Un progetto espositivo: la nuova sala museale presso la Sacrestia della Basilica di S. Domenico in Perugia
Il progetto di allestimento prevede di esporre un gruppo di parati liturgici tradizionalmente associati alla figura del pontefice domenicano Benedetto XI (Treviso 1240 – Perugia 1304) nel cosiddetto “salone del Vestito”, locale posto alla sinistra del coro della chiesa di San Domenico e comunicante attraverso un corridoio con la sacrestia.
Gli oggetti da esporre sono: un piviale in seta e filato metallico a piccoli motivi vegetali aurei su fondo bianco, realizzato con un tessuto ascrivibile ad una manifattura cinese o centroasiatica dell’ultimo quarto del XIII secolo e rientrante nella tipologia dei panni tartarici, stoffe suntuarie prodotte in diversi centri dell’Impero Mongolo tra la seconda metà del Duecento e nel corso del Trecento; una tonacella o dalmatica di fattura e disegno analoghi al piviale con ulteriori inserti in seta blu e filato metallico a decoro vegetale e animale, attribuibili ad una manifattura italiana della metà del XIV secolo circa; due parti di una stola ricamata in seta e filato metallico di fattura italiana della fine del XIII secolo con figure di santi entro edicole; un frammento rettangolare ricamato in seta e filato metallico con santi entro edicole di ambito italiano di poco successivo alla stola; una mitra ricamata in seta e filato metallico con santi di produzione centro italiana della metà del Trecento; una coppia di calzari in seta e filato metallico, l’uno in panno tartarico con animali entro medaglioni ogivali di ambito ilkhanide, l’altro in diaspro lucchese con gazzelle e pappagalli, entrambi attribuibili alla fine del XIII o inizi del XIV secolo; due pianelle in velluto, ancora di incerta attribuzione e, infine, tre camici di lino, uno mutilo nella parte superiore e un altro con inserti in due differenti sete operate sulle maniche e sulla fronte anteriore, attualmente in fase di studio e restauro.
Tra questi parati gli oggetti realizzati in panno tartarico rappresentano una delle testimonianze più importanti tuttora superstiti degli scambi euroasiatici che ebbero luogo tra Duecento e Trecento grazie al sorgere dell’Impero Mongolo e alla conseguente apertura delle rotte commerciali verso l’Estremo Oriente per i mercanti occidentali, in primis italiani. Manufatti preziosissimi e assai ricercati sulle piazze occidentali, alla fine del Medioevo tali tessuti sono attestati nei corredi di principi, imperatori e papi ed è probabile che le vesti di Perugia facessero parte del tesoro pontificio. Una tradizione documentaria, attestata a partire dagli inventari quattrocenteschi della sacrestia di San Domenico, vuole infatti che Benedetto XI avesse lasciato ai confratelli domenicani alcuni paramenti ecclesiastici e oreficerie sacre. Tali oggetti, variamente descritti nel corso dei secoli, entrarono a far parte del ricco tesoro domenicano, dove subirono alcune manipolazioni e dispersioni. Attorno alla fine del Cinquecento le componenti originali del corredo tessile, insieme a manufatti di epoca successiva alla morte del papa come la mitra, furono raccolte in una cassetta di legno e custodite come cimeli del pontefice.
La già straordinaria importanza storica, artistica e devozionale dei manufatti è ulteriormente amplificata dal luogo scelto per l’esposizione. Non solo viene mantenuta la loro contestualizzazione storica, dal momento che gli oggetti furono sempre conservati nella sacrestia di San Domenico e appartengono tuttora all’Ordine, ma viene ribadito lo stretto legame che intercorre tra i parati e la figura del pontefice e quello che unisce Benedetto XI ai Domenicani di Perugia. Il salone del Vestito infatti fu edificato su un’area corrispondente alla sacrestia dell’antica pieve di Santo Stefano del Castellare, la cui originaria struttura muraria è ancora parzialmente visibile in una parete della sala. Durante il suo soggiorno a Perugia nel 1304 il pontefice concesse ai frati per l’edificazione di un nuovo e più grande edificio ecclesiastico presso la Pieve sopradetta, attigua all’insediamento duecentesco e alla primitiva chiesa domenicana (l’attuale San Domenico vecchio, inglobato nell’area meridionale del chiostro maggiore del complesso, ora Archivio di Stato). Alla donazione si accompagnò la concessione di un’indulgenza plenaria da celebrarsi annualmente tra il 2 e il 3 agosto, nota poi come Festa del Perdono, al fine di trasformare il nuovo San Domenico in un centro devozionale di primaria importanza, garantendo al contempo le entrate necessarie per sostenere l’avvio e la prosecuzione del cantiere di ampliamento dell’antica Pieve di Santo Stefano, progressivamente inglobata in quello che è l’attuale transetto di San Domenico.
