Pregare con il proprio corpo: le inclinazioni profonde
Quello domenicano è un Ordine nato ben 800 anni fa in pieno medioevo, un'epoca storica dove Dio veniva percepito – perché effettivamente lo è – presente in ogni circostanza della vita, in ogni dove: nelle grandiose cattedrali come nelle più umili abitazioni. Questo "sentire" la presenza di Dio aveva chiaramente dei risvolti anche nella vita liturgica in special modo all'interno dei monasteri e, di conseguenza, anche all'interno dei conventi domenicani.
Tra i tanti segni e gesti compiuti che fanno comprendere quanto l'uomo medievale avesse ben forte l'idea della presenza dell'Altissimo in ogni dove, ritengo ve ne sia uno particolarmente eloquente: l'inclinazione. Per comprendere il fenomeno in ambito domenicano basti pensare che il beato Umberto di Romans, maestro dell'Ordine dal 1254 al 1263, nella sua Expositio super Constitutiones fratrum praedicatorum dedica un intero capitolo alla cosa.
Parlando delle inclinazioni (il titolo del capitolo è proprio “De inclinationibus”), scrive: «Per comprendere più approfonditamente ciò che viene detto in questo capitolo, bisogna sapere che per esprimere degnamente il culto divino devono concorrere tre cose: il cuore, la bocca ed il corpo» (Expositio..., ed. Berthier, Marietti 1956, vol. II, § 52).
Continua poi dicendo: «Al culto del cuore riguardano la fede, la speranza e la carità […]. Al culto della bocca riguarda l'ufficio della Chiesa […]. Al culto del corpo riguardano le umiliazioni del corpo che si praticano davanti a Dio, o alle immagini e ad altre cose simili che riguardano Dio» (ibid.). Queste umiliazioni del corpo sono, secondo il Romans, di tre tipi: l'inclinazione, che indica l'abbassarsi fino ai fianchi; la genuflessioni fino alle ginocchia (sic) e la prostrazione fino ai talloni (sic!), cioè fino a terra.
Senza volerci troppo addentrare nel testo – di cui consiglio la lettura – è interessante annotare solo qualche motivo che spiega il perché di queste inclinazioni. Scrive Umberto: «L'inclinazione è solita essere compiuta per molte ragioni: a motivo della riverenza […], per ringraziare […], per l'efficacia dell'orazione […], per magnificare l'altro […], come segno di obbedienza […], per modestia […], quando si passa davanti all'altare, alla croce, all'immagine della B. Vergine o alle immagini dei santi […], quando durante la preghiera si fa il nome del B. Domenico […], etc. etc.» (ibid., § 53).
Arriviamo ora ai nostri giorni. Sono passati 800 anni, e sembra che l'Ordine ci tenga a mantenere questo tipo di gesti del corpo: evidentemente l'inclinazione non è percepita come roba solo del passato. Nell'introduzione generale al nuovo Proprium Ordinis praedicatorum viene detto: «Occorre che le nostre celebrazioni non si impoveriscano di segni esterni, già limitati come numero nell'attuale Liturgia delle Ore. Occorre inoltre, in maniera efficace ma con discernimento, ricorrere a diversi elementi espressivi: musica, luce, incenso, atteggiamenti del corpo, vesti, etc.» (Introduzione generale, ed. italiana, n° 71). Tra gli atteggiamenti del corpo vi è riportato innanzitutto il fatto che i frati durante l'Ufficio divino «non sono rivolti verso l'altare ma gli uni di fronte agli altri [a significare] la presenza di Cristo in mezzo alla comunità in preghiera (Mt 18,20)» (Orientamenti per le celebrazioni liturgiche nell'Ordine dei predicatori, n° 4). Oltre alla posizione corale, l'Ordine chiede che durante la celebrazione della Liturgia delle Ore i frati facciano l'inclinazione profonda – «in modo tale che le mani possano essere posate sulle ginocchia» – «al Gloria al Padre […], alla conclusione degli inni [...] se si tratta di vere dossologie […], se si vuole all'orazione del giorno» (Orientamenti, n° 36).
A noi uomini e donne del XXI secolo, dimentichi a volte del linguaggio del corpo, tutto ciò può sembrare strano, superato, forse artefatto. Ci capita di percepire come macchinoso l'esprimere un qualcosa con il corpo, e ciò non solo nella preghiera. In tal senso guardare alla secolare tradizione del nostro Ordine può forse aiutarci a riscoprire alcune cose che potremmo aver perduto nel corso del tempo e che, forse, sarebbe bello e utile recuperare: la consapevolezza della presenza di Dio durante la preghiera – specialmente corale – (cfr. Mt 18, 20), il senso degli atteggiamenti del corpo durante la preghiera comunitaria e personale e, infine, il sapere che si loda Dio non solo con la bocca o il cuore ma come insegnava Umberto di Romans, e sulla scia del Nove modi di pregare di san Domenico, anche con il corpo. E allora «alzate le mani verso il santuario e benedite il Signore» (Salmo 134, 2).
fr. Fabrizio Pietro M. Cambi, O.P.
Convento di S. Maria sopra Minerva, Roma