Sotto il cielo stellato della Minerva
Quando si varcano le porte della basilica di Santa Maria Sopra Minerva in Roma il turista o il pellegrino rimangono immediatamente sorpresi, oltre che dalla vastità del luogo e delle molteplici opere d’arte, dal soffitto dipinto come un cielo stellato. Molti vedendo l’architettura della basilica pensano immediatamente che si tratti di un soffitto originale di epoca medievale, come quello che si può ammirare nella basilica superiore di Assisi o nei duomi di Siena e San Gimignano. Ma purtroppo non è così: infatti il bel cielo stellato della Minerva risale ad un periodo un po’ più vicino a noi.
Venne realizzato solamente durante i grandi lavori di restauro della basilica nel XIX sec., quando al candore degli interni (come in S. Maria Novella a Firenze) si preferì una decorazione più solenne, quasi a volersi adeguare agli splendori decorativi delle altre chiese maggiori di Roma. Tuttavia la scelta di decorare la volta con un cielo notturno dove rifulgono le luci dorate delle stelle e le figure di alcuni “personaggi”, non risente di un mero estetismo tipico di un certo revival ottocentesco, ma porta in se un profondo progetto teologico.
Infatti i personaggi ritratti sulle volte non sono degli anonimi “beati” ed angeli che partecipano ad una fantasmagorica scena di trionfo celeste, così come si può ammirare nelle stupende volte delle chiese del Gesù e di Sant’Ignazio.
La volta della Minerva ha in sé un progetto teologico ben definito: il fedele che entra in chiesa per pregare, per riallacciare il suo rapporto di amicizia con Dio, alza gli occhi verso la volta e ciò che vede non è una dura volta di pietra ma è il cielo limpido di una notte d’estate, quasi il cielo di una notte in un bosco di montagna. Quindi già il cielo in se stesso dà un senso di pace, ma al contempo ci fa realizzare la nostra piccolezza di fronte all’immensità del cosmo, è la stessa sensazione quando comprendiamo l’infinita distanza che esiste fra noi uomini e l’immensità di Dio. Così come quando ci troviamo nel bosco ci sentiamo piccoli e a volte ci facciamo prendere da un senso di sconforto a pensare che forse tutto questo non è per noi, così come quando ci sentiamo lontani da Dio, come se ci fosse una distanza incolmabile fra Lui e noi. Ma fortunatamente non siamo disarmati sotto questo cielo perché quando si è in fondo alla navata centrale vediamo una luce sopra l’altare maggiore, luce che rischiara una scena focale: l’Annunciazione. Evento che è stato determinante per la nostra vita perché ci ha portato la Salvezza, evento che ha colmato la distanza che sussisteva fra noi e Dio, evento che ci ha aperto le porte verso il cielo. Quindi vedendo e vivendo l’evento dell’Annunciazione del Verbo, il fedele o per meglio dire il pellegrino/amico del Signore può avanzare per la navata, che diviene simbolo del nostro cammino, con la consolazione di essere accompagnati da quelle “figure” che stanno sulle volte: gli apostoli.
Infatti sulle volte della navata ci sono i dodici, i discepoli più intimi del Signore, coloro che dopo l’Ascensione senza paura sono andati in giro per il mondo ad annunciare la Parola di Dio. Essi sono stati dipinti proprio sulla navata perché la navata centrale è il luogo ove sta il popolo di Dio, dove esso partecipa alla Messa, ma in senso più ampio esso rappresenta tutto il mondo al quale i discepoli del Signore sono chiamati a portare la Parola di Dio. E questa Parola di Dio il fedele/pellegrino la trova avanzando di qualche passo nella basilica, infatti al termine della navata centrale si trova un gradino, segno di separazione ma soprattutto di innalzamento, perché in questo momento stiamo salendo ad un “grado” superiore, stiamo salendo un gradino in più della scala del Paradiso. Questo gradino è inoltre simbolo che tutti noi amici del Signore ci dobbiamo staccare un po’ dalle cose più terrene per poter salire a gustare le “cose” più alte, le “cose” del Signore.
Una volta salito il gradino ci troviamo davanti all’altare, altare dove si compie il Sacrificio Redentivo di Cristo, ma per comprendere questo grande mistero dobbiamo alzare gli occhi verso il Cielo, dobbiamo chiedere la Fede al Padre. Ma alzando gli occhi troviamo dei nuovi “amici” che ci accompagnano: gli Evangelisti ed i Dottori d’Oriente ed Occidente. Gli Evangelisti sono coloro che hanno trasmesso tutto ciò che Gesù ha fatto ed ha detto, o almeno ci hanno trasmesso tutto ciò che era necessario per la nostra Salvezza. Questi quattro santi, Matteo, Marco, Luca e Giovanni ci parlano e ci mostrano chi è Gesù, ma a volte le parole dei vangeli per noi sono troppo astruse, troppo complesse e dure ed è per questo che ai lati dell’altare troviamo i Dottori. I Dottori della Chiesa sono i campioni della Fede, sono coloro che hanno provato a spiegare il Mistero di Dio, sono coloro che hanno sofferto per far vedere la Luce di Cristo e che sempre parlano con i loro scritti e con la loro testimonianza di vita dell’Amore che è Dio. Il pellegrinaggio non finisce qui al transetto: il fedele/pellegrino dopo essersi nutrito della Parola di Dio ed essere stato aiutato dalla funzione magisteriale dei dottori (simbolo della Chiesa) è chiamato a fare un’ulteriore salto, un’ulteriore scalata, è chiamato ad avvicinarsi al Cristo Morto e Risorto sull’Altare. Ma Cristo non gli chiede di rimanere immobile all’altare, ci chiede di nutrirci di Lui, per poi oltrepassare pure l’altare, ci chiede di andare oltre ed in questo caso ci chiede di entrare nel coro, nel luogo della preghiera della comunità. Questo essere in coro ci dice come bisogni sempre essere vigilanti nella preghiera, sempre assidui, ma il nostro fedele/pellegrino è chiamato ad alzare gli occhi al cielo della volta dell’abside ove incontrerà i quattro Profeti Maggiori dell’Antico Testamento.
Essi in primis rappresentano coloro che hanno preannunciato la venuta del Figlio dell’uomo, ma sono simbolo della nostra funzione profetica. Infatti dopo aver varcato le soglie della chiesa, accompagnati dagli apostoli sulle vie del mondo, esserci abbeverati alla fonte della Divina Sapienza facendoci aiutare dalla sapienza della Chiesa ed esserci nutriti di Lui, siamo chiamati ad essere noi stessi profeti, quindi testimoni della Salvezza che è arrivata.
fr. Manuel Russo, O.P.
Convento di S. Maria sopra Minerva, Roma