Poiché il pontefice morì improvvisamente, senza che fosse possibile formalizzare per iscritto l’istituzione dell’indulgenza, negli anni successivi vi fu un forte impegno dell’Ordine Domenicano per la raccolta di testimonianze a favore della concessione papale. In questo sforzo rientrò come parte integrante della politica domenicana anche la promozione del culto di Benedetto XI, morto in odore di santità e sepolto per sua stessa volontà testamentaria nella vecchia chiesa di San Domenico, una promozione costante che porterà nel 1736 la beatificazione del papa sotto il pontificato di Clemente XII. Fin dal primo Trecento, dunque, il complesso domenicano divenne luogo della celebrazione della memoria di Benedetto: nella chiesa vecchia, dove pochi anni dopo la sua morte fu eretto il monumentale cenotafio derivato dal modello arnolfiano di Orvieto, successivamente trasferito nel San Domenico Nuovo e visibile oggi nella prima cappella absidale a destra del coro; nella chiesa nuova, dove gli oggetti associati al pontefice (i parati liturgici e le oreficerie, tra cui il calice con patena di fine Duecento dell’ambito di Pace di Valentino, attualmente in custodia presso la Galleria Nazionale dell’Umbria) furono conservati gelosamente, trasformandosi progressivamente in vere e proprie reliquie del papa; infine, nella stessa celebrazione della Festa del Perdono, che, ancora nel Settecento, prevedeva una processione culminante nel bacio del bastone ritenuto di Benedetto XI (oggi disperso).
Nel salone del Vestito, inoltre, si prevede di esporre anche tre affreschi staccati provenienti dalla chiesa di San Domenico realizzati da Cola Petruccioli poco prima della sua morte nel 1401. I frammenti di affresco sono ciò che rimane del ciclo pittorico dedicato al Martirio di San Pietro Martire (1396). Le pitture ornavano la Cappella maggiore della Basilica e negli anni Trenta-Quaranta del secolo scorso sono state quasi totalmente distrutte. Della vasta decorazione sono stati recuperati solo tre brani, all’interno dei quali, in un riquadro lobato delle cornici dipinte, figura l’autoritratto dell’artista. La biografia di Cola da Petrucciolo prende consistenza negli anni del primo Novecento, anche alla luce della pubblicazione del Fumi (1891) dei documenti relative all’edificazione e decorazione del Duomo di Orvieto: Cola risulta infatti aiuto di Ugolino di Prete Ilario nella decorazione della Tribuna, dal 1372 al 1378. A partire dal 1380 ca. il pittore si trasferisce a Perugia dove esercita la professione per un ventennio, fino alla morte, che si data al 1401, anno in cui risulta attivo nella Basilica di San Domenico.
I tre frammenti superstiti rappresentano le parti inferiori di due scene non identificate e una iscrizione; gli strappi foderati e riportati su telai lignei sono di forma rettangolare e misurano cm 120x340x2,5; cm 108x306x2,5; cm 39x164x2,5. I due frammenti più grandi riguardano la parte inferiore di una grande scena, incorniciata da una ricca cornice con specchiature geometriche alternate a piccole finestre polilobate, con figure a mezzo busto. Nelle specchiature di uno dei frammenti figurano motivi ornamentali con al centro un sole; nelle cornici polilobate ritratti a mezzo busto tra cui quello dell’artista. Nell’altro pannello le specchiature sono più lineari; le cornici quadrilobate recano un ritratto a mezzo busto e quattro stemmi. Nel pannello piccolo non ci sono decorazioni ma una scritta frammentata in caratteri neri su fondo bianco, profilata da una semplice cornice rossa.
Si tratta di opere che testimoniano l’originario splendore della nuova chiesa di San Domenico, quando nel volgere di pochi anni e poco prima della consacrazione del 1459 di Pio II Piccolomini furono realizzate commissioni importanti come la vetrata absidale su cartone di Mariotto di Nardo (1411), gli affreschi della cappella di santa Caterina di Benedetto di Bindo (ca. 1415-1417) o il polittico di Beato Angelico per la cappella gentilizia dei Guidalotti (ca. 1445), ora alla Galleria Nazionale dell’Umbria.
fr. Alberto Viganò, O.P.
Convento S. Domenico, Perugia