Commemorazione di tutti i fedeli defunti
L’inizio del mese di Novembre è segnato da due momenti forti che la nostra fede ci propone. Ieri abbiamo celebrato la solennità di tutti i santi. Abbiamo cioè lodato Dio e lo abbiamo ringraziato per il dono di tanti nostri fratelli e sorelle che hanno totalmente dedicato la loro vita a Dio e attraverso Dio all’umanità, e dal cielo continuano ad essere per noi amici, protettori, intercessori. Oggi celebriamo invece la commemorazione di tutti i nostri fratelli e sorelle defunti, i nostri cari in modo particolare. E’ una giornata di preghiera per le loro anime, perché Dio le accolga nella schiera dei santi in paradiso. Allo stesso tempo è una giornata che ci porta a confrontarci col grande mistero della morte… E di fronte alla morte, quella di un nostro caro, o il pensiero della nostra un giorno, ognuno reagisce come può.
Mi è capitato ieri di vedere un piccolo video estratto da uno di quei tanti programmi che vanno a caccia di talenti e che effettivamente qualche volta sanno offrire delle grandi emozioni. In questo video un giovane colombiano allevatore di renne presentava la sua canzone dedicata ad un carissimo amico scomparso qualche anno prima. Durante la presentazione che lui stesso ha fatto di se ha raccontato del giorno della morte di questo suo carissimo amico. E’ andato nel portico della baracca dell’amico, e poi dentro la baracca, e ha pregato. Poi ha come sentito dentro di se un’emozione, quasi sonora, come quando il nostro lamento diventa musica, che poi ha trasformato in canto. Da quel momento ha iniziato a sentirsi meglio. La sua canzone era senza parole, composta solo da un insieme di sillabe che somigliavano contemporaneamente ad un grido, ad una preghiera, ad una ninna nanna, ad un canto di speranza e ad una canzone d’amore. Attraverso la sua canzone questo giovane allevatore di renne ha saputo condensare le sensazioni che proviamo di fronte al grande mistero della morte.
Siamo presi dal dolore e dalla disperazione. Ci si sente soli, abbandonati, spaesati, senza nessun riferimento e senza forze. Ancor di più quando siamo di fronte a morti improvvise e inaspettate.
Questo dolore si trasforma in lamento in cui ogni parola sembra di troppo e fuori luogo. E’ proprio quello che mi ha colpito di più di questa canzone: la mancanza di parole. Di fronte alla morte ci sembra di rimanere senza parole. Non abbiamo voglia di parlare. Eppure viviamo una grossa tensione, perché la morte di una persona cara, che sembra distruggere anche la nostra esistenza, deve combattere con quel soffio di vita che continua ad abitare noi che rimaniamo. Si, la terra rimane la nostra patria, e il cielo diventa la patria di chi ci lascia. Noi rimaniamo qui e dobbiamo vivere! La vita non può rimanere un lamento, ma in Dio deve crescere in un canto di speranza, magari delicato e fragile, ma sempre un canto di speranza.
Io lo so che il mio redentore è vivo gridava Giobbe nella prima lettura. E lo grida dopo una serie di dolori che lo spogliano di tutto: tutti i suoi cari sono morti, i suoi figli sono morti. Ha perso la sua salute, le sue amicizie , i suoi beni. Di fronte a tante disperazione Giobbe esclama, SI, io lo so che il mio redentore è vivo.
Questa frase credo riassuma per intero la giornata che celebriamo oggi. La commemorazione di tutti i fedeli defunti non è un giorno in cui dobbiamo forzarci di dire che la morte non ci spaventa, e vedere i nostri cari lasciarci non ci fa soffrire. No. La giornata di oggi è una giornata prima di tutto di preghiera, e ciascuno prega abitato dai sentimenti che porta nel cuore: dolore, speranza, rabbia, fatica, rassegnazione, fede, pace. Dio accoglie tutto.
E’ un giornata di preghiera per entrare sempre di più , attraverso la fede, in questo grido di Giobbe: si , lo so che il mio redentore è vivo.
Ma cosa significa per noi oggi?
Forse è chiedere a Dio di poter accogliere con maggiore fede la morte, sorella morte come ha osato chiamarla san Francesco. L’uomo e la donna di fede non vedono la morte come un muro, una separazione drastica, ma come una porta che unisce cielo e terra. Era un muro sino al giorno di Pasqua, Cristo la trasforma in porta per il cielo.
Questo, lo ripeto, non significa fare finta che la morte non ci faccia soffrire. Significa piuttosto non permettere che la sofferenza diventi disperazione. La sofferenza c’è perché quando ci allontaniamo dalle persone che amiamo esse ci mancano, ma la nostra relazione con loro continua, ed è una relazione reciproca e fatta di grande tenerezza.
Noi preghiamo per le anime dei nostri cari, qualora dovessero ancora prepararsi per essere accolte a contemplare per sempre la bellezza e la beatitudine del volto di DIO e le nostre persone care pregano e intercedono per noi: ci accompagnano nel nostro cammino di vita. Oggi è un giorno di grande comunione e solidarietà tra il cielo e la terra!
Credo che nella giornata di oggi ogni sentimento abbia il suo posto, e con delicatezza dobbiamo rispettarli. Forse vengono a galla dolori mai dimenticati per la perdita di persone care, o forse, se Dio lo vuole, la speranza abita sempre più nel nostro cuore, e come il giovane allevatore di renne possiamo dire: si, col mio lamento ho pregato, ho iniziato a cantare e sono stato meglio. Questo stare meglio cos’altro significa se non essere intimamente persuasi che oltre il dolore della morte c’è la speranza di una vita nuova, quella che non conosce più morte, quella verso cui camminiamo, quella che Gesù ci ha donato con la sua resurrezione a vittoria di ogni disperazione? Si, i nostri cari sono vivi. Preghiamo per loro. Chiediamo la loro preghiera.
fr. Gian Matteo Serra, O.P.