Est vir qui adest
Omelia tenuta in occasione del Venerdì Santo presso la Basilica di S. Maria sopra Minerva
La Passione come Rivelazione di Dio
e del cuore dell’uomo
Carissimi fratelli e sorelle,
la liturgia della Domenica delle Palme, che ci offre una sorta di porta d’ingresso alla “Grande settimana” e in particolare al triduo pasquale che stiamo vivendo, ci ha già fatto percorrere con la lettura del vangelo di Marco gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù, dall’ingresso in Gerusalemme fino alla deposizione nel sepolcro.
La liturgia di oggi ci invita a rivivere ancora una volta il mistero della passione e morte di Gesù, attraverso stavolta il racconto giovanneo e mediante gesti e simboli che ci guidano quasi “per mano” a ripercorrere tutti i momenti più importanti della vicenda: la sua agonia nel Gestemani, rievocata dalla prostrazione iniziale, che richiama il gettarsi a terra di Gesù in preda all’angoscia; il suo arresto, la condanna e l’esecuzione attraverso la proclamazione del Vangelo; la sua crocifissione e morte attraverso l’adorazione della croce, e infine il silenzio che resta su tutta la Terra dopo la morte del Verbo, attraverso la processione silenziosa e meditativa che chiuderà la celebrazione.
La Passione è il momento in cui si rivela il mistero della persona di Gesù, il suo esistere nella forma del dono e dell’offerta-di-sé al Padre e ai fratelli: questo è il messaggio che ci trasmettono i Vangeli. Lo abbiamo ascoltato domenica nella Passione secondo Marco: è ai piedi della croce che avviene il riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio da parte del centurione romano (Mc 15,39) e che si chiude l’arco ideale tracciato fin dall’inizio dall’evangelista (“inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”, Mc 1, 1). Ce lo ha detto oggi il quarto Vangelo nel lungo brano che la liturgia ci propone. Tutto il linguaggio utilizzato nella narrazione ci fanno capire che la Passione è il luogo di una teofania, della manifestazione di Dio in Gesù attraverso la piena rivelazione della sua identità. Lo abbiamo ascoltato in quel “Sono io!” (Gv 18,5) che Gesù risponde alle guardie venute a cercarlo e che richiama da vicino la Rivelazione del nome divino fatta a Mosè nella scena del roveto ardente (“Io Sono”, Es 3, 14), e la cui solennità epifanica si percepisce immediatamente dalla reazione sconcertata e scomposta delle guardie ad udire quella parola (“Appena disse loro “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra”, Gv 18,6), quasi a suggerire che la Rivelazione del nome divino si capisce fino in fondo solo nel momento della Passione: “Io sono con te fino alla fine, mi do a te senza riserve”.
Lo ritroviamo poi nel dialogo tra Gesù e Pilato, in quella domanda “che cos’è la verità?” (Gv 18,38) a cui Gesù risponde con un silenzio, un’assenza di parola che non indica incapacità di rispondere alla domanda, né volontà di fuggire il confronto, ma rinvia piuttosto all’evidenza della sua persona, del suo essere filiale ora pienamente disvelato nella Passione.
S. Agostino, con la sua abilità oratoria, interpretava questo silenzio con un gioco di parole: anagrammando la domanda di Pilato che nel latino della Vulgata suonava -“Quid est veritas?”-, rispondeva -“Est vir qui adest”-, è l’uomo qui presente, la verità in persona nel suo offrirsi nuda e mite. Sul Calvario Gesù si rivela pienamente come Figlio, rimettendo al Padre quell’esistenza che è frutto del dono ricevuto dal suo Amore.Ma la Passione è anche il momento in cui si rivela il cuore dell’uomo, le sue “passioni”, il suo situarsi e prendere posizione dinanzi alla croce. I numerosi personaggi che gli evangelisti fanno intervenire nella narrazione, ciascuno con i propri atteggiamenti e con il suo modo di porsi dinanzi all’epilogo della vicenda del Nazareno, ci indicano che dinanzi alla croce e alla morte di Gesù non si può restare neutrali, ma è necessario collocarsi, assumere una posizione. E qui allora la domanda diventa: “chi siamo noi, che partecipiamo a questa liturgia, dinanzi alla croce?” “Quale di questi personaggi di cui narrano i Vangeli, sono io?” Sono magari come le folle, che hanno accolto Gesù con entusiasmo nel suo ingresso in Gerusalemme, e ora preferiscono che sia graziato al suo posto addirittura un brigante, segno di un’adesione superficiale, senza autentiche radici? O come Pilato, l’uomo che vorrebbe liberare Gesù ma poi si lascia sopraffare dalla richiesta della folla, preferendo l’opinione comune piuttosto che la verità? Come chi dice “scendi dalla croce e ti crederemo”, nel senso che cerca prodigi ed eventi sensazionali per credere? O come Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, i discepoli “segreti”, che hanno simpatia per Gesù e vorrebbero aderire alla cerchia dei suoi discepoli, ma temono la reazione dei Giudei e dei loro connazionali?
Tutti noi, a seconda dei momenti, siamo un po' l’uno e un po' l’altro di questi personaggi, nel senso che a volte serviamo il Signore con generosità e dedizione sincera, e altre volte arretriamo e veniamo meno in molte occasioni. In noi si alternano sempre cioè il “sì” e il “no”, il momento della fedeltà e della testimonianza, e il momento della meschinità e della incredulità. Dinanzi a noi sta l’icona del crocifisso, colui in cui (come dice Paolo) non c’è stato “«sì» e «no», ma […] c'è stato il «sì». E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute «sì»” (2Cor 1,18-19). Il cammino che ci separa da questa piena fedeltà al disegno di Dio è il cammino del discepolato, della sequela di Cristo nel quotidiano come partecipazione alla sua Passione e alla sua morte. Chiediamo allora al Signore che questa celebrazione di oggi non sia solo commemorazione di un evento passato che non ha più nulla da dirci oggi, ma che sia “memoriale” autentico, memoria viva del “sì” radicale di Gesù al Padre e ai fratelli, e nel ringraziarlo per il dono della riconciliazione, preghiamo che imprima in noi i suoi stessi sentimenti e ci aiuti a pronunciare il nostro “sì” nel quotidiano. Amen.
fr. Daniele Aucone, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma