In quale tempo viviamo?
Benché, secondo Aristotele, il tempo in quanto tale non esista, si tratta tuttavia di una dimensione costitutiva della nostra vita terrena. E, in ogni epoca, ma più particolarmente in questa di sfrenato progresso tecnologico, capita che esso diventi il nostro principale criterio di giudizio se non la nostra regola di vita: basta vedere l’isteria che s’impadronisce di milioni di persone appena esce un nuovo iPhone... Come Goethe fa dire a Antonio, nel suo Tasso: Die Gegenwart ist eine mächt’ge Göttin «l’attualità è una potente dea» (Johann Wolfgang von Goethe, Tasso, Aufzug 4, Auftritt 4).
La preoccupazione di essere al passo con i tempi rischia di trovarsi ad essere, se non in teoria, almeno in pratica, la regola suprema. Un minimo di esperienza, tuttavia, dovrebbe rivelarci l’inconsistenza di questo atteggiamento, farci prendere coscienza che l’attualità è quanto vi è di meno presente al tempo che viviamo, mentre l’eterno non passa... e lo dobbiamo capire soprattutto se viviamo veramente nella fede. Il pastore Bosc, personalità assai autorevole nella Francia della metà del xx secolo, diceva: « Quando voglio conoscere le ultime notizie, leggo san Paolo ».
Infatti, in san Paolo (scelto non a caso dal protestante Bosc), e anche in tutto il Nuovo Testamento, troviamo l’ultima notizia, l’ultima buona notizia, quella della salvezza, della misericordia del Dio fattosi uomo perché noi diventiamo partecipi della stessa vita divina. Al confronto di questa buona notizia, di questo « Vangelo », tutto il resto è cronaca.
Dobbiamo, noi cristiani, prender meglio coscienza che viviamo nella « pienezza dei tempi », nello stadio finale della creazione, stadio nel quale ormai tutto è avvenuto e in cui niente di veramente nuovo può avvenire fino alla parusia.
Ma questo non significa che dobbiamo aspettare inerti questo compimento. Tutt’al contrario, dobbiamo cercare, ognuno laddove è, di migliorare quel che può esserlo, di aiutare chi è nel bisogno, ma senza mai perder di vista l’eterno già in qualche modo presente (mediante la grazia santificante) nel nostro mondo e sforzandoci di giudicare di tutto non a partire dalla novità ma in relazione all’eternità promessa.
E, per fare ciò, dobbiamo impegnarci senza perder tempo, perché, come diciamo sempre, il tempo passa veloce, ma faremmo meglio a dire, con il poeta rinascimentale Ronsard: « Passa il tempo, passa il tempo; no, ahimè! non il tempo, ma noi passiamo »1. Dobbiamo, quindi, impegnarci a usare il meglio possibile questo tempo che ci dà il Signore, in vista, per noi e per gli altri, dell’eternità; dobbiamo, cercare di imitare Cristo, « il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui » (At 10.38). Certamente, non possiamo uguagliarci a Gesù, ma, vivificati dalla sua grazia, siamo chiamati a collaborare a questo risanamento da lui operato, aiutando, con la nostra parola, con il nostro esempio, con la nostra intercessione, il nostro prossimo a passare dal diavolo a Dio, dalla morte alla vita vera che trova il suo compimento nell’eternità beata.
fr. Daniel Ols, O.P.
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1) «Le tems s’en va, le temps s’en va, ma Dame,
Las ! le tems non, mais nous nous en allons,
Et tost serons estendus sous la lame »
(Pierre de Ronsard, Le second livre des Amours, sonnet 135 [ed. Alexandre Micha, Genève, Droz (« Textes littéraires français »), 1951, p. 186]).