Utopia, retrotopia, protopia: costruire la civiltà dell’amore
Il titolo di questa conferenza evoca la rappresentazione della relazione tra passato, presente e futuro immaginati da un gruppo, una comunità, diciamo dalla società in cui viviamo. Cercheremo di fare un po’ di luce sulla relazione tra i tempi dell’esistenza, sulla realtà storica, per usare una categoria cara al filosofo Tommaso Demaria, al quale mi riferirò più volte.
Considereremo alcune tentazioni e trappole, paure e speranze, che animano lo spaesamento generale che proviamo nell’evidente cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.
E finiremo con la proposta di una visione del futuro, illuminata dalla luce della fede, che guidandoci nella comprensione del passato, permette di organizzare l’agire del presente, in funzione della costruzione del futuro che vogliamo per il nostro mondo.
Una premessa metodologica: prenderemo in considerazione esclusivamente la nostra società e la nostra cultura occidentali, perché queste permeano anche le altre culture e società presenti nel mondo. La partita, infatti, si gioca nella realtà storica mondiale oramai globalizzata, dove visioni del mondo diverse devono comunque fare i conti con la pervasività dello sviluppo tecno-scientifico ed economico occidentale. Iniziamo con la definizione dei termini usati nel titolo: utopia, retrotopia e protopia.
Il termine utopia è un neologismo coniato da San Tommaso Moro, nel famoso libello pubblicato nel 1516, in cui il protagonista, dal nome significativo di Itoldeo (dal greco "raccontatore di bugie") narra della sua visita in un’isola immaginaria chiamata appunto "Utopia", che significa, dal greco "oun" e "topos", “non luogo”.
Il libro si iscrive nella lunga tradizione di utopie già presenti nell'antichità classica - basti pensare alla Repubblica di Platone-, e diede luogo ad una vera e propria letteratura soprattutto in materia politico-sociale, volta a immaginare un mondo futuro migliore. Il sociologo Zygmut Baumann, nel suo libro postumo "Retrotopia" (2017), sostiene che le utopie politico-sociali sono morte, perché nel mondo di oggi, le "aspettative di felicità dell'uomo fino ad oggi legate ad un determinato topos (un luogo stabilito, una polis, una grande città, uno Stato sovrano, tutti retti da un sovrano saggio e benevolo)", si ritrovano sganciate "slegate da qualsiasi topos, individualizzate, privatizzate e personalizzate (« subappaltate» ai singoli esseri umani che le portano con sé come le chiocciole la propria casetta)".
Paradossalmente, nella società del benessere di massa, continua Baumann, "proprio quando dovremmo accollarci il compito storico di infondere senso a questa esistenza ricca, sicura e sana, abbiamo invece seppellito l'utopia. Non c'è nessun sogno nuovo a sostituirla, perché non riusciamo a immaginare un mondo migliore di quello che abbiamo. Di fatto nei paesi ricchi la maggiora parte dei genitori ritiene che i figli se la passeranno peggio".
fr. Riccardo Lufrani, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma