Quando anche un bacio diviene sacro
Ogni giorno si celebra sugli altari delle nostre Chiese la Santa Messa, durante la quale «il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico», come indica l’ Ordinamento Generale del Messale Romano.
L’allarmante spopolamento delle nostre Chiese durante le liturgie, è dovuto, secondo me, sia all’evidente scristianizzazione dell’Occidente, che sempre più corre dietro alle “mode” del momento, sia ad una certa “ignoranza” nel capire ciò che si celebra. Ci siamo mai chiesti, ad esempio, il ‘perché’ si celebra una Santa Messa, o – meglio ancora – il ‘perché’ il sacerdote compie un determinato gesto?
Un esempio! Lo stare in piedi, seduti, in ginocchio, dice qualcosa: si sta ritti perché ciò indica l’atteggiamento del cristiano che risorge con Cristo, seduti perché ascoltiamo gli ammaestramenti del nostro Maestro, in ginocchio perché lo adoriamo con tutto noi stessi! Già! Perché la Messa è composta da parole e da gesti, inseriti non a caso, ma ciascuno di essi ‘significa’ qualcosa! Lo era nella Messa prima della riforma del 1965, lo è anche dopo!
L’Eucaristia, di per sé è un ‘segno’: è uno dei sette sacramenti, e il sacramento, secondo il nostro San Tommaso d’Aquino (ST, III, q.60), indica il segno di una realtà sacra in quanto santifica gli uomini. Dunque, i sacramenti sono segni sacri, ma non tutti i segni sono sacramenti. Perché lo siano devono santificare l’uomo. Il segno sacramentale è costituito da elementi che Tommaso qualifica come res e verba. Parole e cose diventano un tutt’uno nei sacramenti.
Entrando nel vivo della riflessione, uno dei gesti per me molto eloquente nella celebrazione della Messa, è il bacio! Sì, perché nella Messa si compie un gesto a noi molto usuale, quotidiano. Un bacio lo offriamo ad esempio, quando salutiamo una persona dicendole un semplice ‘Ciao’; o quando vogliamo formulare degli auguri, capita spesso di accompagnare queste parole ad un bacio! Forse troppo romanticismo, vi chiederete? Io non penso! In realtà esprimiamo uno stato d’animo.
E dunque, in quali occasioni, durante la Messa si parla di bacio? Sicuramente avete davanti ai vostri occhi i riti iniziali. Cosa fa il sacerdote (e il diacono) quando sale l’altare? Si inchina e lo bacia! Stessa cosa alla fine della Messa. Qualcuno mi disse tempo fa che sembra una “pratica” ridicola! Ma, essendo questo uno dei tanti segni della liturgia, significa a sua volta qualcosa. I ministri, perciò, quando salgono l’altare e lo baciano, in realtà baciano Cristo stesso, perché l’altare è proprio simbolo di quel Cristo che si è offerto vittima sacrificale una volta per tutte. E baciandolo proprio all’inizio della Messa, esprimono, ancor prima di compiere ogni altra azione, il “saluto”, il rispetto e la venerazione, la riconoscenza verso il Signore. D'altronde, cosa facciamo noi quando apriamo la porta di casa ad una persona che è venuta a trovarci, se non accoglierla e salutarla? È la stessa situazione, sebbene con circostanze diverse, naturalmente; perché il bacio dell’altare compiuto dal sacerdote a nome di tutta la Chiesa, esprime il bacio che la Chiesa intera dà al Cristo, suo sposo.
Dalla metà del 1200 sino al Concilio Vaticano II, il nostro Ordine domenicano possedeva un proprio rito. Ora, nel nostro rito, che già nel modus celebrandi si distingueva dal rito romano per sobrietà, erano presenti altri gesti che lo differenziavano dagli altri riti. Uno di questi riguarda ancora il ‘bacio’… Ebbene, poco dopo l’ Agnus Dei il celebrante bacia il labbro del calice e quindi bacia l’ instrumentum pacis.
Tempo fa lessi in un antico manuale ottocentesco del p. Cassitto, nel quale prendeva in esame tutte le parti della liturgia domenicana, il passo in cui chiarisce questo gesto del bacio del calice:
«Finita quella orazione, si bacia dal Sacerdote, secondo il nostro rito, il labbro del calice… Alessandro di Ales, Durando, e altri antichi scrittori fan menzione di questo bacio del calice, che significa, che si prende la pace da Cristo prima di darla al popolo. Secondo il rito Romano odierno [si riferisce al rito romano di S. Pio V] si bacia l’altare; ma il Durando dice, che baciando il calice intendiamo d’indicare, che la pace vien in noi dal calice, ossia dalla Passione di Gesù Cristo. Alcuni nel XII secolo per averla da Gesù Cristo più immèdiatamente, baciavano l’Ostia, e il costume di baciar l’Ostia si diffuse nella maggior parte delle Chiese di Francia, e vi si mantenne sino al secolo XVI. In alcune si baciava il calice, come facciam noi tuttavia; in alcune altre l’Ostia e il calice; in altre, come fanno i Carmelitani, il calice e il corporale, perché hanno toccato il Corpo di Cristo; in altre il libro, che lo rappresenta dove vi era una Croce dipinta al margine in questo passo; e infine in altre la patena, o l’altare.»
In questi esempi, che naturalmente non pretendono di essere magistrali né esauriscono tutta la teologia che sta dietro ai numerosissimi gesti della liturgia, possiamo riscontrare tutta la bellezza e la varietà dei riti, con quel complesso sistema di segni e simboli che esprimono una certa delicatezza nell’accostarsi ai misteri della fede.
Oggigiorno, anche se certi segni sono caduti in disuso, altri però sono proposti dal Magistero e dai documenti ufficiali della Chiesa. L’importante è non ridurli a una meccanica successione di ripetizioni, ma sforzarsi a comprendere il rimando alla persona di Cristo, che si dona a noi nell’Eucaristia, che è il «coronamento della vita spirituale e il fine di tutti i sacramenti», come scriveva il buon San Tommaso (ST, III, q.73, a.3). In Cristo tutto è nobilitato: la nostra persona, i gesti, le parole… anche i semplici baci!
fr. Giovanni R. M. Ferro, O.P.
Convento di S. Maria sopra Minerva, Roma