis culmen virtuosius pervenire valeret » (Bonaventura de Balneoregio, Legenda maior, c. 12, § 2 (FF pp. 880-881).
3 « Non discernebatur Dei princeps quod praelatus esset, nisi hac clarissima gemma, quia inter minores minimus aderat. Haec virtus, hic titulus, hoc insigne generalem indicabat esse ministrum. Aberat ab eius ore omnis altitudo, pompa omnis a gestibus, ab actibus omnis fastus » (Thomas de Celano, Vita secunda, c. 102, n. 140 [FF p. 568]).
4 Si può vedere, a tale proposito, l’interpretazione « larga » di san Tommaso, il quale, fra l’altro, non si priva di notare come san Paolo stesso ha mancato a questa sua esortazione (v. In ep. ad Phil., c. 2, l. 1 [Marietti, n. 49] e Summa theologiae, IIa IIae, q. 161, a. 3, c.).
5 « Sensum in multis ex revelatione didicerat [Sir 16,24; Sap 9,18], quae tamen in medio conferens, aliorum anteponebat sensus. Sociorum consilium tutius esse credebat, et alienus visus melior proprio videbatur. Non omnia pro Deo reliquisse [cf. Mt 19,27] dicebat eum, qui sensus proprii loculos retineret. Malebat de se vituperium audire quam laudem, cum hoc ad se emendandum cogeret, illa impelleret ad cadendum » (Thomas de Celano, Vita secunda, c. 102, n. 140 [FF p. 568].
6 « [...] contigit, illum in magnam dubitationis cuiusdam agoniam incidere, quam multis diebus ab oratione rediens terminandam fratribus sibi familiaribus proponebat. “Quid”, inquit, “fratres, consulitis, quid laudatis?” » (Bonaventura de Balneoregio, Legenda maior, c. 12, § 1 [FF p. 879]).
7 o, forse, di Teramo: Teramo si dice in latino Interamna Aprutensis (con almeno 17 varianti) e Terni Interamna Umbrica (con almeno 9 varianti); l’aggettivo Interamnensis potrebbe anche riportarsi a diverse altre città, ma di certo non frequentate da san Francesco (v. J. G. Th. Graesse, F. Benedict, H. Plecht, S.-Ch. Plecht, Orbis Latinus, Braunschweig, Klinkhardt & Biermann, 1972, vol. 2, p. 289).
8 « Praedicante ipso aliquando populo Interamnensi, commendans eum episcopus civitatis, coram omnibus finita praedicatione, sic ait: “Hac novissima hora illustravit Deus Ecclesiam suam isto pauperculo et despecto, simplici et illitterato; propter quod tenemur Dominum semper laudare, scientes quod non fecit taliter omni nationi”. Quibus Sanctus auditis, miro acceptavit affectu, quod verbis tam expressis contemptibilem ipsum indicasset episcopus. Et intrantibus ecclesiam, procidit ad pedes episcopi, dicens : “In veritate, domine episcope, magnum honorem mihi fecisti, quoniam quae mea sunt, auferentibus aliis, tu solus illaesa servasti. Separasti, inquam, pretiosum a vili, sicut discretus homo, Deo laudem, mihi vilitatem reddendo » (Thomas de Celano, Vita secunda, c. 103, n. 141 [FF pp. 568-569]).
9 « In hac [sc. paupertate] caeteros cupiebat excedere, qui ex ipsa didicerat inferiorem se omnibus reputare » (Bonaventura de Balneoregio, Legenda maior, c. 7, § 6 [FF p. 837]).
10 « Nam et fratribus in conclavi quaerentibus, quae virtus magis amicum redderet Christo, quasi secretum sui cordis aperiens, respondebat: “Paupertatem noveritis, fratres, specialem viam esse salutis tamquam humilitatis fomentum perfectionisque radicem [...]” » (Ibid., c. 7, § 1 [FF p. 832]).
11 « [...] propter maiorem perfectionem et humilitatem, longo tempore ante mortem suam, quadam vice dixit generali ministro : “Volo ut committas vicem tuam de me semper uni de sociis meis, cui obediam vice tua ; quoniam propter bonum [exemplum[ et virtutem obedientie in vita et in morte semper volo, quod maneas mecum” » (Compilatio Assisiensis, 11 [FF pp. 1484-1485]).
12 « Hanc gratiam inter alias contulit michi ipse Altissimus, quod ita diligenter obedirem novitio, qui intraret hodie Religionem, si esset meus guardianus, sicut illi, qui esset primus et antiquus in vita et in Religione fratrum. Quoniam subditus prelatum suum non hominem, sed Deum considerare debet, pro cuius amore sibi subditus est » (Ibid. [FF p. 1485]).