DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

La mediazione della donna nel carisma domenicano

Sono molto felice di poter condividere qualche pensiero sulla nostra vita domenicana proprio nel giorno della “festa della donna”. Non solo perché Domenico iniziò la sua avventura umana e spirituale di predicatore proprio con la fondazione del monastero delle contemplative di Prouille; non solo perché, in fin di vita, ammise di avere preferito sempre parlare con donne giovani piuttosto che con quelle anziane (manifestava, così, la sua fiducia di poter trovare il cuore pulsante e la freschezza del carisma proprio nelle donne, e nelle più giovani!); ma anche perché la nostra vita domenicana, la nostra chiamata alla predicazione della Parola, inizia dentro un grembo.

Il grembo del silenzio e della contemplazione, innanzitutto; il grembo del desiderio; il grembo dell’obbedienza; il grembo della comunione; il grembo della donna.

Maria nell’Ordine Domenicano

In particolare, di una donna. Santa Caterina da Siena parla di questa donna quando afferma che Domenico “fu uno lume che Io (Padre) porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel corpo mistico della santa Chiesa come stirpatore di eresie” (Dialogo, CLVIII, 478-481). In queste righe è racchiuso il dono che, come domenicani, abbiamo ricevuto dal Padre, in Cristo, per lo Spirito Santo, con il mezzo di Maria.

Qui è la nostra strada verso Dio, il percorso e la modalità della nostra vocazione. La sorgente della nostra gioia di uomini e donne al servizio dell’annuncio del vangelo. Non si tratta, a mio avviso, di confondere i ruoli, il maschile e il femminile, ma di riscoprire e vitalizzare quel compito unico e complementare che, come uomini e donne, insieme, abbiamo ricevuto, nella Chiesa e nell’Ordine, al servizio dell’evangelizzazione. Ma cosa intendeva Caterina quando diceva che il carisma domenicano è un dono per la Chiesa, concesso dal Padre “col mezzo di Maria”?

Le parole della santa attestano, certamente, innanzitutto, il carattere profondamente mariano dell’Ordine, da sempre confermato dalla nostra tradizione. Se predichiamo, ancora oggi, il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo, non possiamo ricevere e donare colui che è la Luce del mondo se non attraverso colei nel cui grembo questa Parola si fece carne. La luce di Cristo arriva al predicatore attraverso la Madre del Verbo, che ci mette in relazione col Figlio per riflettere sul mondo la Sua Luce. Ma le parole di Caterina ci introducono anche nella scoperta del percorso vitale e spirituale del vero predicatore e nella comprensione profonda della chiamata alla predicazione.

Il desiderio

Domenico fu uno lume che Io (Padre) porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel corpo mistico della santa Chiesa come stirpatore di eresie”. Innanzitutto, Caterina ci conferma ciò che già sappiamo: la predicazione (=Domenico) giunge al mondo solo col tramite della contemplazione (=Maria). E secondo la santa senese, il cammino del domenicano, l’ascesa dell’anima nella sua ricerca di Dio inizia con il desiderio. Domenico predicò un Dio incarnato che “desiderò ardentemente” (cfr. Lc 22,15). E il desiderio, secondo Caterina, è proprio ciò che l’uomo ha in sé di infinito (cfr. Dialogo, III). È l’unica via verso un vero cammino di conversione e di penitenza. Ma per noi domenicani, il desiderio è anche sorgente dell’esperienza contemplativa. È Il santuario intimo del cuore in cui Dio si fa incontrare e conoscere. Lo scopriamo in queste parole che il Padre dice alla santa: “Se [l’uomo] vuole bellezza, Io so’ bellezza; se vuole bontà Io so’ bontà, perché so’ sommamente buono; Io sapienza, Io benigno, Io giusto e misericordioso Dio, Io largo e non avaro. Io so’ colui che do a chi m’adimanda, apro a chi bussa in verità e rispondo a chi mi chiama” (Dialogo, CXLI, 602-607). Dio si fa trovare dentro il nostro desiderio. E conoscendo ciò di cui ha sete, Caterina scopre che la risposta a quella sete è solo Dio. Di qui, nasce la sua esperienza di contemplazione e di lode che ha origine nella cella del cuore e si riversa su tutti i fratelli.

