La sollecitudine del Buon Pastore e la vocazione domenicana
Omelia di fr. Bruno Cadorè, Maestro dell'Ordine dei Predicatori (Domenicani),
tenuta nella basilica di S. Maria sopra Minerva
Carissimi fratelli e sorelle, è un grande piacere per me celebrare con tutta la famiglia domenicana quest'eucaristia nella domenica delle vocazioni... o piuttosto, della domenica che si chiama del «Buon pastore». Per invitarci a non sbagliarci quando parliamo delle vocazioni... che vuol dire «vocazione» per l’Ordine di san Domenico?
Nei miei incontri con i frati, le suore e i laici dell’Ordine ho la gioiosa possibilità di ascoltare il racconto della loro vocazione, il modo in cui hanno deciso di entrare nell'Ordine. E vi assicuro che ascolto molte storie splendide, che evocano scelte radicali, cambiamenti di vita stupefacenti, percorsi coraggiosi. Tuttavia, al di là di tutto ciò, queste testimonianze esprimono che, in una storia di vocazione, il più importante, il più bello anche, non è tanto la vita umana che risponde, ma la fiducia e la bellezza della chiamata che si fa sentire. Gesù, «pietra angolare», ci dicono gli Atti degli apostoli. È infine la voce di Gesù che è l'essenziale della vocazione. La chiamata, la sollecitudine, la fiducia, del Buon pastore.
L’evocare le vocazioni con voi, fratelli e sorelle della famiglia domenicana, ci conduce a sottolineare due aspetti importanti della chiamata. Il primo è la diversità di quelle e quelli a cui si rivolge il Buono pastore: uomini e donne, giovani o meno giovani, laici o religiosi, coniugati o non, sacerdoti… Questa diversità manifesta la singolarità della chiamata fatta a ciascuno, che si iscrive nella storia concreta di ognuno, nella storia concreta della relazione che il Buon pastore ha con ciascuno: «conosco le mie pecore e le mie pecore mi conoscono».
Il secondo aspetto è che parlare di vocazione non significa soltanto parlare della chiamata di persone individuali: anche la Chiesa in quanto tale è destinata a diventare, come dice Gesù nel Vangelo, un solo popolo. Nella Chiesa, una famiglia religiosa come il nostro Ordine ha il compito, mi sembra, di apportare il suo contributo specifico per il modo in cui la Chiesa riceve e risponde a questa chiamata. Per l'Ordine di san Domenico, confermato dal papa per il compito di evangelizzare il nome del nostro Signore Gesù Cristo, il compito è ricordare nella Chiesa, stabilita sulla pietra angolare che è Gesù Cristo, che essa si sviluppa facendo sentire e proclamando, il nome di Gesù che salva.
Nel Vangelo di oggi, il Buon pastore manifesta che cosa significhi tutto ciò. In primo luogo significa che ogni «pecora» ha un dialogo personale con il pastore, una relazione particolare. La sollecitudine del Buon pastore raggiunge ciascuno nella sua storia, e così il pastore manifesta il suo amore incondizionato, un amore che può condurlo ad abbandonare il gregge, confidando che non si disperda, per poter andare alla ricerca di una pecora perduta. Questa relazione è particolare per due ragioni: da un lato perché è proprio di ciascuno d'altra parte, perché è così forte con ciascuno, senza preferenze, se non per quelli che sono più in rischio di perdersi.
In secondo luogo, questa sollecitudine del Buon pastore dice anche più che ciò che molti raconti biblici già lascino intendere: Dio è il Pastore del suo popolo, lo guida e lo conduce. Qui, Gesù annuncia che il Buon pastore va oltre questa conduzione del gregge: dà la sua vita, ed è per questo che suo padre lo ama. Dà la sua vita, la sua vita si identifica alla vita delle sue pecore al punto che, se esse sono messe minacciate da mercenari, non le abbandonerà e offrirà la sua vita per loro.
In terzo luogo, questa vita che il buon pastore offre è il frutto di un amore che gli esseri umani hanno difficoltà ad immaginare: è il frutto dell'amore tra il Figlio e il Padre, è anche un amore che si apre affinché altri vengano a trovare rifugio, vengono a trovare la vita. È per ciò che il Figlio è stato inviato dal Padre, è a ciò che il Figlio è chiamato dall'amore che lo collega al Padre. È da questa vocazione che sorge la vocazione che sentono, ciascuno secondo il suo modo proprio, gli esseri umani. Sono destinati ad entrare nella stessa vocazione del Figlio!
Ma cosa vuol dire questo? Il vangelo offre una risposta. Quest'amore del figlio e del padre è così grande che conduce il Buon pastore a non rimanere a un solo ovile: «ho altre pecore che non sono di questo ovile e anche queste devo condurre: ci sarà una sola gregge ed un solo pastore».
Nella Famiglia domenicana ciò deve ricordarci la passione di Domenico per servire e promuovere l'unità della Chiesa almeno in due modi. Da un lato, cercare di riparare le divisioni ed evitare le tentazioni di divisioni. Dall’altra parte, considerare che la Chiesa è sempre incompiuta, deve essere sempre ancora aperta verso al suo futuro. E incompiuta finché ci sono peccatori che pensano di non poter vivere nuovamente a partire dalla misericordia di Dio, è incompiuta finché ci sono poveri senza consolazione che pensano di non contare per nessuno, è incompiuta finché c'è un «cumano», della persone distanti che non conoscono il messaggio di quest'amore del Figlio per loro.
L'unità della Chiesa non consiste nel preservare i limiti di un solo recinto, lo capiamo bene. Quest'unità si compie nella misura in cui la Chiesa si apre al di là delle sue frontiere, in cui cerca di invitare ed accogliere altri, alla misura della quale desidera raggiungere coloro che sono distanti dal messaggio del vangelo. Infine, l'unità della Chiesa si consolida quando ha il coraggio non di tenersi alla periferia del mondo, ma il coraggio di partire proclamare attraverso città e villaggi il nome di Gesù Cristo, Salvatore.
E, così, dare a ciascuno la possibilità, e la gioia, di accogliere il vangelo nella sua vita. Fratelli e sorelle, che vuol dire «Vocazione», per la Famiglia domenicana? Evangelizzare il nome di Nostro Signore Gesù Cristo e, cosi, proporre la gioia al mondo.
fr. Bruno Cadoré, O.P.
Maestro dell’Ordine dei Predicatori