Vita cristiana
Un giorno, Pascal scrisse un « pensiero » diventato assai celebre:
I corpi tutti, il firmamento, le stelle, la terra e i suoi regni, non valgono la più piccola delle menti, poiché essa conosce tutto ciò e se stessa; mentre i corpi non conoscono nulla. Tutti i corpi insieme e tutte le menti insieme e tutte le loro produzioni non valgono il più piccolo movimento di carità. Ciò è di ordine infinitamente più alto. Da tutti i corpi insieme, non si potrebbe farne uscire un pensiero anche piccolo: ciò è impossibile e di un altro ordine. Da tutti i corpi e da tutte le menti, non si potrebbe trarre un movimento di vera carità: ciò è impossibile, di un altro ordine, soprannaturale (Blaise Pascal, Pensées, 783 Br.).
San Tommaso, quattro secoli prima, aveva espresso un concetto analogo in modo assai più stringato e toccante: « Il bene della grazia di un solo individuo è più grande che non il bene naturale di tutto l’universo » (IaIIae, q. 113, a. 9, ad 2m)1. Appena leggiamo queste parole, siamo costretti a riconoscervi una verità incontrovertibile... ma quali prospettive queste parole ci aprono quanto al nostro modo di vivere la nostra fede?
1. Esse ci fanno scoprire la nostra straordinaria dignità di figli di Dio: il bambino appena battezzato vale di più che non tutto l’universo...; esse ci fanno avvertire la gravità del peccato mortale che ci fa perdere questa dignità; esse dovrebbero anche portarci a riflettere e a chiederci se viviamo veramente conformemente a questa chiamata al bene assoluto che si attuerà in cielo nella visione di Dio. Infatti, la grazia in cui viviamo quaggiù troverà il suo coronamento in questa visione e il desiderio di tale compimento dovrebbe essere il vero principio della nostra vita. È così? oppure nei fatti, tante altre cose, non necessariamente cattive in sé, prendono il sopravvento in ciò che orienta e qualifica la nostra vita? In altre parole, possiamo dire che viviamo e giudichiamo tutto alla luce del bene, procuratoci da Cristo mediante la sua morte e risurrezione, bene che ci è anticipato nella grazia e che ci sarà dato pienamente nella gloria?
Negli anni 593-594, mentre il re dei Lombardi, Agilulfo, assediava Roma, il papa san Gregorio Magno commentava per il popolo, che soffriva la fame e temeva lo sterminio, il profeta Ezechiele. Parlava certamente della situazione tragica in atto, ma la interpretava ponendola nella prospettiva che abbiamo abbozzato:
Impariamo, fratelli, a rendere grazie non solo quando le cose vanno bene, ma anche quando vanno male. Il Padre, infatti, il quale, nella sua bontà, è stato il nostro creatore, ci cresce, noi che siamo i suoi figli adottivi, per farci ereditare del regno celeste. Non solo con i doni ci conforta, ma con i flagelli c’istruisce (S. Gregorius Magnus, Homiliae in Ezechielem, l. 2, hom. 17 [CCLat 142]).
2. Poi, queste parole riguardano anche la testimonianza che, in quanto cristiani, siamo chiamati a dare nel mondo. San Giovanni Paolo II ed anche Benedetto XVI hanno ricordato come la Chiesa non è né deve essere una ONG. Certamente è opera buona, che può anche essere opera di vera carità, prestare aiuto a chi è nel bisogno, ma l’aiuto specifico che il cristiano, in quanto tale, deve fornire è l’annuncio e la testimonianza del Vangelo, l’annuncio di questa dignità stupefacente data all’uomo, di questo bene totale che si realizzerà nella visione di Dio.
San Domenico ci è in questo un grande modello. Come sappiamo, quando studiava a Palencia – aveva allora circa quattordici anni –, mentre imperversava la carestia, vendette i suoi libri per avere da che soccorrere chi rischiava di morire di fame. Invece, come Maestro dell’Ordine da lui fondato, mentre era severissimo quanto all’osservanza della povertà, al punto di ordinare d’interrompere i lavori di sopraelevazione di alcune celle a Bologna, rimproverando ai frati di voler « edificare grandi palazzi » (Acta canonizationis S. Dominici, Deposizione di fr. Stefano [MOPH XVI/2, p. 157]), permetteva e favoriva l’acquisto dei libri (v., p. es., Costituzioni primitive, d. 2, c. 28), i quali allora erano beni costosissimi: il P. Bataillon c’informa che, verso la fine del XIII secolo, un manoscritto della Sententia libri Ethicorum di san Tommaso costava quanto una mucca e una parte della Summa theologiae quanto tre o quattro mucche2.
Perché ciò? perché san Domenico aveva preso coscienza, attraversando i territori del Tolosano devastati dall’eresia, che vi è una povertà assai peggiore che non la povertà materiale: la povertà dell’uomo lontano da Dio, dell’uomo privo della grazia. Da allora, centrale nella sua vita fu quella preoccupazione che si manifestava nel grido che si sentiva quando pregava di notte: « Signore, abbi pietà del tuo popolo! Che ne sarà dei peccatori? » (Acta canonizationis S. Dominici, Deposizione di Guglielmo III Peyronet [MOPH XVI/2, p. 184]). Ora, per portare agli altri la verità della fede, bisogna conoscerla e dunque studiarla, cosa per cui i libri sono necessari.
Coscienti dunque di essere chiamati a ricevere l’eredità eterna (cf. Eb 9,15), cerchiamo di vivere tutta la nostra vita orientati verso di essa e anche, all’esempio di san Domenico, di avere « un grande zelo per la salvezza delle anime non solo dei cristiani, ma anche dei Saraceni e degli altri infedeli » (Acta canonizationis S. Dominici, Deposizione di Frugerio da Penna [MOPH XVI/2, pp. 165-166]), di modo che possiamo un giorno de communi [...] et perpetua felicitate gaudere, « godere della comune […] e perpetua felicità » (S. Gregorio Magno, l. cit.).
fr. Daniel Ols, O.P.
1 Notiamo tuttavia una differenza: Pascal si pone dal punto di vista della causa formale, Tommaso, da buon discepolo di Aristotele, dal punto di vista della causa finale (il bene).
2 V. L.-J. Bataillon, « Les conditions de travail des maîtres de l’Université de Paris au xiiie siècle », Revue des Sciences philosophiques et théologiques, 67 (1983), pp. 417-433 (pp. 422-423).