La mediazione della donna

Ma le parole di Caterina proposte all’inizio di questa riflessione, vogliono portarci ancora più in profondità. La predicazione domenicana (=Domenico) si compie ed è feconda solo se si realizza con la mediazione della donna (=Maria). La stessa vita di Caterina sembra essere prova e conferma di ciò: sappiamo bene che la santa è stata, nell’Ordine, il mezzo con cui il carisma di Domenico è stato vissuto e comunicato in pienezza. Ma è stata anche il grembo in cui è stata concepita la Riforma dell’Ordine.

Recentemente, abbiamo ricevuto in dono da un amico pittore, Gianni Bolis, un bellissimo dipinto che rappresenta, insieme, Caterina da Siena e Raimondo da Capua. Lo abbiamo riposto nel nostro nuovo chiostro, all’entrata della chiesa. A mio avviso, l’opera, delicata e soave nei colori, tenera e severa negli atteggiamenti, struggente nei sentimenti, profondamente comprensiva del carisma, esprime perfettamente ciò che i due domenicani vissero all’interno dell’Ordine in vista, certo, di una missione del tutto particolare. Raimondo, infatti, fu chiamato da Dio a iniziare la Riforma che avrebbe favorito una nuova fioritura dell’Ordine. Lo vediamo, qui, preceduto, nel suo cammino, da Caterina. Lui guarda verso di lei, che è la mediatrice tra il frate e Dio Padre. A lei Dio comunicò quella riforma che ella seppe incarnare così intensamente nella propria vita e poi comunicare. E che divenne visibile e “leggibile” da Raimondo, che l’avrebbe dovuta diffondere in tutto l’Ordine. Ella, dunque, sembra essere, sulla scia di Maria, il nuovo libro in cui “è scritta la Regola nostra” (Orazione XI). E, innanzitutto, in cui è scritto Cristo. Raimondo lesse e contemplò nelle righe dell’esistenza di Caterina quel rinnovamento dell’Ordine cui dedicò tutta la propria vita. Attraverso lei, egli divenne, sulla scia del Fondatore, nuovo “lume che levò le tenebre”.

mirella soro1sr. Mirella Soro, O.P.Lo sguardo di Caterina, nel dipinto di Bolis, manifesta l’interiorità della santa. È chiaro che Caterina è rappresentata nella sua esperienza abituale: sta abitando la cella del cuore. Lì, nell’esperienza della conoscenza di sé e di Dio in sé, nella comunione con tutto il corpo mistico, vive non solo l’ascesa della propria anima verso la conoscenza di Dio Padre, passando per il Ponte di Cristo Crocifisso attraverso un cammino di amore, di purificazione e di conoscenza. Piuttosto, la santa riceve anche dal Padre una visione globale della Chiesa e del mondo, e scopre che il cammino della propria anima è strettamente legato al cammino di tutta la Chiesa. L’ascesa dei tre scaloni, dunque, non è solo un percorso mistico personale. Anzi, è del tutto impossibile fare esperienza della comunione trinitaria se non si vive nella comunione tra stati di vita e tra uomo e donna. Solo così, dunque, la predicazione sarà feconda.


I voti e l’ “amore singolare”

In questo percorso, i voti ci rendono capaci di comunione e ci pongono di nuovo uno di fronte all’altra, uomo e donna, nella ricerca di Dio e nel dono reciproco dell’esperienza di fede. Il vero domenicano vive quella povertà che è condivisione e che spinge i fratelli e le sorelle ad avere bisogno gli uni degli altri. Vive la castità, che apre il suo cuore a una capacità di comunione profonda. Vive l’obbedienza, attraverso la quale il suo sguardo viene liberato dall’opacità dell’orgoglio ed è reso capace di cercare e vedere la verità.

Nella Vita di Caterina scritta dal Beato Raimondo, è posto un accento particolare sulla necessità, per chi si avvicina a Dio e vuole possederlo, di “spogliare il suo cuore di ogni amore sensibile”. Caterina continua dicendo che “il cuore non può darsi totalmente a Dio, se non sia libero da ogni altro affetto” (Vita, 360). Come si concilia ciò con lo stretto legame che lei ebbe con innumerevoli persone e, in primis, con lo stesso Raimondo? Sempre nella Vita, leggiamo: “Nessuno si scandalizzi se io amo di un amore che non v’ha l’uguale coloro che l’Altissimo mi ha affidati… Per essi sono stata separata dal Signore” (Vita, 216). E nel Dialogo il Padre rivela alla santa che Egli talvolta dona un amore singolare ad alcune persone, perché esse possano, tramite questa comunione, essere purificate e crescere nella perfezione dell’amore (cfr. Dialogo CXLIV). Dunque, questa unità è donata affinché l’anima raggiunga il fine per cui è stata creata: l’unione con Dio, l’essere a Sua immagine e somiglianza. E la modalità della comunione è quella che Caterina descrive con l’immagine di chi si immerge nel mare e tutto vede e tocca e sente solo attraverso l’acqua (Cfr. Vita, n. 100, p. 113). Allo stesso modo, chi è immerso in Dio vede e ama solo attraverso Lui e in Lui.

Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Creati insieme, l’uomo e la donna sono voluti da Dio l’uno per l’altro. […] Non già che Dio li abbia creati ‘a metà’ ed ‘incompleti’; li ha creati per una comunione di persone, nella quale ognuno può essere aiuto per l’altro, perché sono ad un tempo ‘uguali’ in quanto persone (‘osso delle mie ossa…’) e complementari in quanto maschio e femmina” (CCC 371-372). Solo successivamente il Catechismo, rifacendosi al racconto biblico, parla del matrimonio, che è una delle modalità con cui l’uomo e la donna possono vivere questa chiamata ad essere “persona”. Ed è l’obbedienza che permette, in particolare, all’uomo e alla donna consacrati di entrare in questo disegno del Padre, accoglierlo ed essere inseriti, attraverso Cristo, nella Trinità. Caterina e Raimondo hanno ricevuto da Maria (come esplicitamente dicono sia lei che lui) questo dono particolare di comunione. E la loro esperienza particolare è per noi un importante richiamo: nel nostro carisma è presente questa complementarietà di maschile e femminile, uomo-donna, frati-monache, ramo maschile e ramo femminile, e solo insieme possiamo realizzare il progetto di Domenico.

Il “sacerdozio” della donna domenicana

In questo tempo in cui tanto di discute sul sacerdozio delle donne, riporto alla memoria l’esperienza illuminante di una giovane laica domenicana che visse la propria vita di fede e di malattia in profonda comunione con un frate domenicano. Si tratta di Tilde Manzotti, vissuta tra il 1915 e il 1939, e di fr. Antonio Lupi op, vissuto tra il 1918 e il 1976. La loro amicizia durò pochi anni, poiché Tilde morì presto a causa di una malattia devastante. Ma la vocazione sacerdotale di fr. Antonio e la sua vita donata per la predicazione nacquero proprio nel grembo dell’esperienza spirituale di Tilde, e lì fu custodita per tutta la vita. A lei il giovane frate scrisse: “Sapesse, Tilde, con che ansia sospiro il giorno del mio sacerdozio! E quanto mi consola il pensiero che dopo la Madonna e Santa Teresa di Gesù Bambino, il Signore ha voluto che fosse lei la mamma di questo sacerdozio. Su codesto letto di dolore io sono persuaso – e il cuore mi si stringe ma non so che piangere di purissima gioia – che lei consuma questa grandissima divina maternità! Saremo sacerdoti insieme, in eterno: questa è la certezza che piove dal cielo e parla nei suoi dolori, nei dolori che sono nostri, nei dolori che Dio sa e saprà meglio convertire nelle gioie sue”.

La paternità spirituale dei frati nei riguardi delle donne è qualcosa di cui siamo tutti ben consapevoli. Ma sembra sia opportuno riflettere anche sulla maternità delle donne domenicane nei riguardi dei frati e sulla missione della predicazione che condividiamo e viviamo insieme. Ebbene, Tilde è “madre” del sacerdozio di fr. Antonio, anche se non lo vedrà mai sacerdote. Ma il ministero del giovane frate, e le anime che egli avrebbe incontrato nella sua lunga vita, erano state già accolte e custodite dentro il grembo di questa donna. Di più: la comprensione profonda della propria chiamata egli la raggiunse proprio attraverso l’esperienza di Dio che lei portò a compimento in un letto di dolore e amore.

Potremmo dire che si compie, sul piano della grazia, ciò che osserviamo sul piano della natura, dove l’uomo riceve la vita fisica dalla donna. Così, la donna domenicana è il canale attraverso cui la vocazione dell’uomo domenicano cresce e si compie. Egli diviene, così, attraverso la mediazione di lei, strumento di grazia per tutti gli uomini. Al tempo stesso, osserviamo che, sul piano della natura, i figli dell’uomo sono anche figli della donna. Così, uomo e donna consacrati vivono, insieme, quella maternità e paternità spirituale che li rende soggetti complementari della predicazione del vangelo: “Se soffrirò con te e con tutte le anime che il Signore mi darà, con tutte perché, sì, come vuoi tu e come vuole il Signore, le amerò tutte infinitamente” (A. Lupi e T. Manzotti, Amare infinitamente – Epistolario, Feeria, 2014).

Ecco perché “saremo sacerdoti insieme”. Uguali e complementari, l’uomo e la donna sono insieme nell’esperienza contemplativa come anche nella predicazione della grazia. E non c’è sacerdozio, non c’è predicazione feconda della Parola, se non insieme. Al di là del tempo e dello spazio. Nell’eternità dell’amore di Dio.

Conclusione

Desiderio di comunione e paura dell’altro si intrecciano, spesso, nelle ordinarie relazioni umane: “Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?” (W. Shakespeare, Giulietta e Romeo). E talvolta possiamo sperimentare, anche nell’Ordine, una certa diffidenza reciproca tra frati e monache, uomini e donne. Una specie di invadenza. Troppo spesso, noi religiosi, abbiamo camminato su strade parallele. Dimenticando del tutto la nostra chiamata a camminare insieme sulla via del vangelo. Nell’Ordine siamo uomini e donne. E solo insieme possiamo incontrare e riconoscere il Signore della storia e della vita, per donarlo a tutti i nostri fratelli. È straordinario il ruolo centrale che Domenico dà alla donna in un tempo in cui la parte femminile dell’umanità era confinata ai margini di ogni vicenda umana, culturale, politica, sociale. L'uomo e la donna sono sempre strettamente uniti, con doni complementari e totale uguaglianza, nel progetto eterno di Dio, nella storia della salvezza, e lo sono anche, nell’Ordine, nella ricerca di Dio e nella predicazione. Non è possibile predicare, se non insieme. Non è possibile contemplare, se non insieme. Non è possibile ripensare il carisma, comprenderlo, attualizzarlo e viverlo, se non insieme.

Nel giorno della Festa della donna, penso con orgoglio che il nostro Santo Padre Domenico precorse i tempi. Egli, che ricevette il dono del carisma della scienza e della predicazione, a servizio della Chiesa e dell’umanità, vide che la donna era nel cuore di Dio quale canale di luce e di vita.

A volte mi chiedo perché questa sua intuizione non sia stata sviluppata, nel tempo, e non si sia arrivati a una maggiore partecipazione della parte femminile dell’Ordine non tanto a livello pratico di collaborazione o di predicazione, ma di ricerca e condivisione di intuizioni circa l’attualizzazione del carisma. Se davvero, come sembra, Domenico è il lume che il Padre ha dato al mondo per mezzo di Maria, anche oggi la luce della predicazione può illuminare le tenebre del mondo solo attraverso l’esperienza e la mediazione della donna. In un mondo in cui la donna cerca disperatamente di ritrovare e difendere il proprio insostituibile posto, noi scopriamo di averlo già ricevuto dal nostro illuminato Fondatore. Possiamo ritrovare, uomini e donne dell’Ordine, il coraggio della vulnerabilità, del bisogno reciproco di sostegno e condivisione della fede. Si tratta di mettere insieme i doni e le intuizioni, per ripensare e rivitalizzare il dono che abbiamo ricevuto da Dio e da Domenico, col mezzo di Maria, a servizio della Chiesa e per la gioia di tutti gli uomini e di tutte le donne del nostro tempo.

 

sr. Mirella Caterina Soro, O.P.
Monastero di S. Maria della Neve e S. Domenico
Pratovecchio Stia (AR)

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